Neppure il tempo per festeggiare la risicata vittoria alle elezioni regionali in Liguria, definita una “rivincita sulle toghe”, ed ecco che si profila un altro grave conflitto istituzionale e riparte l’attacco contro i giudici che dal Tribunale di Bologna si sono rivolti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per stabilire se vada disapplicato il recente Decreto legge n.158 del 21 ottobre scorso, con cui il governo Meloni ha riformulato la lista dei Paesi che ritiene «sicuri» per adottare le procedure accelerate di asilo in frontiera, ed anche in territorio albanese, per dare finalmente attuazione al Protocollo Italia-Albania.

Secondo i giudici bolognesi, i criteri usati dal governo nella designazione di Paese «sicuro» contrastano con il diritto dell’Unione europea, in particolare con le direttive europee 32 e 33 del 2013, ancora vigenti, in attesa che vengano sostituite dal nuovo Regolamento procedure e dalla nuova normativa sui rimpatri, che dovrebbe integrare la precedente Direttiva 2008/115/CE, come previsto dal Patto sulla migrazione e l’asilo, che l’Unione europea ha varato lo scorso maggio.

Non si tratta dunque di un attacco dei giudici al Decreto legge sui “paesi sicuri” ed al Protocollo Italia-Albania, come scrivono i giornali di destra, ma di una questione pregiudiziale sollevata davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per arrivare ad una interpretazione uniforme a livello europeo e nazionale, in modo da evitare l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia, ed un ulteriore rallentamento delle attività dei nostri Tribunali, già intasati in materia di immigrazione per la valanga di decreti legge scritti in modo da renderli di incerta applicazione e varati dal governo a breve distanza di tempo.

Dunque, contro le polemiche strumentali montate dalle destre, il rinvio alla Corte UE può soltanto portare vantaggio ai cittadini italiani, e non soltanto ai richiedenti asilo coinvolti nelle procedure accelerate in frontiera o deportati in Albania.

Di certo non si tratta di una questione che si può ridurre al “rimpatrio dei clandestini” o ai giudici che “sabotano i rimpatri”, una accusa che si ripete ogni volta che un magistrato applica la legge nel rispetto del principio di gerarchia delle fonti normative (art.117 Cost.) che mettono al vertice, accanto alla Costituzione italiana, e dunque al di sopra della legislazione interna, i Regolamenti e le Decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Certa stampa, su mandato dei partiti di governo, sabota il diritto all’informazione e i principi di convivenza e di confronto civile, sanciti dalla Costituzione, contribuendo a diffondere un clima di scontro istituzionale che non gioverà alla democrazia italiana.

Dunque nessun “assalto dei giudici al decreto Albania” (Libero). Semmai una manovra politico-mediatica che, prendendo lo spunto dal fallimento del Protocollo Italia-Albania e delle procedure accelerate in frontiera, cerca di sovvertire il quadro costituzionale e di piegare la magistratura, anche attraverso la separazione delle carriere, agli indirizzi del governo.

Il caso sul quale erano chiamati a decidere i giudici bolognesi riguardava un cittadino del Bangladesh, che aveva impugnato il provvedimento di diniego emesso in data 17 settembre 2024 dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sezione di Forlì-Cesena, con il quale la sua domanda di protezione internazionale era stata dichiarata manifestamente infondata (art. 28-ter, comma 1, lettera b, D.L.vo 28 gennaio 2008, n. 25) in ragione della sua provenienza da paese di origine sicuro e della ravvisata mancata indicazione di gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova.

Il ricorrente aveva richiesto altresì la sospensione del provvedimento impugnato (art. 35-bis, comma 4, D.L.vo 25/2008). Il tribunale dunque era chiamato a valutare se nel caso di specie la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale avesse prodotto l’automatica sospensione del provvedimento impugnato o se, in ogni caso, ricorressero gravi e circostanziate ragioni che ne imponevano la sospensione da parte del giudice adito (art. 35-bis, comma 4, D.L.vo 25/2008).

Come si legge nel rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, “Il tribunale, dovendo decidere su tale istanza cautelare, ritiene che sussistano i presupposti per la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dovendosi risolvere alcuni contrasti interpretativi che si sono manifestati nell’ordinamento italiano e che attengono alla disciplina rilevante contenuta nella Direttiva n. 2013/32/UE e, più in generale, alla regolazione dei rapporti fra il diritto dell’Unione Europea e il diritto nazionale.

Si sono invero palesate alcune manifeste divergenze fra le diverse Autorità nazionali chiamate a dare applicazione alla rilevante disciplina dell’Unione, tanto in materia di protezione internazionale che in relazione alla gerarchia delle fonti di diritto, le quali hanno ricevuto specifica espressione nel D.L. del 23 ottobre 2024, sicché sussiste un interesse generale ad un chiarimento della Corte di Giustizia diretto ad assicurare l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, oltre ad una diretta incidenza nel caso sottoposto all’esame di questo giudice”.

Non si tratta dunque di una “impugnazione” del Decreto legge n.158 del 21 ottobre scorso, che in caso di una questione di costituzionalità sollevata da altri giudici potrebbe comunque finire davanti alla Corte Costituzionale, ma di un mero rinvio ad una corte superiore, con la sospensione del giudizio interno di merito in attesa della pronuncia dei giudici europei sulla questione pregiudiziale di interpretazione.

Secondo i giudici, il Governo italiano ha interpretato la decisione della Corte del 4 ottobre 2024 in termini restrittivi, assumendo in primo luogo che né il dispositivo né le sue motivazioni consentano di inferire una interpretazione della Direttiva nel senso che la stessa escluda la designazione con eccezioni per determinate categorie di persone, come si evince dalla conferma di tale prescrizione nell’art. 2 bis, comma 2, D.L.vo 25/2008.

Il Tribunale di Bologna chiede infine alla Corte di giustizia UE, l’applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105, oppure d’urgenza, ai sensi dell’art. 107 del regolamento di procedura. Occorre ricordare in proposito che il 3 dicembre prossimo la Corte di Cassazione dovrà pronunciarsi su un ricorso pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma con una ordinanza di rinvio alla Corte ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., a seguito della quale il Tribunale di Roma, agli inizi dello scorso luglio, ha sospeso il suo giudizio sull’istanza cautelare presentata con un ricorso contro la decisione di manifesta infondatezza della richiesta di protezione, pronunciata dalla Commissione territoriale di Roma, nei confronti di un richiedente asilo tunisino, dunque ritenuto proveniente da un “paese di origine sicuro”.

La pronuncia pregiudiziale che sarà adottata dalla Corte di Giustizia UE su sollecitazione del Tribunale di Bologna, potrebbe inoltre impattare con i ricorsi in Cassazione che il governo ha proposto contro le ordinanze del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento di richiedenti asilo bengalesi ed egiziani nel centro di detenzione, assimilato ad un CPR, ma ubicato al di fuori dei confini dell’Unione europea, a Gjader in Albania.

Vedremo adesso fino a quando il governo continuerà a replicare ai giudici interni che applicano il diritto dell’Unione europea, con ulteriori decreti legge, o con emendamenti come quelli proposti dalla Lega di Salvini che, in violazione del dettato imposto dall’art.117 Cost., vorrebbero sancire la prevalenza del diritto interno sul diritto dell’Unione europea. E che tornerebbero utili anche nel processo Open Arms a Palermo.

Non solo una rottura dell’assetto costituzionale, con l’abbattimento del principio di separazione dei poteri, ma di fatto la premessa, per l’apertura di una procedura di infrazione, e forse per l’uscita dell’Italia dall’Unione europea. Se gli elettori continueranno a confermare la loro fiducia nei confronti del governo, magari proprio sulla base di provvedimenti incostituzionali e in contrasto con Direttive e Regolamenti europei in materia di asilo e procedure in frontiera, le conseguenze potrebbero essere devastanti, e riguardare non solo i migranti, o i richiedenti asilo, ma l’intera popolazione italiana, che rimane comunque esposta alle procedure di infrazione ed a tutte le decisioni dell’Unione europea in materia economica. A partire dalla prossima legge di bilancio.

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Dal Tribunale di Bologna un rinvio alla Corte di Giustizia UE sul nuovo decreto legge sui “paesi di origine sicuri” – ADIF