(DIRE) SHENGJIN, (Albania)

“L’accordo Italia-Albania sui migranti è il primo nel suo genere, un esperimento negativo anche per noi albanesi perché crea precedenti pericolosi. È la prima volta che un paese terzo europeo viene utilizzato per creare campi chiusi dove le persone vengono trattenute contro la loro volontà”.

Elira Kadiu è una giornalista di Citizens Channel,un sito online di giornalismo partecipativo, che promuove “tolleranza, libertà e diritti fondamentali”.
Con la Dire commenta il Protocollo siglato tra i governi di Roma e Tirana per creare nel suo paese un hotspot e un centro per il trattenimento e il rimpatrio dei migranti, presentato come un “modello” per la gestione dei migranti che attraverso il Mediterraneo raggiungono l’Italia, e per accelerare le procedure di frontiera e rimpatrio.

Il piano, che ha ottenuto anche il plauso della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, è partito in settimana con l’arrivo del primo gruppo di sedici cittadini egiziani e
bengalesi, poi ridotto a dodici, e infine a zero: sono stati rimpatriati stamani da Shengjin con una nave della Guardia costiera dopo la sentenza di non convalida del fermo da parte dei giudici di Roma.
Ma fonti informate affermano che l’esecutivo non intende rinunciare e invierà un secondo gruppo la settimana prossima.

Kadiu continua: “In tutti questi mesi abbiamo cercato di ricordare al governo albanese e di spiegare ai nostri lettori che questo accordo è un gioco politico, dietro al quale ci sono le
vite personali di esseri umani.
Queste persone intraprendono un viaggio molto pericoloso- continua la cronista- e nessuno di loro sceglie l’Albania come destinazione, un Paese che ogni anno vede a sua volta partire migliaia di suoi cittadini”.
L’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) riferisce che l’Albania presenta il tasso di emigrazione più alto, in rapporto alla sua popolazione, tra i paesi dell’Europa
centrale e orientale.
Tra il 1989 e il 2001, circa 710mila persone hanno lasciato il Paese delle aquile, pari al 20% del totale.
I primi paesi per numero di arrivi sono, per ragioni di prossimità, Grecia e Italia.
Le partenze, molto sostenute dopo gli anni novanta e la fine del governo comunista a causa di
povertà e mancanza di prospettive, nell’ultimo decennio hanno rallentato, registrando anche decine di migliaia di ritorni.
Ma le rimesse dall’estero costituiscono ancora una importante fetta di reddito per le famiglie che restano in Albania.
Nel 2010 poi,con la liberalizzazione dei visti per i cittadini albanesi nell’area Schengen, è anche venuto meno il fenomeno degli “irregolari”.

L’accordo con l’Italia promosso dal governo guidato dal primo ministro Edi Rama è stato presentato come un modo per restituire all’Italia l’aiuto ricevuto dal 1990 in poi, e non come un “lasciapassare” per entrare a pieno titolo nell’Unione europea,come Tirana auspica da diversi anni.
Come continua Kadiu, “tante organizzazioni locali e internazionali hanno chiesto al governo
di riflettere due volte sul Protocollo, e noi abbiamo dato voce a questi appelli”.
Secondo la giornalista l’intesa, che prevede 653 milioni di euro in cinque anni e la costruzione di due strutture, “consiste in un pezzo d’Italia sul territorio albanese.
Ci chiediamo quindi chi sarà a garantire il rispetto dei diritti delle persone migranti, e chi si occuperà di salvaguardare la loro salute fisica e mentale.
La persona inoltre avrà solo quattro settimane per la richiesta di asilo, un tempo insufficiente- sostiene la cronista- considerando che in Italia il processo può richiedere dai sei mesi a un anno.
Terzo, non ci sarà abbastanza tempo per contattare avvocati, esperti legali o organizzazioni per i diritti umani che possano assisterli, poiché tutta la struttura di supporto sarà italiana. Senza dimenticare il fatto che recentemente il nostro primo ministro ha dichiarato che ciò che accade all’interno dei campi non è un problema dell’Albania”.
La sensazione di Kadiu è che l’attuale esecutivo albanese voglia “lavarsi le mani da qualsiasi responsabilità su ciò che potrebbe accadere nei centri”.

Ma la vicenda ha innescato anche un altro meccanismo: “Una certa retorica xenofoba da parte di funzionari albanesi, come il sindaco di Lezha”, Alessio in italiano, città non lontana da
Gjader, “che ha diffuso materiale ridicolo su internet ritraendoi rifugiati in una luce negativa.
Questo insieme alla confusione,alla mancanza di trasparenza e all’arbitrarietà con cui è stato stipulato l’accordo”. Opacità che secondo Kadiu “la dice lunga anche sui diritti civili nel nostro Paese, che pretende di ospitare rifugiati”.
Un altro problema è “la vulnerabilità di genere”: “dato che verranno portati in Albania solo uomini-evidenzia la media attivista- verranno separate le famiglie. Le donne, eventualmente coi figli, saranno sole in un paese sconosciuto”.
Altro dato “molto importante” è che “queste persone non vengono informate del fatto che verranno portate in Albania;lo scopriranno in mare, quando verranno intercettate dalle navi italiane”, come hanno testimoniato i primi arrivati a inizio settimana con la nave Libra.
“Questa- avverte Kadiu- è una tattica per dissuadere i rifugiati dall’intraprendere il viaggio
ma lede i diritti di queste persone non è affatto un fattore di dissuasione. Aumenta solo le sofferenze”.
Pertanto secondo la giornalista la decisione del Tribunale di Roma di non convalidare il trattenimento dei migranti in Albania,ordinando il rientro in Italia, “è una buona notizia. Finalmente un’istituzione ha reagito correttamente prendendo in considerazione la decisione della Corte di Giustizia Europea sui paesi sicuri e mette in dubbio l’operatività del centro di
Gjader, sapendo che la maggior parte degli immigrati fermati nel Mediterraneo, il cui obiettivo finale è l’Italia, provengono da paesi non sicuri.
Spero che questo tipo di decisione influenzi il destino di questo accordo sperimentale, che purtroppo sembra ispirare anche altri paesi a violare i diritti degli immigrati,come ad esempio il governo conservatore dell’Olanda, che sta valutando la possibilità di inviare migranti africani a cui è stato negato l’asilo in Uganda”.