Lo scorso fine settimana abbiamo partecipato alla conferenza “Le condizioni di salute nelle carceri turche” organizzata dal Congresso Democratico dei Popoli (HDK), accogliendo con calore e gioia il loro invito ad Istanbul, insieme ad altre realtà sociosanitarie autonome provenienti dall’Europa, per lo più da Germania e Grecia.

Abbiamo tuttavia avvertito il bisogno di aspettare alcuni giorni per far sedimentare l’esperienza e raccontarla a seguito di una riflessione collettiva. Pensiamo che sia giusto partire dalla condivisione delle emozioni che ci hanno pervaso. Sono state due giornate intense e ricche di relazioni e condivisioni, nelle quali ex detenut3, avvocat3 e medic3 hanno testimoniato sulle condizioni inumane, vissute sulla loro pelle e su quella dei loro affetti, delle carceri, luoghi descritti come inumani e inadatti all’esistenza.

Quell3 di cui abbiamo ascoltato le storie sono prigionier3 politic3, accusat3 di terrorismo e incarcerat3 dal regime turco del fascista Erdogan per la loro identità curda, e per le strenue lotte portate avanti per il riconoscimento delle loro esistenze.

L’illegittimità del trattamento riservato è evidente. A differenza dell3 detenut3 ordinari3, l3 prigionier3 politic3 non hanno diritto allo sconto di pena, che consentirebbe di dimezzare la detenzione da scontare nelle mura carcerarie per buona condotta. Per ottenere tale trattamento, all3 prigionier3 politic3 viene richiesto difatti di ritenersi colpevoli della loro condanna, che in altre parole significa rinunciare alla propria identità curda.

Questa prassi si verifica anche al momento del rilascio, che può essere posticipato arbitrariamente dal ministero della giustizia di sei mesi in sei mesi, senza obbligo di comunicazione al detenuto che continua a proclamarsi innocente.

Abbiamo ascoltato drammatiche parole che raccontavano lunghissimi periodi di isolamento punitivo della durata di molti anni, senza alcuna possibilità di visite o chiamate da familiari ed amici.

L’isolamento subdolamente si insinua in ogni aspetto della vita del prigioniero politico. La trasmissione dei canali televisivi e l’accesso alle fonti di informazione passano sotto la scrupolosa supervisione del Ministero della Giustizia, ed ogni sorgente emittente che si oppone al sistema non raggiunge le celle di quest3 detenut3.

I costanti trasferimenti forzati di prigione in prigione lontane centinaia di chilometri da casa e dalla possibilità di essere visitati dai familiari accrescono l’isolamento. Regimi di isolamento come questi sono finalizzati alla tortura psicologica dell3 detenut3 ed al loro indebolimento, a creare in loro un senso di solitudine completa, a spezzare ogni legame e senso di appartenenza al fine di piegarne la volontà.

Come testimoniato dalle loro parole, la violenza è anche fisica, perché la detenzione trascorre in celle spoglie, minuscole o sovraffollate, con l’ora d’aria spesso spezzata in due mezz’ore non consecutive.

Abbiamo ascoltato terribili testimonianze di malattie e morte in luoghi insalubri, troppo freddi o troppo caldi, in cui si è costretti a bere acqua contaminata, costruiti appositamente nei pressi di luoghi industriali ad altissimo inquinamento, rendendo le neoplasie polmonari e mammarie dominanti entro le mura delle prigioni, così come l’aggravamento di ogni cronicità.

Le visite presso le infermerie penitenziarie vengono raccontate come violenze ulteriori, in cui ogni malattia o dolore viene interpretato dal personale sanitario – appositamente scelto dalle direzioni e sotto il controllo del Ministero della Giustizia – come una somatizzazione di sofferenze e pertanto medicalizzato come patologia psichiatrica, con un abuso prescrittivo di psicofarmaci e antidepressivi a dosaggi fino a 10 volte superiori rispetto alle raccomandazioni internazionali. Tali terapie vengono imposte all3 prigionier3 ed il rifiuto delle stesse rischia di trasformarsi in una sanzione disciplinare che porterebbe ad ulteriori anni di reclusione.

L’invio presso centri ospedalieri, reso umiliante da obbligatorie ispezioni orali ed anali, viene sistematicamente ritardato di mesi, come di conseguenza la diagnosi delle patologie, ed è
caratterizzato da pregiudizio e violenza da parte degli operatori sanitari ospedalieri.
Non ultima, anche la sperimentazione di nuove molecole prevede l’utilizzo di detenut3 come nei peggiori esperimenti nazisti d’altri tempi, garantendo una commissione al personale medico colluso.

Abbiamo ascoltato parole di donne e uomini che da fuori hanno fatto e continuano a fare di tutto per liberare compagn3 e familiari dall’abominio detentivo, interrogando costantemente ONG ed associazioni, vagliando ogni riga nei testi del diritto internazionale e dei diritti umani, che vengono sistematicamente calpestati dal primo all’ultimo giorno di galera. Momenti di confronto come la
conferenza cui abbiamo partecipato servono infatti a creare strade e rotte da seguire in futuro, aumentando la consapevolezza internazionale sulle torture in corso da oltre 30 anni fra le mura delle prigioni turche.

Ma soprattutto, abbiamo ascoltato parole di forza e speranza, parole che raccontano la vita e la gioia della lotta politica per la resistenza e la vittoria. Abbiamo ascoltato parole nelle quali il carcere assume una dimensione di lotta collettiva, in cui ogni detenut3 ha qualcosa da condividere con l’altr3, creando supporto sanitario, scambiandosi libri e racconti, pratiche di lotta e di
resistenza pacifica e non, senza lasciarsi mai sol3.

Abbiamo compreso come il carcere stesso sia un momento di passaggio costruttivo nelle vite dei detenuti politici, ribaltando con forza il desiderio fascista di vedere le teste piegate e mansuete, una forza sì individuale ma costruita nella e con la collettività, dentro e fuori le mura.

Le condizioni in ogni carcere turco non rispecchiano però quelle in Imrali, l’isola infernale dove il leader del movimento curdo Abdullah Ocalan è rinchiuso in isolamento dal 1999, dove dal 2019 sono state impedite le visite anche per i suoi avvocati e risale al 2021 l’ultima chiamata con la famiglia, un contatto telefonico con il fratello della durata di soli 3 minuti. Da allora non si hanno più sue notizie, non si conoscono le condizioni di detenzione, né si è certi sia ancora in vita. Dai racconti ascoltati dal team di avvocati, che segue il caso dopo che l’Italia lo ha consegnato docilmente nelle mani fasciste, si può drammaticamente comprendere la massima espressione di crudeltà e violenza dell’isolamento estremo.

È peraltro di pochi giorni fa un’intervista rilasciata da Massimo D’Alema, all’epoca dei fatti presidente del consiglio, dove ammette come Bill Clinton abbia forzato l’Italia a non rilasciare lo status di rifugiato politico quando nel 1998 Ocalan era in territorio italiano mentre i servizi segreti turchi erano alle sue calcagna. Dopo tanti anni a rendere ancor più chiaro come il suo incarceramento sia figlio di un complotto internazionale e del ruolo dell’Italia in questo complotto.

Sappiamo bene, come personale sanitario, quanto il carcere intervenga sulla maggior parte dei determinanti sociali della salute, quali per esempio l’accesso ad acqua e cibo adeguato, ad aria pulita, a mantenere reti e relazioni sociali con le persone amate, e come la sistematica assenza di questi determinanti sia una chiara volontà politica atta ad ammalare i corpi e fiaccare le volontà.
Soprattutto per quanto riguarda l3 prigionier3 politic3, arrestat3 ed incarcerat3 per l’appoggio al movimento curdo o per rivendicare la propria identità culturale.

Nelle periferie delle nostre città, a Quarticciolo, a Diyarbakir ed in tutto il mondo, il carcere ha la stessa odiosa funzione di dominio di classe, repressione, tortura. E purtroppo l’Italia non è da meno: vale la pena qui ricordare che mentre scriviamo queste righe si sta avviando la
sperimentazione di un nuovo tipo di colonialismo detentivo, che prevede il trasferimento di migranti richiedenti asilo soccorsi in acque internazionali presso un nuovo ed ancor più illegittimo CPR, costruito in Albania grazie alla volontà della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e all’appoggio del premier finto socialista Edi Rama, probabilmente smemorato sul suo trascorso biografico in Europa per sfuggire alla povertà albanese al crollo del blocco sovietico, ma che ricorda bene come fare accordi con l’Italia, già durante la pandemia grazie all’invio di personale sanitario, peraltro inesperto e inadeguato.

Nel frattempo le carceri ordinarie italiane esplodono, si supera del 120% il livello di sovraffollamento, Il 2024 ancora non è finito e sono già 74 l3 detenut3 che hanno commesso il suicidio in carcere (ndr: ultimo, un uomo di 40 anni a Vigevano l’8 ottobre u.s.).

Incurante di questa situazione il governo procede nell’iter approvativo di un D.L. liberticida: il 1660, con cui aumentano le pene detentive per qualsiasi atto di protesta e si alimenta il panpenalismo sfrenato, fabbricando nuovi reati ad hoc, a reprimere il dissenso e la non conformità.

Come non ricordare inoltre, in questo contesto, l’infame arresto di Maysoon Majidi, migrante curdo- iraniana, da sempre attiva nella difesa dei diritti umani e delle donne, assurdamente accusata di essere una scafista. Mentre scriviamo è in carcere in condizioni di salute precarie, in attesa del giudizio. A lei ed a tutt3 l3 prigionier3 curd3 mandiamo tutta la nostra solidarietà.

Durante questi giorni di campagna internazionale per Abdullah Ocalan ed i prigionieri politici curdi, ci uniamo al grido per la loro libertà, e chiediamo che i responsabili politici e materiali di queste torture vengano finalmente esautorati.
Per la libertà di ogni popolo e per la pace fra i popoli. Biji serok apo

Ambulatorio Popolare Roma Est