Il numero dei giovani occupati supera la soglia dei 3 milioni, di cui circa 1,8 milioni di uomini e 1,2 milioni di donne, vale a dire il 13,3% del totale degli occupati, e si stima che corrispondano al 6,6% del totale delle retribuzioni lorde da lavoro dipendente e sui profitti da lavoro indipendente. Il valore complessivo raggiunge i 52,2 miliardi di euro, il 2,5% del Pil. Tuttavia, i progressi complessivi non hanno superato il gender gap nell’occupazione giovanile, che è tuttora evidente: il divario tra i tassi di occupazione maschile e femminile, sebbene in lieve diminuzione, rimane significativo: nel 2023 si attesta a 10,4 punti percentuali (39,7% per i maschi contro 29,3% per le femmine). Un dato che unitamente a quello della crescita degli inattivi, quelli che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano nemmeno, dovrebbe raffreddare gli entusiasmi sulla crescita del mercato del lavoro.

Non siamo però solo il Paese dei NEET (Not in Education, Employment or Training), di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non sono occupati né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione (Neet in calo di 11 punti, dal 32% del 2016 al 21% del 2023, ma comunque al di sopra della media europea che è poco più dell’11). Ci sono anche 144.000 ragazze e ragazzi tra i 15 e i 29 anni che, grazie all’autoimprenditorialità, aprono attività in diversi settori, prevalentemente innovativi e tecnologici, battono la crisi, fanno impresa e creano lavoro. Sono gli EET (Employed Educated and Trained), gli anti–NEET, i giovani italiani diventati protagonisti di quell’economia delle competenze che esprime una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. È quanto emerge da un recente focus Censis-Confcooperative.

Gli EET sono ragazze e ragazzi che sfruttano le competenze acquisite e guardano all’attività d’impresa, che hanno investito in istruzione e vinto il timore di mettersi in gioco. Di questi 144mila giovani imprenditori, il 35,4% è presente nel Mezzogiorno, il 28,5% nel Nord Ovest, il 16,7% nel Centro, e infine il 19,4% nel Nord Est. Aumenta notevolmente il numero di titolari giovani di imprese in diversi settori specifici: fra il secondo trimestre del 2017 e il secondo trimestre del 2024, triplicano (+228,7%) le imprese giovanili che si occupano di pubblicità e ricerche di mercato, e aumentano del 206,4% quelle che offrono servizi di direzione aziendale e consulenza gestionale. Incrementi altrettanto rilevanti si registrano nella produzione cinematografica, televisiva e musicale (+65,9%), nella produzione di software e consulenza informatica (+52,4%), nei servizi postali e di corriere (+44,1%), nelle attività di leasing operativo e noleggio (+35,5%).

È un segnale importante il fatto che i settori in cui oggi si registrano maggiormente i giovani sono settori economici con una valenza sociologica estremamente particolare: pubblicità, gestione aziendale e istruzione. Negli anni di crisi profonde e di stasi preoccupanti del mercato occupazionale è restata salda la vitalità tipica dei giovani che non hanno smesso di puntare su sé stessi. Per questo si iniziano a intravedere i contorni di un’occupazione di “nuovo conio”. L’evoluzione del mercato occupazionale giovanile italiano evidenzia una marcata tendenza verso una “economia delle competenze”, con una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. Il significativo incremento del 3,1% nella quota di occupati con laurea e post-laurea, che ora costituisce il 23,5% del totale, rappresenta un chiaro indicatore di questa transizione. Parallelamente, la contrazione del 2,7% tra gli occupati con licenza media segnala una progressiva marginalizzazione delle competenze di base. Questa dicotomia spiega la profonda ristrutturazione del tessuto produttivo nazionale verso settori a elevato valore aggiunto e intensità tecnologica, che necessitano di una forza lavoro dotata di skill avanzate e specialistiche.

Tale evoluzione nel panorama occupazionale pone l’Italia di fronte alla sfida cruciale di allineare il sistema formativo alle esigenze di un’economia sempre più imperniata su competenze e sull’innovazione continua, per evitare il rischio di un mismatch strutturale tra domanda e offerta di skill. La stabilità della quota di diplomati (59,9% nel 2023) suggerisce che questo gruppo rimane il più rappresentativo tra i giovani occupati sottolineando l’importanza di politiche che promuovano non solo l’istruzione superiore, ma anche percorsi formativi diversificati e allineati alle esigenze del mercato, garantendo al contempo pari opportunità di accesso e progressione di carriera indipendentemente dal genere. Subiscono però diminuzioni significative alcuni settori: le imprese di attività ricreative (arte, sport, intrattenimento, -38%), le attività di sanità e assistenza sociale (-40,2%), il commercio all’ingrosso e al dettaglio (32,7%) e le attività di alloggio e di ristorazione (-31,8%).

Qui per approfondire: https://www.youtube.com/watch?v=EHRxL5k3BlA.