Il presidente della giunta militare che governa il Burkina Faso, capitano Ibrahim Traorè, ha annunciato la volontà di riportare sotto il controllo statale le miniere d’oro del Paese, ritirando i permessi di sfruttamento alle multinazionali straniere. Traorè lo ha annunciato durante un programma radiofonico, in occasione del secondo anniversario del colpo di Stato del 30 settembre 2022 che ha rovesciato il precedente governo filoccidentale, sostituendolo con una giunta militare antimperialista e sovranista. Il capo della giunta non ha specificato quali permessi saranno ritirati né ha citato le aziende straniere coinvolte, ma ha dichiarato la volontà di prendere il controllo dell’economia nazionale sfruttando la conoscenza locale: «Sappiamo come estrarre il nostro oro e non capisco perché dovremmo permettere alle multinazionali di venire a estrarlo» ha detto.

Nel Paese – che è il quinto produttore di oro del Continente – operano multinazionali inglesi, australiane, russe e canadesi. Considerato che il metallo giallo è il principale prodotto di esportazione del Burkina Faso, nazionalizzare le miniere significa dirottare i profitti a beneficio dello sviluppo nazionale piuttosto che di aziende straniere, ma anche contribuire a risolvere il problema della sicurezza interna, minata dal terrorismo. Traoré ha infatti spiegato che «una grande quantità di oro lascia il Paese in modo fraudolento e contribuisce ad alimentare il terrorismo». Già a fine agosto, il Paese africano aveva concluso un accordo del valore di 80 milioni di dollari per nazionalizzare le miniere d’oro di Boungou e Wahgnion, mentre alla fine del 2023, il capitano della giunta aveva posato la prima pietra della prima raffineria d’oro nazionale del Paese. «È una questione di sovranità, prima di tutto. Siamo un Paese produttore di oro, ma non abbiamo alcun controllo sull’oro che produciamo. Non porteremo più il nostro oro all’estero per la raffinazione», aveva asserito.

La volontà di nazionalizzare le risorse minerarie della nazione va di pari passo con il desiderio di diversi Stati dell’Africa Subsahariana di liberarsi dal giogo del neocolonialismo occidentale, per poter esercitare la sovranità economica, politica e monetaria sui loro territori e restituire così dignità e prosperità ai Paesi della regione. Proprio con questa finalità, si sono succeduti dal 2020 in avanti diversi colpi di Stato in molte nazioni del Sahel, tra cui Burkina Faso, Mali e Niger. In ciascuno di questi Stati, i governi filoccidentali sono stati sostituiti da giunte militari ostili alle ingerenze politiche europee – e in particolare francesi – e americane nell’area. In particolare, il golpe in Burkina Faso è stato alimentato dalla crisi di sicurezza interna, causata dagli attacchi alla popolazione civile da parte di Isis e al-Qaeda. La Francia – che era presente sul territorio con suoi contingenti militari – non è stata in grado di garantire protezione alla popolazione né tantomeno di annientare le organizzazioni terroristiche. Queste circostanze, insieme a risentimenti di lunga data nei confronti dell’ex potenza coloniale, hanno contribuito al golpe del 2022 che ha portato alla destituzione del tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba – che a sua volta aveva preso il potere con un colpo di Stato – sostituito dal capitano Traoré. Nel febbraio del 2023, la giunta burkinabè ha espulso dal suo territorio le truppe francesi. Allo stesso tempo, Ouagadougou (capitale del Burkina Faso) ha stretto le sue relazioni politiche, commerciali e militari con la Russia a cui la popolazione guarda con particolare favore.

Per consolidare la lotta contro l’egemonia occidentale nella regione, i tre Stati citati – Mali, Niger e Burkina Faso – hanno dato vita all’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) con l’obiettivo di affrancarsi dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS)  e soprattutto di costruire una comunità libera dal controllo di potenze straniere. Inoltre, le giunte golpiste dei tre Paesi hanno annunciato la volontà di creare una moneta comune regionale anticoloniale che sostituisca il franco Cfa attualmente in uso. In questa cornice di ricerca di indipendenza e sovranità, va inserita la decisione di nazionalizzare le miniere d’oro del Burkina Faso.

Molti altri Paesi – non solo africani – stanno perseguendo la strada delle nazionalizzazioni, in contrapposizione ai dogmi neoliberisti. Solo per citarne alcuni, lo Zimbabwe, nel 2023, aveva deciso di vietare tutte le esportazioni di litio dal Paese, al fine di creare un’industria nazionale per la trasformazione delle materie prime. Il governo militare del Niger, invece, agli inizi del 2024, ha nazionalizzato lo sfruttamento dell’acqua potabile, istituendo una nuova compagnia di Stato, denominata Nigerian Waters.

Similmente, in Sudamerica, il Messico ha deciso lo scorso anno di nazionalizzare il litio, mentre Cuba, nonostante il pesante embargo statunitense, continua a gestire in autonomia le sue risorse, confermandosi uno dei principali produttori mondiali di zucchero e nichel. Si tratta di iniziative importanti che segnano il tramonto delle imposizioni neoliberiste occidentali e la ricerca sempre più determinata di sovranità e indipendenza da parte dei Paesi del sud del mondo.

 

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