Giovedì 17 ottobre si è tenuto a Roma un importante incontro tra il Vice Primo Ministro cubano Jorge Luis Tapia Fonseca e un nutrito gruppo di rappresentanti dell’ampio movimento di solidarietà con l’isola caraibica. L’incontro è stato organizzato dall’Ambasciata di Cuba in Italia e dal Municipio VII di Roma Capitale.
Qui sotto riporto il post pubblicato su Facebook dall’Assessore Municipale alla Cultura e alla Memoria Riccardo Sbordoni:
“Giovedì scorso è stato un piacere e un onore ospitare, presso il Teatro Villa Lazzaroni, il Vice Primo Ministro di Cuba Jorge Luis Tapia Fonseca e l’Ambasciatrice di Cuba in Italia Mirta Granda Averhoff.
L’incontro – rivolto alla cittadinanza, al movimento di solidarietà con Cuba e ai cubani residenti in Italia – si è inserito in una più ampia serie di appuntamenti istituzionali nell’ambito della Giornata Mondiale dell’Alimentazione promossa dalla FAO.
I nostri ospiti ci hanno aggiornato sulla realtà cubana e ci hanno presentato un ampio ventaglio di possibili ambiti di collaborazione tra i nostri due Paesi; da parte nostra abbiamo ribadito tutto il nostro sostegno alla richiesta per far terminare l’ingiusto blocco economico contro l’isola.
Grazie all’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba per aver lavorato all’organizzazione di questo incontro e per il quotidiano lavoro di solidarietà che porta avanti.
Continua il lavoro per avere un Municipio sempre più protagonista di appuntamenti dal respiro internazionale, capaci di offrire occasioni di incontro con culture diverse in grado di far nascere opportunità di crescita culturale, economica e sociale a vantaggio della nostra comunità.
Francesco Laddaga – presidente VII Municipio”
La pressante richiesta che porta in Europa e in Italia il Vice Primo Ministro Tapia Fonseca è infatti il sostegno alla battaglia per porre fine al decennale bloqueo, che anacronisticamente gli Stati Uniti impongono ai cubani tutti come vendetta per aver sfidato e vinto l’imperialismo.
Un blocco fatto di innumerevoli sanzioni economiche e di ogni tipo contro il quale, a larghissima maggioranza, si pronuncia ogni anno, con il voto di una apposita risoluzione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, risoluzioni che regolarmente gli Stati Uniti ignorano.
Altra campagna fondamentale è quella volta a cancellare Cuba dalla lista nera in cui gli USA elencano gli Stati che finanziano il terrorismo internazionale. Un residuato bellico della guerra fredda, un falso storico poiché è vero l’esatto contrario.
In sala non sono presenti giornalisti e io sono entrato con un invito ottenuto da Maurizio Acerbo, che qui ringrazio, in quanto militante del Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea. Utilizzo questa opportunità per porre una domanda a nome di Pressenza, che anche a Cuba, come in tutta l’America Latina, è conosciuta e rispettata.
Chiedo dunque sostegno alla campagna che l’ex console Italiano Enrico Calamai, conosciuto in America Latina come lo Schindler di Buenos Aires, e ora animatore di Mani Rosse Antirazziste, ha avviato per il riconoscimento del diritto umano a migrare liberamente e soprattutto contro le politiche migranticide dell’Unione Europea, degli Usa e dell’Australia, per impedire con ogni mezzo l’arrivo dei migranti, vittime di un ordine economico ingiusto, che crea miserie, devastazioni climatiche, guerra, rapina di preziose risorse e feroci dittature.
Storicamente questo è sempre stato una questione assai scomoda per i governi dei Paesi del cosiddetto Socialismo Reale (si pensi alle politiche anti emigrazione di Albania e della Germania Est).
Ora io so bene che la questione della libertà di migrare in passato dai paesi socialisti venne in genere repressa, anche per non privarli di scienziati, tecnici e professionisti che lo Stato aveva formato e specializzato gratuitamente a spese della collettività. Chiedo quindi quale sia oggi la posizione di Cuba.
Un caro amico mi rimprovera su WhatsApp per la domanda che giudica inopportuna, ma io ritengo che un reporter debba fare soprattutto domande scomode.
Il Vice Primo Ministro non ha affatto l’aspetto e i modi dei vecchi funzionario di partito, i grigi burocrati dei regimi dell’est, dissolti ed evaporati, uno dopo l’altro, come neve al sole, dopo il 1989, ma appare invece, perfino antropologicamente, come un leader che viene dal modo del lavoro e fedele alla sua classe è rimasto.
“Noi siamo internazionalisti”, risponde. “Non esportiamo armi e guerre, ma medici in numerose missioni umanitarie nei diversi continenti (come noi italiani abbiamo sperimentato durante la pandemia del COVID-19). Noi non pratichiamo la chiusura delle frontiere, siamo aperti al mondo e vogliamo operare per la pace e la solidarietà tra i popoli. É il bloqueo che ci isola, che divide persino le famiglie dei cubani a suo tempo espatriate negli Usa dai loro familiari rimasti a Cuba.
Peraltro molti dei nostri giovani già lavorano all’estero, come i medici assunti dalla sanità calabrese e nessuno di loro si sogna di chiedere asilo politico. Noi siamo internazionalisti perché siamo comunisti.”
Al termine dell’incontro, l’Ambasciatrice cubana che incrocio mentre sto per uscire mi stringe la mano e gentilissima mi commuove dicendomi: “Gracias por sus palabras”.
É un riconoscimento importante che va a tutte e a tutti i reporter volontari di Pressenza e a tutti coloro che in mille diversi modi sostengono un giornalismo libero, senza padroni, dalla parte degli ultimi, dei diritti umani sempre e ovunque, della pace e della solidarietà tra i diversi popoli, che sono le differenti sfumature di una sola umanità.