A Roma decine di migliaia di partecipanti alla manifestazione “Fermiamo le guerre, il tempo della Pace è ora” si sono mossi dalla Piramide Cestia e da porta San Paolo, dove non a caso si apre Piazzale dei Partigiani, punto di partenza di innumerevoli manifestazioni, fino al Colosseo, dove era allestito il palco.
Per quale ragione parlare davanti alle rovine di uno dei più conosciuti e visitati monumenti dell’antichità? Non è questo in fondo un simbolo di morte, di intolleranza religiosa, che costò la vita a innumerevoli martiri cristiani e a prigionieri di guerra resi schiavi e costretti a combattere tra loro fino alla morte, per divertire l’imperatore di turno, che concedeva i giochi alla plebe di Roma, il cui sostegno era base essenziale del suo potere?
Un amico mi chiede: “Perché secondo te questa scelta di terminare il corteo proprio qui al Colosseo?”
Io credo che non sia un fatto casuale. Queste rovine sono la dimostrazione che anche gli imperi più potenti possono crollare rovinosamente. Inoltre questo è anche uno dei luoghi del martirio dei primi cristiani, allora donne e uomini pacifisti e nonviolenti, sostenitori di un’umanità nuova, che vivevano con coerenza nelle loro comunità dove i giovani rifiutavano di arruolarsi nelle legioni imperiali, dove non si onorava l’imperatore come un dio in Terra e dove “chi aveva proprietà e ricchezze le vendeva e ne faceva parte a tutti (e a tutte) secondo i bisogni di ciascuno”.
Noi oggi ricordiamo agli indifferenti, ai depressi, ai cinici, a chi ormai si è arreso all’idea che la guerra sia inevitabile che sono le donne e gli uomini che fanno la Storia.
Intanto migliaia e migliaia di persone arrivano al Colosseo. Una massa variopinta da cui distinguo chiaramente le bandiere rosse della CGIL, quelle tricolori dell’Anpi, quelle di Rifondazione Comunista, dell’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana, del Movimento 5 Stelle e della Rete degli Studenti Medi. Vedo arrivare la lunga e gigantesca bandiera palestinese e quella arcobaleno della pace, sostenute da decine e decine di persone di ogni età.
Gli striscioni dei curdi e delle curde, indomiti partigiani non nazionalisti ma confederati e internazionalisti, lo striscione del Fronte dello Sri Lanka e quello dei lavoratori del Bangladesh, questi due ultimi Paesi usciti vittoriosi da due vere e proprie rivoluzioni nonviolente costate però complessivamente migliaia e migliaia di morti. Intravedo lo striscione blu della Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza e mi unisco a reggere per qualche centinaia di metri lo striscione della Rete no bavaglio.
Saluto Guido Liguori, Lelio la Porta, Mihaela Cioubanu e gli altri sostenitori dell’International Gramsci Society, incontro finalmente i miei compagni del’Anpi del Trullo e chiacchiero con il mio amico Nestor: la sua bandiera nera anarchica svolazza per un tratto del corteo insieme alla bandiera rossa del mio partito.
Tiziana Pozzessere mi dice che sta autotassandosi mensilmente con altri amici per aiutare a Gaza la nostra comune amica mediattivista Nour e la sua famiglia e la trovo un’idea stupenda da diffondere per aiutare tutte le varie organizzazioni umanitarie che operano a Gaza.
Due citazioni molto belle e significative possono riassumere la splendida giornata di sole e di lotta: l’enorme striscione sorretto dalle ragazze e dai ragazzi dell’organizzazione politica La Comune dice: “Siamo Ebrei e Palestinesi, siamo Russi e Ucraini. L’Umanità non ha confini”, mentre lo striscione verde dei giovanissimi militanti antifascisti, ragazze e ragazzi sui vent’anni, del Laboratorio Ebraico Antirazzista, la “meglio gioventù” dell’ebraismo romano e italiano dice: “Nessun* sarà liber* finché non lo saremo tutt*.