Dopo la lunga e tormentata epopea durata quasi un anno e mezzo Suliman e Fatima sono finalmente approdati in Egitto. Non più ad Ayn Shams, come era previsto inizialmente, perché lì non è stato possibile trovare alcuna soluzione abitativa: l’appartamento che il fratello di Suliman ha preso per loro si trova proprio al Cairo, nella zona centrale. “La notte non dormono mai” mi dice Suliman riferendosi agli abitanti di quella convulsa, agitatissima città che un attimo prima ha definito “non un casino: un casinissimo”.
Ma venerdì è stata una giornata di festa: dopo un viaggio durato molte ore, il fratello di Suliman con la moglie e diversi altri parenti, fra cui molti nipoti, sono andati da Suliman e Fatima per festeggiare insieme -portando l’agnello, cibo sempre augurale – l’arrivo di questi due viaggiatori coraggiosi. il fratello di Suliman non abita vicino al Cairo, come avevo capito, ma in un’altra città dell’Egitto, lontana centinaia di chilometri dalla capitale. La sua famiglia si è in questi mesi molto allargata: con lui e la moglie abitano diversi nipoti (in realtà nelle foto che mi invia si vedono solamente donne), figlie e figli dell’altro fratello e della sorella, anche loro scappati dalla guerra del Sudan. Insieme alle foto c’è un video accompagnato dalla voce di Suliman che dice: “Siamo adesso al Cairo tutti questi figli di mia sorella e fratello, arrivano dalla guerra del Sudan qui in Cairo, Egitto. Oggi vengono al Cairo per salutare noi”. Poi presenta una a una queste giovani donne (qualcuna si sistema il velo, un’altra prende in braccio un bimbetto piccolo). E ancora: “Io molto contento perché oggi loro stanno con noi, vengono da -come si chiama?- Zagazik, un paese molto lontano dal Cairo, circa 700 Km, e sono qui per salutare noi. Speriamo che siamo, viviamo insieme nostro tempo in Sudan, dopo la guerra”.
“Allora oggi siete in festa!” gli dico quando mi telefona per ricordarmi che è il momento di inviargli i precedenti articoli usciti su di loro, oggi che possono leggerli sul cellulare del fratello (quello di Suliman al momento non apre i link). “Anche se non è proprio festa al “mia mia” (l’espressione araba per dire “cento per cento”) aggiungo io, pensando che non può essere una vera festa per il solo fatto che stanno lì e non a casa loro. “No, non “mia mia”: è festa solo al 10 per cento, perché il Sudan è in guerra”. Diaspora, emigrazione, città ora “sicura”, pranzo con l’agnello, ma non si può scordare neanche per un momento il Sudan e la mole di sofferenze, lutti e distruzioni che oggi sta vivendo.
E intanto qui a Roma si cerca di capire come Fatima e Suliman potranno arrivare in Italia ed essere curati. Il primo contatto lo prendo … nella farmacia dove vado abitualmente. Mi rivolgo a una delle farmaciste che conosco anche come volontaria di Emergency e attraverso di lei invio una lettera (in cui spiego la situazione di questi due cittadini sudanesi) alla Presidente della loro Associazione, che è proprio la persona con cui Suliman aveva collaborato per la liberazione di un giovane medico rapito dai Janjaweed, circa 10 anni fa.
Attraverso il medesimo canale ricevo la risposta: anche se di fatto Emergency non ha nessun canale privilegiato per far venire persone, benché malate, nel nostro Paese, rincuora e dà speranza constatare anche la sola disponibilità ad aiutare, a venire incontro, a immedesimarsi nelle situazioni: quando saranno arrivati in Italia, infatti, allora Emergency potrà – attraverso i suoi punti ambulatoriali e il suo ospedale di Milano – agire in modo più concreto. La Presidente ricorda che Suliman era il rappresentante in Darfur di “Italians for Darfur” (iniziativa dell’ONU) e che collaborava con un’altra persona italiana di cui mi rammenta lei stessa il nome. Certo, ricordo E la sentirò.
E c’è anche da aprire il canale Sant’Egidio, che a volte sa rivelarsi provvidenziale. Chiediamo percorsi preferenziali, sì, e certo siamo consapevoli che centinaia, migliaia, decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di persone ne avrebbero bisogno, tanto le “nostre guerre” stanno devastando popoli che vivevano pacificamente e li stanno obbligando a lasciare la loro terra. Consapevoli che si tratta di gocce in un mare ma con la certezza che anche due gocce sono un pezzo di mare, e con la speranza che aumenti via via nel pianeta lo spirito di compartecipazione alla vita dei suoi abitanti più sfortunati e il senso della solidarietà fattiva.
Riguardo a Suliman e Fatima, per ora sono in una tappa di relativo riposo e tregua: possono tirare un respiro di sollievo e dormire senza la preoccupazione di nascondere il cellulare e senza subire il caldo umido mortifero di Port Sudan. E cercare di riprendere fiato ed energie, nonché un po’ di sano sonno. Sì, proprio lì, nel Paese degli egiziani che non dormono mai.
Link agli articoli precedenti:
https://www.pressenza.com/it/2024/07/storia-di-suliman-e-fatima-in-fuga-da-sudan-ed-etiopia/
https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-e-fatima-di-nuovo-in-sudan-ma-solo-di-passaggio/
https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-fatima-e-la-guerra-infinita-in-sudan/
https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-fatima-e-legitto-che-non-li-vuole/
https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-e-fatima-in-attesa-della-risposta-dellegitto/
https://www.pressenza.com/it/2024/09/suliman-fatima-e-i-certificati-medici-che-non-si-trovano/
https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-fatima-e-legitto-che-si-avvicina/
https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-e-fatima-da-un-port-sudan-di-tutti-matti-a-un-egitto-non-amato/