Oggi a Roma è massima allerta a causa del divieto governativo della manifestazione nazionale di solidarietà con la Palestina e per la fine del genocidio. Gli organizzatori, e oltre 200 organizzazioni aderenti, hanno confermato l’appuntamento in sfida al divieto ingiusto della questura. Il divieto a manifestare imposto al corteo convocato da alcune sigle italo-palestinesi è un errore, che rischia di aumentare i problemi di ordine pubblico e mette un’ipoteca pesante per chiunque voglia esprimere le proprie idee contro la guerra.
Ribadiamo che le manifestazioni dell’associazionismo italo-palestinese si sono svolte sempre pacificamente, in questo anno di guerra e continue violazioni dei diritti umani: vietarle al contrario non può che innalzare il livello della tensione, aumentando la possibilità di problemi di ordine pubblico.
L’appuntamento è alle 14 a Piazzale Ostiense, vicino Piramide. Sono previsti controlli della polizia fin dal mattino ai caselli autostradali e nelle stazioni, “un dispositivo di sicurezza a cerchi concentrici sempre più stringenti attorno all’area di Ostiense”, ha detto il questore di Roma.
Ricordiamo che anche Amnesty International ha rimarcato che “il diritto di protesta è protetto da diverse disposizioni sui diritti umani e in particolare dall’interazione dei diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione”.
Anche diversi esponenti delle opposizioni si schierano apertamente contro lo stop: dal leader di Iv Matteo Renzi al responsabile delle iniziative politiche del Pd, Marco Furfaro, dal capogruppo di Avs in Senato Peppe De Cristofaro, al segretario di Più Europa Riccardo Magi. Quindici esponenti del Movimento 5 stelle hanno sottoscritto un’interrogazione, a prima firma Stefania Ascari, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per chiedere formalmente il motivo del niet al corteo.
“Speriamo non si sia voluto cogliere un pretesto per far tacere chi, pacificamente e democraticamente, vuole denunciare i crimini di guerra e contro l’umanità che il governo israeliano sta commettendo a Gaza, in Cisgiordania e ora in Libano”.