Sul Disegno di legge 1660, contro il quale si manifesterà questo pomeriggio a Palermo, c’è un’importante presa di posizione dell’Ordine degli avvocati di Bologna in cui si chiede al Consiglio nazionale forense di intervenire contro la nuova normativa.

Nel documento dei Legali del Foro felsineo, di cui riportiamo ampi stralci, si evidenzia la gravità del disegno di legge “con cui si propone, ancora una volta, l’introduzione di nuovi reati e consistenti incrementi delle pene detentive per reati già esistenti, in un contesto che non solo vede l’ordinamento penale già saturo di un numero indeterminato (ed indeterminabile) di fattispecie delittuose, ma in cui si assiste anche ad una gravissima crisi del sistema carcerario”.

La scelta politica sottesa “oltre a confliggere con i principi di proporzionalità e sussidiarietà, nel caso del Ddl in parola mette in luce quella che da autorevole dottrina è stata definita ‘la natura selettiva delle scelte penali, rivolte assai spesso a colpire i perdenti nella cosiddetta competizione sociale’… La scelta del Legislatore, infatti, lungi dall’essere rivolta a colpire fenomeni criminali di particolare gravità, si rivolge alla cosiddetta marginalità sociale, operando in funzione essenzialmente simbolica… Basti pensare all’introduzione del nuovo reato che riguarda l’occupazione arbitraria di immobili, già peraltro punito dal nostro Codice penale con diverse norme, le cui inevitabili ricadute punitive cadranno per lo più su situazioni di difficoltà economica e sociale, che dovrebbero essere affrontate più efficacemente con adeguate politiche sociali di sostentamento al disagio abitativo ed economico, diffusissimo soprattutto in alcune aree del nostro Paese”.

Inquietante è anche “l’inasprimento delle pene per il delitto di accattonaggio (da uno a cinque anni di reclusione, con possibilità di applicazione della custodia cautelare in carcere): qui vi è la certezza di andare a colpire soggetti che vivono – non certo per scelta – in contesti di povertà estrema, e che pongono in essere condotte di mendicità spesso quale unica fonte di sostentamento”.

“Dietro queste forme di criminalizzazione si intravede una concezione del diritto penale per tipo di autore, che dovrebbe essere respinta in un ordinamento penale del fatto, l’unico in grado di metterci al riparo da incriminazioni giustificate non da quello che si fa ma da quello che si è”.

Altre misure chiaramente mirano alla “penalizzazione e punizione del dissenso e della contestazione politica, in stridente contrasto con diritti fondamentali di matrice costituzionale e convenzionale, quali il diritto di associazione e di manifestazione del pensiero”, ad esempio con “la proposta di trasformare il blocco stradale da illecito amministrativo a delitto, con pene del tutto sproporzionate rispetto alla effettiva gravità della condotta” o con “l’introduzione di aggravanti per reati comuni solo perché commessi nell’ambito di contestazioni pubbliche… Questi interventi non solo si pongono in palese violazione di quei canoni costituzionali della offensività e proporzionalità che dovrebbero sempre guidare il Legislatore nell’uso attento e residuale del diritto penale, ma disvelano una natura schiettamente politica, laddove lo stesso fatto può assumere o meno natura penale, o essere punito in maniera più o meno grave, soltanto in ragione della connotazione politica dimostrativa dello stesso”.

Dal diritto penale dell’autore si passa così al diritto penale del nemico come “nell’introduzione dei reati di rivolta in carcere e nei Cpr per migranti, con i quali si attribuisce rilevanza penale anche alle condotte di semplice resistenza passiva. La resistenza passiva, per diritto vivente, non è reato, con i pochi mezzi di protesta non violenta che hanno a disposizione le persone recluse per far sentire la loro voce e far valere diritti troppo spesso violati. Ciò appare tanto più grave laddove si consideri l’attuale situazione carceraria, con 76 suicidi da inizio anno, ed un sovraffollamento che ha ormai raggiunto livelli vicini al 2013, annus horribilis dell’umiliante condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a cui lo Stato italiano aveva sottoposto i detenuti nelle sue carceri”.

Come già espresso nel documento dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale, si tratta di “norme che segnalano un ulteriore spostamento del baricentro delle riforme legislative verso il diritto penale d’autore, che si traduce nella repressione di condotte che esprimono dissenso, emergono da contesti di marginalità sociale e denotano un pericoloso scivolamento verso una gestione securitaria dell’emergenza carceraria”.

L’Avvocatura – che dei diritti fondamentali della Carta costituzionale è custode e garante – “non può e non deve tacere davanti a questi pericoli. La posta in gioco è infatti troppo alta per non far sentire forte la nostra voce, affinché si chieda alle forze politiche di ritirare questo Disegno di legge, di dare avvio a quella seria depenalizzazione invocata dallo stesso Ministero di Giustizia nel suo discorso di insediamento alle Camere, nonché di affrontare l’emergenza carceraria con strumenti adeguati alla sua gravità, anche con interventi clemenziali, non più procrastinabili, rivolti a condannati per reati di non particolare allarme sociale e con pene detentive brevi”.

Il Consiglio Nazionale Forense dovrà “intraprendere, senza ritardo, tutte le iniziative ritenute necessarie e adeguate a raggiungere tali obiettivi, anche con iniziative pubbliche in cui coinvolgere la Politica, l’Università, la Magistratura e la società civile, manifestando al contempo ferma opposizione a qualsiasi intervento normativo in ambito penale che non rispetti i principi di offensività, proporzionalità e umanità, capisaldi ineludibili di qualsiasi ordinamento democratico”.

il comunicato dei giuristi bolognesi è ripreso da proletari comunisti