All’indomani delle elezioni parlamentari in Georgia, Sogno Georgiano rimane al governo con il 54% dei voti. Non sono mancate le irregolarità e gli osservatori locali, insieme alle opposizioni e alla Presidente, non riconoscono i risultati e chiedono l’annullamento, ma l’OSCE considera il processo elettorale sufficientemente libero.
Nella giornata del 26 ottobre la Georgia è stata chiamata al voto.
Per la prima volta venivano applicati gli emendamenti alla Costituzione del 2018, che prevedono il passaggio da un sistema semipresidenziale a uno parlamentare, facendo delle elezioni di quest’anno un appuntamento particolarmente importante.
L’attuale situazione politica della Georgia, fa sì, però, che tale modello possa mettere a rischio la pluralità politica del Paese.
Infatti, considerate le derive autocratiche, e i tentativi di eliminare l’opposizione da parte dell’attuale governo, si teme che in caso di maggioranza, Sogno Georgiano (GD) possa unilateralmente mettere fine al percorso europeista del Paese e procedere così all’eliminazione dell’opposizione – a partire dalla stessa Presidente Zourabichvili, che ha dichiarato essa stessa di temere l’arresto.
Le opposizioni si sono unite in coalizioni e, appoggiando la proposta della Presidente, “Carta Georgiana” , hanno dichiarato in sede di campagna elettorale che in caso di vittoria governerebbero con un approccio ‘tecnocratico’ per 12/18 mesi, col fine di riportare la Georgia più nettamente sui suoi passi europeisti e annullare la controversa ‘legge russa’.
Alla fine di questo periodo promuoverebbero poi nuove elezioni più trasparenti e democratiche.
Ma com’è andata?
Entro la fine della giornata, e prima dello spoglio di tutte le votazioni sia GD che le opposizioni si dichiaravano vincitori basandosi sui rispettivi exit poll, ma lo spoglio completo non è avvenuto fino alla mattina del 27 ottobre.
Le urne si sono aperte alle 8.00 e chiuse alle 20.00, le prime ad aprirsi sono state quelle del consolato in Australia e le ultime negli USA.
Va considerata infatti l’importanza degli emigrati georgiani – dovuta all’alto numero della diaspora georgiana nel mondo – che per l’evidente supporto che hanno portato alle opposizioni è stata fondamentale in queste elezioni di ‘contenimento’.
Intanto, nel Paese non sono mancati casi di irregolarità e violenza, seppur relativamente inferiore rispetto alle previsioni più pessimiste.
L’organizzazione WeVote, che raccoglie diversi osservatori locali, ha contato 347 irregolarità tecniche, 89 violazioni di segretezza del voto, 163 casi di ostruzionismo all’osservazione e 341 casi di presenze non autorizzate, che in molti casi sono state ricondotte a esponenti di Sogno Georgiano, intenti a esercitare vari tipi di pressione, o addirittura offrendosi di acquistare il voto dai presenti.
In ogni caso, i seggi si chiudono con GD al 54%, e 89 seggi parlamentari, seguito dalla coalizione Coalition for Change all’11%, Unity-National Movement al 10%, Strong Georgia al 9% e For Georgia all’8%, le 4 coalizione che avevano siglato la ‘Carta Georgiana’ e che insieme si aggiudicano i restanti 61 seggi.
Degli altri partiti minori, nessuno ha superato lo sbarramento del 5%.
Osservatori locali, fra cui Georgia’s Reforms Associates (GRASS), the Civil Society Foundation e IDFI chiedono l’annullamento delle elezioni, considerando ‘sostanziale’ il ruolo delle violazioni.
Allo stesso tempo le coalizioni all’opposizione accusano il governo di aver ‘rubato le elezioni’ e il ‘futuro europeo’ del Paese attraverso un ‘colpo di stato costituzionale’ e si preparano ‘a lottare più forte che mai’, cominciando a mobilitarsi da subito nell’organizzazione di proteste, oltre che proponendo di boicottare questi risultati e non accettare i seggi assegnati in Parlamento.
Nel frattempo dalla comunità internazionale arrivano le congratulazioni per la vittoria a GD da Ungheria, Russia e Azerbaijan, mentre il presidente della Commissione per le relazioni estere del Parlamento estone definisce i risultati delle elezioni ‘impossibili da riconoscere’. Della stessa opinione non è stato il parere proveniente dall’OSCE, che durante la conferenza stampa delle 15:00 del 27 ottobre riconosce la legittimità delle elezioni definendole ‘tutto sommato libere’ pur ammettendo le intimidazione e pressioni provenienti da GD.
Una definizione che non lascia particolare spazio ai complimenti, ma che, considerando come le opposizioni abbiano fin da subito cominciato a provocare la popolazione a manifestare, e come a questo rischio il sindaco di Tbilisi, Kaladze (GD), avesse risposto che ‘qualsiasi atto illegale troverà una dura risposte da parte dello Stato’, si potrebbe leggere come cauto tentativo dell’Organizzazione di scongiurare ulteriori disordini nel Paese, anche a costo di riconoscere delle elezioni non spiccatamente correte ma generalmente pacifiche.
Tuttavia, a seguito di consultazioni fra la Presidente e gli esponenti dei partiti di opposizione la Zurabishvili, durante la conferenza stampa delle 21:00 del 27 ottobre, ha dichiarato di non accettare i risultati delle elezioni, giudicandole illegittime a causa della ‘totale falsificazione e furto di voti’ dietro cui vede l’onnipresente mano russa che agisce secondo nuovi tattiche di ‘guerra ibrida contro il popolo georgiano’ e conclude invitando la popolazione a riunirsi il giorno dopo, 28 ottobre, nella via principale della città ‘per dire no a queste nuove forme di oppressione’ e per ‘far sapere al mondo il nostro volere, per elezioni giuste e libere’.
Se da una parte, dunque, l’UE, attraverso la missione OSCE, ha scelto di ammettere le varie frodi che si sono susseguite nella giornata di elezioni, ma di riconoscerne ugualmente gli esiti – e si può supporre aver fatto ciò soprattutto per far si che si mantenesse l’ordine nel Paese, sperando, possibilmente, in un’evoluzione degli eventi più distribuita nel tempo e il più pacifica possibile – d’altro canto, se pure è vero che sacrosanto è il diritto delle opposizioni e della Presidente di esigere elezioni giuste e libere per il proprio Paese, queste lo fanno mettendo a rischio il delicato equilibrio civile del Paese, già pericolosamente polarizzato, e in opposizione a quanto sostenuto dai rappresentanti OSCE, così perdendo potenzialmente legittimità in termini di europeismo, oltre che consegnando a GD nuove ragioni per definirli parte di un ‘partito della guerra’.
Il Paese si ritrova tristemente e ingiustamente a dover scegliere fra trasparenza e ordine, dove nessuna delle due senza l’altra può essere la risposta adeguata in un Paese dalle dinamiche complesse come la Georgia. Il destino si deciderà nelle prossime settimane e accadrà, di nuovo, lontano dalle urne, nelle piazze, mettendo inevitabilmente a rischio le aspirazioni democratiche ed europeiste georgiane.