“Ci sono state decine di manifestazioni pacifiche per i diritti dei palestinesi. La differenza in quella di ieri a Roma è stata la decisione del governo di negare il diritto di scendere in piazza. Qual è la ragione per cui la situazione si è fatta tesa? Si è negato il diritto di manifestare. Chi dice il contrario sta operando una forma di vittimizzazione secondaria, dando responsabilità a chi era in piazza, e che è stato invece colpito senza senso, da una polizia che rispondeva a logiche di bassissimo tornaconto politico”. Cosi si apre il reportage di Christian Raimo sulla manifestazione di ieri – pubblicato su appunti.substack.com – che abbiamo ritenuto opportuno dover riprendere per dare nelle nostre pagine un quadro d’informazione più completo possibile della narrazione sui fatti della mobilitazione pro-Palestina vietata preventivamente dal governo[accì]
Come doveva andare a finire la manifestazione di ieri a Roma? Per ore Piazzale Ostiense non ha risposto a nessuna regola politica o di ordine pubblico, ma semplicemente a leggi fisiche. Se si reprime il dissenso, la stessa possibilità di protesta, se si delegittima il diritto di manifestare, quella rabbia sarà letteralmente immediata, come in un processo di azione e reazione.
In questi giorni si è letto tutto quello che si immaginava, e anche stamattina: dal fatto che ci sarebbero stati atti terroristici alle storie sugli infiltrati.
Questo copione della manifestazione violenta, da reprimere con lacrimogeni e cariche, è stata costruita con vigliacchissima insistenza da un governo che è letteralmente incapace di immaginare la democrazia.
Nessuna delle manifestazioni precedenti per la Palestina è stata violenta, e come ieri le molte e grandi piazze che si sono animate per la fine della carneficina di Gaza per mesi e mesi sono sempre state riempite da una folla eterogenea, composta in molti da casi da studenti, famiglie, ragazzini, anziani…
C’erano anche ieri, li abbiamo visti, si vedono dalle immagini, bambini portati sulle spalle dai genitori, persone disabili, che decidono di uscire dalla piazza prima che la situazione si facesse troppo tesa, ossia di non arrivare a quel momento in cui manifestare si riduce semplicemente all’allerta, stare e correre, preoccupati di non lasciare qualche compagno isolato o esposto o indietro.
Non soltanto li abbiamo visti, ma li abbiamo protetti.
Abbiamo da giorni avvertito le reti di solidarietà: non passate di lì, da quella parte si esce, questi sono i numeri degli avvocati in caso di fermo, lì ci sono i presìdi medici…
C’è un riflesso condizionato che ha introiettato chi ha vissuto la stagione di repressione di Napoli e Genova 2001, proprio questa di un’allerta per una violenza poliziesca che può scatenarsi in pochi minuti e in pochi metri, che però è preparata però da un meticoloso ordine repressivo.
Arrivare a piazzale Ostiense ieri voleva dire entrare in un remake di una perimetrazione da zona rossa, con le strade completamente transennate da grate e camionette. Voleva dire essere al centro di una stia circondati da 1600 poliziotti.
Le colpe di politica e media
Quindi, qual è la ragione per cui la situazione si è fatta tesa? È una sola. Si è negato il diritto di manifestare. Chi dice il contrario sta operando una forma di vittimizzazione secondaria, dando responsabilità a chi era in piazza, e che è stato invece colpito senza senso, da una polizia che chiaramente rispondeva a logiche non di gestione dell’ordine pubblico, ma di bassissimo tornaconto politico.
La vittima non soltanto è chi si è preso le cariche e le manganellate e i lacrimogeni, chi è stato costretto a scappare, ma anche chi semplicemente si è trovato a dover girare la piazza per tre ore come un criceto perché demenzialmente non è stato concesso un corteo.
Quel corteo ieri aveva diritto a sfilare, era un corteo che non solo difendeva le idee di chi era in piazza, ma il diritto di tutti a fare politica.
Il disegno di legge Sicurezza, come queste idiote forme di repressione, sono un pericolo persino per le forze dell’ordine, che non hanno la possibilità di mediare il conflitto in strada, ma devono comprimerlo per ore, in una condizione chiaramente extraistituzionale, che è stata nutrita giorni e ore prima, i fermi alle stazioni e ai pullman, il controllo capillare dei documenti: un improvvisato, pagliaccesco stato di polizia.
Chiunque l’ha potuto vedere, ci sono decine di testimonianze: le trattative perché si svolgesse un corteo sono state una presa in giro.
Quando si è capito che non si era riusciti a trasformare questa chiamata alla piazza in un fallimento, perché i numeri, gli slogan, la composizione, dicevano il contrario, si sono portate le condizioni della manifestazione a una tale esasperazione che era facilissimo definirle come pretesto oggi per raccontare un mondo che non esiste, quello del dissenso propalestinese come terrorista. È un mondo che non esiste.
A fare da cordone sanitario a questo scempio ci sono almeno due catene di corresponsabilità: la classe politica e i media.
Molte persone erano in piazza ieri, come è successo altre decine di volte, negli scorsi mesi, non perché sono sostenitori di Hamas o di Hezbollah, ma perché sono contro il terrorismo dell’esercito di Israele, o perché semplicemente sono per il cessate il fuoco, o ancora più semplicemente perché vogliono difendere il diritto di manifestare e sperano – come è accaduto ieri – che sia evidente a tutti che, nonostante questa repressione ignobile, le persone in piazza continueranno a scendere.
Anche i sedicenni che si sono presi per la prima volta dei lacrimogeni in vita loro, nei prossimi giorni e mesi, la sapranno raccontare meglio dei rappresentanti politici e dei giornalisti questa piazza, fosse anche soltanto perché c’erano, e impareranno a proteggersi non solo dai gas urticanti ma da tutte le cazzate sugli slogan di Hezbollah o sulle frange violente.