Riceviamo e pubblichiamo dalla giornalista e scrittrice Giancarla Codrignani
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No, von Klausewitz non aveva ragione: la guerra non è la prosecuzione della politica con altri mezzi.
Al contrario. E’ l’abbandono della politica perché si rinuncia alla parola.
Il “dialogo” non è le due chiacchiere con gli amici, è la ricerca di un’intesa anche con gli sconosciuti quando ci troviamo su sponde diverse di un fiume: lo sconosciuto o il mal conosciuto non è il nemico.
Tuttavia la logica amico/nemico, purtroppo, non è realistica solo per Karl Schmitt: per accettarla bisogna però essere totalmente pessimisti sulla natura dell’uomo.
Sulle sponde del fiume entrambe le parti credono buona la propria posizione e diffidano di quella dell’altro, che, non conosciuto, si fa nemico.
Senza esplicitare intenzioni si diventa contendenti e ciascuna delle due parti è convinta di combattere la “guerra giusta”.
Per la dottrina militare tocca alla società mantenere la sicurezza e, quindi, predisporre i mezzi per poi difenderla.
Se “arriva” la guerra, va condotta, ovviamente, secondo il diritto internazionale (Jus ad Bellum e Jus in Bello). In teoria l’esercito resta passivo in attesa dell’esplosione.
Il gen. Carlo Jean ricorda che il ricorso alle armi può essere evitato “con la dissuasione realizzabile in due modi: o con l’equilibrio delle forze – di cui l’equilibrio del terrore e la minaccia di rappresaglie “di secondo colpo” della guerra fredda rappresentano la variante più stabile avvenuta nella storia – oppure con la superiorità degli Stati che, soddisfatti dello status quo, sono disponibili a ricorrere alle armi contro le potenze revisioniste che vorrebbero modificarlo con la forza.
Le armi non sono, quindi, utili solo per combattere. Lo sono – a parer mio, soprattutto – per mantenere la pace”.
Da sempre i militari sono i primi difensori della pace.
Si dà però il caso che oggi le armi sono passate dal sasso al drone, al nucleare miniaturizzato, all’elettronica e ad armi autonome dichiaratamente dette letali per fare il maggior male possibile al presunto nemico, che una settimana prima era un turista o un fornitore di beni mercantili.
Sempre giurando sui principi del diritto internazionale e massacrando i bilanci sociali per acquisire sempre più armi e fornire profitti a questo genere di produzione.
Al recente Teha (The European House del Forum Ambrosetti) è intervenuta la regina di Giordania Rania per ricordare – in una sede in cui i temi in discussione erano di natura economica e riguardavano la sicurezza in termini di produttività, profitti, interessi – che la pace giusta esige la sicurezza reciproca in termini di responsabilità internazionale purché applicata.
Non sarà sicura Israele se commette illeciti e non sarà sanzionata: il diritto Internazionale deve prevalere senza eccezioni e i diritti umani sono assoluti, non negoziabili.
Escludendo comunque dalle trattative chi, come Hamas, legittima lo sterminio, non può essere messo da parte il sistema di regole che l’umanità si è data perché ci ha creduto e “deve” continuare a crederci.
Le regole sono state create per realizzare un mondo sicuro per tutti e tutti debbono sottomettervisi, per evitare tragedie irreparabili.
Sembra impossibile che nella vita civile due persone che entrano in rotta di collisione non passano alle vie di fatto, ma ricorrono al tribunale per ottenere la mediazione di un giudice terzo secondo la legge non scritta della fiducia nell’uomo e il rispetto delle leggi vigenti, mentre offese o abusi analoghi tra nazioni finiscono per esasperare il conflitto e portare alla prova di forza, alla guerra.
Se i governi delle singole nazioni sono universalmente chiamati alla tutela della pace, è ipocrisia impegnare la parola d’onore sui principi e disonorarli nei fatti.
Anche perché si diventa complici delle troppe vittime, costituite da civili, da bambini, ma anche dai soldati; le distruzioni di case che sono come le nostre e il perpetuarsi dell’odio nelle generazioni che non potranno dimenticare gli autori delle stragi e delle devastazioni.
E’ il grande spreco, l’impoverimento, la minaccia sul futuro dell’Europa a cui è stato impedito di celebrare ottant’anni di pace interna come non era mai successo.
Le chiese, non tutte, hanno capito: i fondatori non immaginavano i principi strumento di sterminio degli avversari.
I cristiani hanno fatto ammenda delle crociate, delle guerre di religione, del sostegno alla pena di morte che hanno sporcato la loro storia.
Le Nazioni Unite hanno istituito Agenzie specializzate per collegare le esigenze diverse.
Recentemente si è istituito un Tribunale Penale Internazionale per giudicare i responsabili di efferatezze e violazioni dei diritti umani, ma i processi avvengono quando le vittime sono ormai irrisarcibili.
Il nemico è la guerra. Che costa soprattutto quando finisce.
La Grande Guerra, immaginata come una rapida scorreria a completamento del Risorgimento, durò oltre un triennio e lasciò il paese stremato, oltre che per i lutti, per la povertà, la disoccupazione, i reduci da sistemare, i mutilati da reintegrare, la debolezza del governo, la divisione dei partiti, l’ideologia rivoluzionaria, gli scioperi del Nord, le violenze e gli assassinii dei gruppi fascisti.
La guerra produsse il regime liberticida, che, alleato del nazismo, portò alla seconda guerra mondiale, la guerra più tragica.
Da allora i Ministeri della Guerra rinnegarono il nome: ora in tutto il mondo ci sono solo Ministeri della Difesa.
E’ già molto, ma se si crede nella difesa e il principio è di tutti, nessuno dovrebbe offendere, altrimenti si torna alla casella precedente: “si cerca” la guerra.
Il 24 febbraio 2022 Putin invade l’Ucraina.
Un esercito non lo si schiera la mattina per il pomeriggio e con gli strumenti satellitari ed elettronici da una settimana le cancellerie dei paesi vicini sapevano.
Una volta entrati i russi oltre le frontiere, tutti fermi a vedere come reagiva Zielinski ?
Il 7 ottobre 2023 Hamas esce dai tunnel commette una strage infame.
Lasciamo da parte l’attentato al King David del 1946 e la costituzione di uno Stato di Israele senza un analogo “Stato” palestinese nel 1948: da allora non c’è mai stata pace, solo stragi e vendette delle vendette.
Tutti sapevano che da soli palestinesi e israeliani non ce l’avrebbero mai fatta a convivere civilmente.
Ma non c’è stato nessun mediatore per quasi ottant’anni.
No, la guerra non è la prosecuzione della politica.