“Le masse popolari d’Europa
non sono contro le masse popolari dell’Africa.
Quelli che vogliono sfruttare l’Africa
sono gli stessi che sfruttano l’Europa.”
Thomas Sankara fu ucciso dopo soli quattro anni della sua presidenza, durata dal 4 agosto 1984 al 15 ottobre 1987, un giorno da ricordare per dare una risposta forte e decisa al che fare ancora oggi.
Il Presidente del Burkina Faso era nato il 21 dicembre 1949; soleva sostenere che i Grandi, con il loro colonialismo economico, sanno esportare la loro democrazia sia con le bombe sia con forme più subdole di aiuti umanitari e di prestiti capestro.
Nel corso della storia sono state sempre le condizioni di sopraffazione, di miseria e di sfruttamento inumano che, sotto le forme più variegate, hanno caratterizzato la lotta di classe.
Per dimostrare che, nelle nostre convinzioni, non c’è forzatura ideologica, trascriviamo una testimonianza che, a nostro avviso, ci può spiegare con chiarezza le contraddizioni dell’attuale liberismo globalizzato, un sistema pervasivo senza confini che nega la globalizzazione sociale e persegue la colonizzazione economica in larga parte degli Stati del mondo.
Tra gli Stati Africani abbiamo scelto quello dell’Alto Volta, geograficamente molto lontano dal nostro, ma molto vicino per la similitudine del sistema imposto dai poteri insiti nel liberismo globalizzato.
Abbiamo scelto lo Stato dell’Alto Volta perché, dopo essere stato dominato dal colonialismo, ha vissuto un breve periodo di vera rivoluzione socio-culturale e socio-politica con Thomas Sankara.
Un giovane presidente che, pur essendo vissuto in una famiglia convertita al cattolicesimo, decise di portare avanti le sue lotte seguendo il pensiero di Karl Marx e, sotto certi aspetti, molto vicino alla prassi di Danilo Dolci per avere rivolto la sua maggiore attenzione alle condizioni di vita e di salute del suo popolo, privilegiando un rapporto diretto con i cittadini delle varie realtà territoriali.
In primis rinominò il suo Paese e lo chiamò Burkina Faso, che significa “Terra degli uomini liberi ed integri”; e poi, nel suo fare politico, pur avendo rifiutato gli aiuti e i suggerimenti offerti dal Fondo Monetario Internazionale, portò avanti delle riforme che miravano a rivoluzionare le condizioni sociali del Burkina Faso incidendo nei settori più essenziali della vita.
Nel settore della salute riuscì a far costruire nei vari villaggi degli ambulatori e dei dispensari, dove furono attivate le vaccinazioni contro il morbill, contro la meningite e contro la febbre gialla, riuscendo anche a promuovere iniziative contro l’Aids.
Nel settore ambientale riuscì a frenare la desertificazione piantando alberi di vario genere.
Nel settore dell’istruzione fece costruire tantissime scuole agevolando l’alfabetizzazione anche nelle campagne.
Purtroppo la sua rivoluzione politica ed economica fu interrotta il 15 ottobre del 1987 dal suo più stretto collaboratore, Blaise Compaorè: questi lo uccise per sostituirlo nella presidenza del Burkina Faso.
La complicità di questo assassinio è da collegare alla politica alternativa di Sankara, che non si volle allineare ai neocolonialisti del liberismo globalizzato.
In tal senso trascriviamo parte del discorso tenuto da Thomas Sankara il 29 luglio 1987 all’OUA dove parla del debito pubblico dei Paesi africani, ma è come se parlasse a nome di tutti i Paesi soggetti al debito interno ed estero.
Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo.
Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci hanno colonizzato.
Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie, sono i colonizzatori che indebitano l’Africa con i finanziamenti internazionali.
Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo.
Il debito è ancora il neo-colonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, anzi dovrebbero invece dire: “assassini tecnici”.
Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, sono dei “finanziatori”.
Questi finanziatori ci sono stati consigliati e raccomandati.
Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più.
Il debito, nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee, in modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia di investire da noi con l’obbligo del rimborso.
Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema d’onore.
Signor Presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito la prima ministra donna norvegese intervenuta qui (n.d.a.: Gro Harlem Brundtland). Ha detto, lei che è una europea, che il debito non può essere rimborsato tutto.
Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri.
Invece se paghiamo, noi moriremo. Siamone ugualmente sicuri.
Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò.
Finché guadagnavano non c’era nessun dibattito; ora che perdono al gioco esigono il rimborso.
E si parla di crisi. No, Signor Presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua. (Applausi)
Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo da pagare.
Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito.
Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai pagare:
il debito di sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato.
Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo.
Oggi c’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa.
Oggi c’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi.
Abbiamo il dovere di creare oggi un fronte unito contro il debito.
Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola.
Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri.
Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale.
I ricchi, sono loro che rubano al fisco, alle dogane.
Sono loro che sfruttano il popolo.
Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza!
[Da: “Danilo Dolci. Una vita contro miseria, spreco e mafia”. A cura di Pino Dicevi. Coppola Editore, 2013]