Giovedì 24 ottobre 2024, alle 17, il Salone de’ Dugento di Palazzo Vecchio ha ospitato la presentazione della XII edizione del volume “Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo”, pubblicato da Terra Nuova Edizioni (https://www.atlanteguerre.it/). L’evento organizzato dalla Commissione Pace di Palazzo Vecchio in collaborazione con ARCI e ANPI di Firenze è stato presenziato da Stefania Collesei presidente della Commissione 7 del comune di Firenze. Dopo i saluti istituzionali sono seguiti gli interventi di Raffaele Crocco, direttore dell’atlante, Giovanni Scotto, professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Firenze, Alice Pistolesi, giornalista dell’atlante, Albino Amodio del Comitato Nazionale ANPI e Sara Gorelli della Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra.
La pubblicazione, concepita come un vero e proprio atlante, analizza e spiega le ragioni di tutti i conflitti armati in corso, si pone come uno strumento fondamentale per l’informazione e la costruzione di una coscienza civile.
Stefania Collesei ha rimarcato le iniziative del Consiglio comunale e della VII commissione che si pongono sul solco di “Firenze operatrice di pace”, impegnata nel creare opportunità e occasioni, come questa presentazione dell’atlante, per riflettere sulla situazione del mondo, le guerre, la povertà, l’immigrazione, l’aumento delle spese militari, i cambiamenti climatici.
Le guerre in corso sono 31, 23 le criticità e 12 le missioni ONU censite in questa edizione aggiornata al 2023 ed è stato ricordato che il 90% delle vittime delle guerre sono civili e che le guerre tendono ad iniziare e non finire, per durare 23, 40, 80 anni, continuando a mietere danni e vittime anche alla loro fine. L’industria delle armi vive oggi uno dei suoi migliori momenti e ormai milioni di persone fuggono da situazioni di guerra: nel 2000 erano 20 milioni ed oggi 108 milioni (senza contare le carestie e la siccità) creando e moltiplicando i flussi migratori di cui una buona parte del mondo oggi non vuol sentir parlare.
I dati contenuti nell’atlante racconta un mondo non in salute e ci permette di acquisire quella conoscenza che deve essere alla base del nostro agire.
Raffaele Crocco, ideatore e direttore dell’atlante, ha sottolineato l’importanza del ruolo dei comuni e delle associazioni per sviluppare una cittadinanza attiva ed il contrasto alle guerre, in primis non per essere più buoni ma diventare più intelligenti “perché la pace conviene”. Dagli studi e dalle informazioni riportate si capisce come le “guerre non finiscono” perché le mine disseminate nei territori, le microparticelle che filtrano nel terreno e inquinano le falde acquifere, continueranno a mietere vittime e malattie per secoli. Oggi ci sono ancora molte parti del mondo che non sono vivibili e dove si muore per effetto delle guerre considerate finite.
Le guerre sono un effetto e non la causa, sono figlie delle tensioni e delle situazioni irrisolte che poi arrivano al conflitto. La comunità “mondiale”, volendo rimarcare un concetto più ampio rispetto a comunità “internazionale”, è quella che non ha saputo leggere e affrontare quanto già era emerso ed accaduto in ucraina dal 2014 al 2022 favorendo così lo sviluppo del nuovo conflitto che, certamente con difficoltà, poteva però essere previsto ed affrontato prima.
Anche se molte guerre sembrano lontane, la metà della popolazione mondiale ne è coinvolta, anche perché “le guerre spesso non hanno un luogo”, ma arrivano ormai dappertutto, ci toccano in un modo o nell’altro.
Oggi, ancor più di ieri, uno dei primi obiettivi è quello di terrorizzare le popolazioni e l’avversario, un po’ come fu fatto con il bombardamento di Dresda, di Roma, di Hiroshima e Nagasaki e si cerca di cambiare le parole che la definiscono per cercare di ricostruire una mitologia e “bellezza” della guerra, preferendo usare la parola “conflitto”, “guerra umanitaria” cercando di giustificare e mistificare la necessità stessa della guerra e rispolverando termini come “patria”, “confini”, come se questi fossero concetti e naturali, quando nella realtà questi sono cambiati continuamente nei tempi e nei secoli: un esempio tipico sono le Alpi, come confine a nord dell’Italia, ma all’inizio del secolo per andare dal Trentino a Innsbruck non si “attraversava il confine”! Se noi decidessimo di “non stare al gioco della guerra” la guerra non inizierebbe nemmeno. E quindi è importante convincerci che ognuno può avere un ruolo attivo nell’evitare la guerra.
L’atlante non si pone come una pubblicazione “neutrale” ma, a fronte di dati e senza modificare la realtà, contro la guerra e per i diritti umani, in contrapposizione alle mistificazioni “del partito e dell’industria della guerra”.
Giovanni Scotto si è soffermato sul concetto di “poli-crisi” in quanto le crisi non sono più isolate ma si influenzano negativamente fra loro. L’Europa, ad esempio, già negli anni in cui si presentavano tutti gli elementi di conflitto, è stata una dei migliori alleati di Putin con gli affari e le politiche su gas e petrolio, in un periodo in cui per dare supporto a questa politica, si presentava il gas come un fattore positivo anche per il clima (cosa falsa) oltre che economico. Tutto questo ha contribuito a dare alla Russia le risorse per imbarcarsi nella guerra con l’Ucraina. Per arrivare a una soluzione e un cambiamento in Ucraina, Gaza, Israele… è necessario cambiare il punto di vista e dagli interessi economici e di forza, passare a quello degli esseri umani. Siamo figli della cultura dei diritti umani, ma lasciamo morire le persone in mare, torturarle nei lager, far morire 45.000 persone a Gaza, lasciarle senza casa, senza cibo, senza acqua, senza cure, senza scuola, come se ci fossero degli esseri umani che valgono meno degli altri o degli interessi economici: è quindi importante acquisire un “punto di vista dal basso”. Per questo in università, per combattere questo senso di impotenza si lavora sulla “possibilità della pace”, sulla costruzione attiva di una proposta di pace. Un esercizio, ad esempio, è quello di andare per 10-15 min “dall’altra parte”, per prendere consapevolezza e conoscenza delle altre posizioni, esigenze, motivazioni.
Alice Pistolesi si è soffermata sul concetto di crisi che, se non monitorate e gestite, posso non sfociare in guerre, oppure su quelle situazioni di guerra che seppur finite non possono essere considerate pace in quanto presentano ancora ad esempio la presenza di narcotraffico o bande armate. In Africa ci sono 25 guerre, ma la maggioranza ne conosce solo alcune o non sono conosciute affatto. Nell’atlante a tutte viene data la stessa dignità, mentre invece si tende a vedere le guerre come una partita di calcio, con qualcuno che fa il tifo da una parte e chi dall’altra: la realtà delle guerre è invece molto più complicata ed è spesso difficile anche da raccontare. Nel nostro lavoro ci siamo posti l’obiettivo di raccontarle tutte ed è importante prenderne consapevolezza. Ad esempio, la guerra della repubblica democratica del Congo, ci riguarda con tutti gli oggetti elettronici (e non) di cui siamo circondati! Fra le situazioni di crisi in questo momento, oltre alla possibilità di una espansione del conflitto in Medio Oriente, resta quello in Europa dell’Ucraina vs Russia, ma anche la situazione nell’Oceano Pacifico.
E’ utile riflettere sul fatto che, rispetto alla prima edizione dell’atlante, le guerre sono le stesse (a riprova che non finiscono), mentre le missioni ONU sono diminuite, a causa dell’attacco al diritto internazionale ma anche e conseguentemente alla diminuzione dei finanziamenti: in questo modo sta venendo a mancare l’arbitro nei conflitti e nelle querelle.
Albino Amodio ha sottolineato che l’Atlante dovrebbe essere uno strumento centrale nelle scuole, per insegnare la storia viva e attuale ed ha portato esempi di guerre che non sono mai finite nella realtà o le cui conseguenze hanno continuato anche dopo la teorica interruzione: in Croazia, ad esempio, interi campi di asparagi o ortaggi non sono utilizzabili perché minati o intrisi di sostanze tossiche.
L’ANPI non ha una posizione per il disarmo unilaterale, ricordando l’esempio ed il valore della resistenza in cui “la guerra partigiana” non si proponeva di conquistare un altro paese o combattere un altro popolo, ma come lotta per la libertà, i diritti e la democrazia con, come obiettivo finale, quello della costituzione.
Come ci possiamo liberare dal mostro della guerra? Modificando o eliminando certe categorie legate a patria ed eroismo che portano alla inevitabilità o alla giustificazione della guerra, secondo concetti riportati in quasi tutti gli inni nazionali per cui “dio è con noi”! Se questo strumento dell’atlante ci aiuta a raccontare e conoscere le guerre, sul piano degli accusati in questo momento c’è la politica, con l’ampliamento degli investimenti in armamenti e la diminuzione di quelli in sanità, scuola e servizi: se vogliamo evitare le guerre è necessario lavorare per avare un ruolo attivo acquisendo dentro di noi il concetto che “la storia siamo noi”.
Sara Gorelli ha sottolineato come le vittime civili nelle guerre sono arrivate ormai al 93%, con lo spostamento delle guerre sempre più verso le città e quindi con vittime civili. Se in prima battuta viene da pensare ai morti, non dobbiamo dimenticare che in situazioni come Gaza ci sono 22.500 persone ferite, mutilate senza contare quelle che non possono curarsi, i 700 medici morti, le 220 ambulanze distrutte, gli ospedali che non ci sono più. Anche quando sarà “finita” la guerra chi curerà i malati di tumore, diabete?
I dati mostrano che nella guerra 1 persona su 5 sviluppa uno stress post traumatico, nel Donbass il 40%.
E’ importante combattere e denunciare la “non convenienza” della guerra, ma anche le conseguenze delle vittime civile e sul futuro delle persone e dei territori, anche perché tutto ci torna addosso, compreso il fenomeno della immigrazione: senza dimenticarsi di chi è costretto a rimanere lì perché senza braccia, senza gamba o con altri impedimenti.
“La storia siamo noi
Siamo noi che scriviamo le lettere
Siamo noi che abbiamo tutto da vincere
E tutto da perdere”