L’arrivo delle prime 16 persone, salvate in mare e immediatamente portate nei nuovi centri di detenzione per migranti in Albania il cui costo per 5 anni è stimato essere di 970 mln di euro, potrebbe essere anche l’ultimo, ma segnare anche l’istituzionalizzazione di una politica dell’UE. In questi centri dovrebbero andare unicamente le persone, considerate non vulnerabili e provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”, verso cui sarebbe possibile procedere al rimpatrio con procedura accelerata. Ad oggi l’Italia considera 22 gli Stati in cui è possibile effettuare deportazioni, evitando di considerare che ci sono aree dei suddetti Paesi in condizioni critiche e che ci sono alcune motivazioni (religione, appartenenza politica, orientamento sessuale ecc..) che rendono tale sicurezza inesistente.
Fra i cd “Paesi sicuri” ci sono quelli da cui proviene la maggior parte dei richiedenti asilo: Tunisia, Egitto, Nigeria, Bangladesh, che per le autorità europee sono invece a rischio. Il solo Paese che rientra in questa definizione è Capo Vede, da cui arrivano meno di 10 persone l’anno. C’è quindi la possibilità che, con i necessari ricorsi, si possa limitare il numero dei deportati in Albania, facendo fallire il progetto neocoloniale di strutture in territorio extra UE da sottoporre a giurisdizione italiana. Si rischia però una vittoria di Pirro. Con l’entrata in vigore, nel 2026 del New pact on migration and asylum, si apre la strada, ed il centro destra italiano lo dichiara. di espandere la realizzazioni di simili strutture anche in altri Paesi terzi da cui partono i richiedenti asilo.
Il tentativo è quello di generalizzare la delocalizzazione di centri per il rimpatrio anche in paesi nordafricani per spostare sempre più a sud la frontiera europea permettendo l’ingresso solo alle persone considerate utili allo sfruttamento. Non bastano quindi le pur necessarie mozioni contro le nefandezze in Albania, ovvio che quei centri vadano chiusi e che anche le speculazioni sorte intorno alla loro realizzazione vadano sanzionate. Ma non basta questo per essere opposizione a questo modello di Europa delle braccia da sfruttare. Occorre contrapporre un’altra proposta continentale, che da Roma raggiunga Bruxelles e che porti a far fallire le politiche della Commissione Europea e della sua Presidente. Occorre un’Europa in cui sia possibile vivere in maniera paritaria e non in base alla nazionalità di provenienza o alla funzionalità dei comparti produttivi. Anche per questo, come Partito ci impegneremo nelle mobilitazioni che si terranno in Albania, insieme alle reti sociali lì presenti, per impedire che la delocalizzazione dei diritti abbia la meglio.
Maurizio Acerbo, segretario nazionale,
Stefano Galieni, responsabile immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea