Le parole pronunciate a Cossato nel 1992 dal console israeliano rimbalzano dai recessi della memoria arrivando come una sinistra profezia sino alla drammatica attualità che stiamo vivendo: “Saranno gli estremisti di entrambe le parti a mettere in crisi il processo di pace”. In quei mesi densi di speranza che precedevano gli accordi di Oslo la pace tra Israele e Palestina sembrava davvero a portata di mano. Invece oggi con Hamas da una parte e Netanyahu dall’altra la profezia si è compiuta. Gli obiettivi simmetrici e convergenti di Hamas e degli estremisti israeliani al governo prevedono solo l’ annientamento degli avversari e la loro espulsione dallo scenario territoriale.

So già che quello che proporrò come riflessione può essere venato di utopia ma mi chiedo cosa non lo è nella attuale situazione medio orientale. Non è forse venato di utopia anche lo slogan “Due popoli , due stati” che si ripete oramai come uno stanco mantra sempre più offuscato dal fragore dei bombardamenti? Io faccio allora un passo di lato, al di fuori degli schieramenti di chi manifesta per Israele o per la Palestina assumendo il punto di vista dei bambini, quelli dell’una e dell’altra parte, quelli che vorrebbero solo giocare insieme, imparare insieme, vivere. E invece sono stati uccisi a migliaia senza sapere perché.

La prospettiva, quando le armi taceranno non può che essere quella della riconciliazione, un processo che deve partire dalla scuola, dall’istruzione, da una narrazione condivisa. Il console israeliano era venuto a Cossato in occasione del gemellaggio con il villaggio di Neve Shalom – Wahat as Salaam che avevo promosso dopo avere visitato nel 1990 l’oasi di pace a metà strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Neve Shalom era un modello di convivenza pacifica tra famiglie ebree, musulmane e cristiane, la realizzazione in terra, anche se in piccola scala, dell’utopia della convivenza tra diversi. E’ da decenni, in mezzo alla tempesta che a fasi alterne infuria nell’area, un germe di speranza che attende il clima giusto per germogliare e espandersi come modello vincente. Un modello che appunto parte dalla scuola, perché tutto in fondo parte da lì.

Il forte rischio è infatti quello di una giovanissima generazione che cresca nell’odio e perpetui anche nel futuro il conflitto sociale che alla fine sfocia inevitabilmente nella guerra, nel terrorismo, nelle stragi. Dal confronto con Giampiero Monaca, straordinario educatore e maestroppresso astigiano, è nata l’idea di dieci, cento, mille Neve Shalom perché l’arcobaleno non può che sorgere sopra le scuole favorito da un sistema educativo che nella accettazione e valorizzazione delle differenze metta l’accento sui valori della convivenza pacifica.

Ma in quale scenario geo-politico può realizzarsi una simile rivoluzione? Penso solo in una “Confederazione Israelo Palestinese” che prenda il  posto dell’obiettivo “Due Popoli , due Stati” spesso propugnato anche da chi persegue solo la via militare con la continua fornitura di armi all’una o all’altra parte in conflitto. Lo slogan sarebbe semmai “Due Popoli, un solo Stato”.

Per quello che è successo dal 1948 in poi mi pare azzeccato il paragone con quello che succede a due auto dopo un violento scontro frontale, con le carrozzerie che si incastrano l’una nell’altra, pezzi di motore e di vernice che passano da un’auto all’altra in un inestricabile groviglio. E’ quello che è successo ai territori palestinesi occupati, alla continua modifica dei confini di Israele nel 1948 e poi nel 1967 e ancora nel 1973. Oramai ad esempio la presenza di coloni israeliani in Cis-Giordania è così consolidata che sarebbe impensabile cacciarli via tutti.

Meglio pensare allora a una nuova realtà statale basata su pari diritti, doveri e opportunità che naturalmente potrà essere realizzata solo da una amministrazione israeliana in cui sia naturalmente esclusa l’estrema destra al governo e Hamas dalla parte opposta sperando in un’Autorità Nazionale Palestinese di nuovo autorevole. La religione diversa è solo apparentemente un ostacolo. Solo i fanatici e integralisti possono vedere nelle religioni un elemento di divisione e conflitto. Ogni religione parla d’amore di pace se non viene strumentalizzata a fini politici. Ecco allora che in uno scenario del genere tutto si può ricostruire proprio a partire dalla scuola, una scuola che proprio come a Neve Shalom insegni innanzitutto la storia e i modi per convivere pacificamente in una terra in cui c’è posto per tutti. Quello che non sono riusciti a fare i padri deve essere nelle possibilità dei figli, questo almeno è quanto gli adulti si devono sentire in dovere di dare ai bambini perché il sacrificio dei troppi ragazzi innocenti uccisi sia almeno servito di lezione. Se non si cambia nettamente paradigma non se ne uscirà mai.

Per concludere con Cossato, l’amministrazione ha ancora in mano lo straordinario strumento del rapporto con Neve Shalom; la speranza è che dopo anni di stasi sia rivitalizzato.

Giuseppe Paschetto