Lo scorso 9 ottobre, davanti alle commissioni Ambiente e Attività produttive della camera dei deputati, il ministro Pichetto Fratin ha reso noti gli indirizzi del governo in materia di energia nucleare e gestione dei rifiuti radioattivi.

Si tratta di un approccio meno roboante di quello che ebbe quattordici anni fa il governo Berlusconi, ma assolutamente generico ed inconsistente nel definire la validità di questa scelta che apre di nuovo le porte alla costruzione di reattori nucleari nel nostro paese.

Le tappe di questo rilancio prevedono che entro fine ottobre siano resi noti i lavori della struttura denominata “Piattaforma per un nucleare sostenibile” al fine di elaborare un vero e proprio “Programma nazionale per un nucleare sostenibile” (PNNS).

Contestualmente, entro fine 2024, dovrebbe essere pronta la bozza per una legge delega da portare in Parlamento in cui si conferiscono al Governo pieni poteri di realizzare il PNNS attraverso decreti attuativi da emanarsi successivamente.

Questo aspetto è decisamente preoccupante sia perché lo strumento della legge delega, una volta approvata, attribuisce al governo poteri legislativi – su una materia come il nucleare – decisamente superiori a quelli che avrebbe il Parlamento allorché chiamato ad esprimersi sui singoli aspetti di cui si compone questa materia; sia perché questa legge delega -come sottolineato da Pichetto Fratin – ha per scopo la revisione di tutto l’ordinamento legislativo (dalla governance all’iter autorizzativo) che sovrintende alla applicazione e sviluppo dell’energia nucleare, sia nel campo della ricerca che in quello della realizzazione degli impianti nucleari.

Dal punto di vista dei programmi di costruzione dei reattori, il ministro ha ipotizzato uno scenario niente affatto conservativo, come lui invece ha tenuto a precisare, dato che si prevedono:  400 Mw elettrici al 2035; 2000 Mw al 2040; 3500 Mw al 2045 e 8000 al 2050, vale a dire la messa in funzione di oltre 500 Mw all’anno in 15 anni che costituiscono un programma assolutamente irrealistico.

Ma di quali reattori si tratterebbe? Qui Pichetto Fratin  ha riproposto tutta la vulgata generalista che indica nei reattori SMR (che sta per Small modular reactors) la soluzione nuova, sicura ed economicamente vantaggiosa della tecnologia nucleare, senza mai fornire un dato numerico o quantitativo che consenta una effettiva valutazione di questi conclamati vantaggi.

Sulla reale consistenza di questi attributi degli SMR ho già espresso il mio parere (https://www.pressenza.com/it/2022/09/come-orientarsi-di-fronte-alla-ennesima-campagna-in-favore-del-nucleare/) per cui mi limiterò a sottolineare che l’unico progetto di SMR finalizzato a tutt’oggi, quello della società NuScale negli Stati Uniti, è fallito. 

Circa dieci anni fa la Utah Associated Municipal Power Systems (UAMPS) aveva raggiunto un accordo con la NuScale per costruire un reattore composto da 12 unità da 50 Mw (per un totale di 600 Mw) ad un costo chiavi in mano di 3 miliardi di dollari. L’entrata in esercizio era prevista intorno al 2023, ma nel 2018 NuScale ha annunciato una modifica del progetto con moduli da 60 Mw (720 MW in totale), sostenendo che ciò avrebbe ridotto il costo base di costruzione da un iniziale 5.000 $/Kw a circa  4.200 $/Kw. 

I costi stimati del progetto però salivano considerevolmente: da  4,2 miliardi di $ nel 2018, a 6,1 miliardi nel 2020 e infine a 9,3 miliardi nel 2023, essendosi nel frattempo ridotta la potenza totale da 720 Mw a 462 MW nel 2021. Alla fine, i costi erano chiaramente troppo alti da sostenere per i membri UAMPS, che hanno abbandonato il progetto.

A cosa è dovuto questo aumento vertiginoso dei costi? Mettendo da parte l’inflazione (dato comune a qualsiasi investimento tecnologico) il costo del Kw installato è cresciuto per due motivi sostanziali: l’aumento del prezzo dell’uranio e dei servizi di arricchimento (questi reattori sono mediamente più arricchiti dei precedenti) e il fatto che i presunti risparmi nei costi di costruzione derivabili dalla  possibilità di costruire in fabbrica “pezzi” di impianto (cioè i moduli veri e propri che danno nome a questa tipologia di reattori SMR) per poi assemblarli sul sito dell’impianto, si è rivelata in buona parte infondata. Per quanto piccole siano le unità (50-70 Mw) infatti, la possibilità di fabbricare moduli è circoscritta alla parte convenzionale dell’impianto (cioè circuito acqua-vapore e turbina-alternatore) mentre tutta la parte prettamente nucleare contenuta nell’edificio reattore (nocciolo e circuiti accessori) data la sua delicatezza e complessità, mal si presta ad una realizzazione di tipo modulare. Infine non va mai dimenticato che questi SMR non sono affatto piccoli come si vuol far credere perché, dati alla mano, hanno una configurazione finale compresa tra 300 e 600 Mw (modelli General Electric; Roll Royce; Westinghouse oppure NuScale con più unità base da 50-70 Mw accoppiate), cioè il doppio o il triplo di ognuna delle nostre vecchie centrali nucleari, Garigliano, Latina e Trino Vercellese.

L’esito del progetto NuScale, in ogni caso, non rappresenta un’eccezione in quanto è sintomatico di una connaturata ed insuperabile difficoltà della tecnologia nucleare a rispettare costi e tempi di costruzione di questi impianti. Uno studio accademico1 del 2014 ha esaminato 180 progetti di energia nucleare in tutto il mondo rilevando che 175 di essi, al momento del loro completamento, avevano superato il budget iniziale mediamente  del 117%, con un allungamento medio dei tempi di consegna del 64%. 

Rifiuti nucleari: dietro-front sul Deposito nazionale

La novità vera – se così si può dire – della strategia nucleare del Governo Meloni, sta nella (non) chiusura del vecchio ciclo nucleare italiano.

Pichetto Fratin ha detto, senza mezzi termini, che l’istruttoria per il Deposito nazionale (che apparentemente risultava in dirittura d’arrivo con l’individuazione di 51 siti idonei) non potrà concludersi, nella migliore delle ipotesi, che prima del 2029, onde per cui il Deposito potrà essere pronto (forse) nel 2039. Nel frattempo si pensa di ammodernare almeno quattro degli attuali siti che ospitano rifiuti nucleari ad alta attività (Saluggia, Ispra, Casaccia e Trisaia) per garantirne l’operabilità in attesa di una sistemazione definitiva di questi rifiuti (soluzione peraltro caldeggiata da Greenpeace).

Quale sarebbe questa soluzione definitiva secondo il ministro? Un deposito geologico, preferibilmente trasnazionale, ( soluzione a suo tempo ventilata anche da Lega Ambiente) che accoppiato con i nuovi reattori AMR (Advanced modular reactors) rappresenterebbe la svolta ideale in quanto questi reattori (su cui il governo intende investire) bruciano le scorie ad alta attività durante il loro funzionamento.

Esibizione decisamente fantasmagorica quella di Pichetto Fratin in tema di sistemazione/riciclo dei rifiuti nucleari in quanto l’idea di un deposito trasnazionale europeo data già da parecchi anni (progetto ERDO)2 ed è ferma a soluzioni tecnologiche piuttosto ardite (collocazione in tunnel profondi che si estendono anche orizzontalmente), ma che vede un interesse assai limitato nei paesi membri della unione europea (otto su ventisette e precisamente Norvegia, Danimarca, Olanda, Polonia, Croazia, Slovenia, Austria e Italia) scontando, evidentemente, la più logica delle impasse: in un contesto europeo dove è prevalente l’avversione dei cittadini di qualsiasi paese alla localizzazione di un deposito geologico destinato ad ospitare i propri rifiuti nucleari, come si può pensare che venga accettata l’idea di un deposito che ospiti anche i rifiuti provenienti da altri paesi?

Quanto all’idea di sviluppare reattori che “bruciano le scorie” (evidente l’allusione alla torinese NewCleo) è tutta di là da venire trattandosi, al momento di un progetto che non ha raggiunto nemmeno lo stadio del prototipo.

La soluzione presentata dal governo -rinvio sine die del Deposito nazionale per non dire abbandono – se da un lato allontana opportunisticamente il contenzioso con i comuni italiani coinvolti nella sua localizzazione, dall’altro costituisce un serio e reale pericolo per la sicurezza delle popolazioni residenti nelle vicinanze degli attuali depositi temporanei.

Queste località infatti (tra cui le quattro sopra indicate) non sono state selezionate sulla base di quei criteri tecnici, scientifici e socio-ambientali che si applicano ai siti di stoccaggio e quindi sono costantemente a rischio di incidente: il sito di Saluggia, esposto agli straripamenti della Dora Baltea, ne è l’esempio più noto, ma non tutti sanno che, oltre al problema della Dora, c’è quello delle acque di falda la cui quota massima riscontrata è di 170,60 m s.l.m, mentre il rilevato su cui poggiano i depositi dei rifiuti si trova a quota 171,80 m, vale a dire appena 1, 2 metri più in alto! Tuttavia, si dice, si potrebbero migliorare le loro condizioni di sicurezza, ma a ciò si oppongono tre ordini di motivi: il primo è che qualunque intervento di tipo ingegneristico non potrebbe modificare le loro caratteristiche idro-geologiche che ne fanno siti non adatti ad ospitare rifiuti nucleari; il secondo è che gli eventuali nuovi depositi sarebbero comunque temporanei sia per i rifiuti di bassa attività (per i motivi suddetti), sia per quelli ad alta attività che in ogni caso dovrebbero essere destinati ad un deposito geologico; il terzo motivo è che in questi siti non c’è spazio per ospitare adeguatamente la massa di rifiuti proveniente da altri siti o che verranno prodotti nel frattempo, né gli impianti necessari al loro trattamento.

Concludendo: nonostante il Governo in carica ci tenga a presentare il suo piano nucleare come propedeutico alla riduzione dei combustibili fossili e complementare allo sviluppo delle rinnovabili, il programma di messa in servizio di nuove centrali nucleari risulta tanto più aggressivo quanto più irrealizzabile. Appare evidente inoltre, l’intenzione di semplificare l’iter autorizzativo di questi impianti – in sintonia con quanto si vuol fare in tema di grandi opere – che potrebbe avere serie ripercussioni riguardo alla loro sicurezza.

Contestualmente viene derubricata l’importanza e l’urgenza della chiusura del vecchio ciclo nucleare, rinviando ai posteri la realizzazione del Deposito nazionale; decisione questa che dovrebbe essere contestata da chi, opponendosi al nuovo nucleare, non può ignorare i rischi derivanti dalla non chiusura del vecchio nucleare.