In una città color Africa, con la partecipazione di 5.000 persone, la maggior parte delle quali raggruppate in comunità arrivate per l’occasione da varie città italiane, si è svolta nel pomeriggio di sabato 26 ottobre la manifestazione per Moussa Diarra, giovane maliano di 26 anni, ucciso da un agente della polizia ferroviaria il 20 ottobre davanti alla stazione di Verona. Fuggito alla violenza in Mali ancora minorenne, attraversato il deserto, imprigionato e torturato nei centri di detenzione libici, era sbarcato a Lampedusa e da lì era iniziato per lui, come per molti migranti, il complicato ingresso nel mondo dei permessi concessi e negati, come la protezione speciale e il permesso di soggiorno. Nessuno dei due gli è stato rinnovato, eppure Moussa ha sempre lavorato, in particolare nell’agricoltura. Viveva in una casa occupata.
Il dramma, come ci dice Giancarlo impegnato nel Servizio di Cura della manifestazione (così l’hanno voluto chiamare anziché servizio d’ordine) sono gli affitti brevi che rendono impossibile trovare casa a Verona e ancor più per i migranti, anche se in possesso di buoni contratti di lavoro. Il Laboratorio Autogestito “Paratodos” di cui Giancarlo fa parte, è riuscito a ricavare da un enorme immobile disabitato di proprietà del Comune una struttura che riesce a ospitare una quarantina di persone, insufficiente rispetto alla richiesta. “Paratodos” si autosostiene e promuove iniziative culturali, sportello sociale, scuola di italiano, concerti, feste, teatro e cinema. E lì, nel “Ghibellin fuggiasco” (nome della struttura) viveva anche il giovane maliano.
Moussa aveva fatto avviare dei lavori di costruzione di una casa in Mali, ma la morte del padre e l’impossibilità di raggiungere il suo Paese per il funerale a causa dei problemi con i documenti l’avevano condotto a una condizione che chi lo frequentava descrive come depressione. Il suo aggirarsi agitato in stazione quella domenica mattina è stato stroncato con un colpo di pistola al cuore, mentre gli altri due lo hanno mancato.
In meno di una settimana si sono mossi numerosi gruppi e associazioni, in primis la Comunità maliana e l’Alto Consiglio dei maliani in Italia, oltre a Osservatorio migranti, Infospazio, Un ponte per, La Ronda della Carità, Osservatorio diritti sociali di Comunità, Sulle Orme e Community center, affiancati da un gran numero di adesioni, tra cui Mediterranea, Non una di meno, Adl Cobas e altre. Hanno chiesto a gran voce “Verità per Moussa”, esigendo chiarimenti circa la sua morte, ma anche gridato “Basta Razzismo” e rivendicato il riconoscimento del diritto alla casa, al lavoro, a un reddito giusto, a trattamenti più umani.
Il corteo si è snodato per tre ore, partendo da piazza Bra presso l’Arena per concludersi alla stazione, davanti allo spazio dove il ragazzo maliano è stato colpito a morte. Il procedere di questa grande fiumana si è svolto in modo del tutto ordinato e intensamente partecipe, con un attimo solo di tensione passando davanti al tribunale. Il tutto è stato contenuto egregiamente dal Servizio di Cura, che ha accompagnato una moltitudine che esprimeva rabbia e dolore per la fine di Moussa, consapevole anche delle umiliazioni e delle tante forme di razzismo che attraversano il nostro Paese.
La sera prima, il Vescovo di Verona aveva guidato una veglia di luce al Tempio Votivo che si trova di fronte e poco distante dalla stazione, nel piazzale XXV Aprile. Moltissimi i giovani presenti ad ascoltare parole necessarie:
“A pochi passi da qui, domenica scorsa è avvenuto qualcosa che dobbiamo avere la volontà di non derubricare a un mero fatto di cronaca, ma vedere come un frammento di un processo molto più grande che chiede a tutti di metterci in cammino, perché queste persone che si muovono possano trovare accoglienza e la possibilità di una vita che ciascuno di noi desidera quando va in una altro Paese in cerca di lavoro, di vita.
Guardare la realtà con compassione significa usare il cuore per avere uno sguardo diverso, originale, per non essere frettolosi e prendersi invece il tempo di capire.
La mancanza di cuore rischia di alimentare la violenza. Moussa viveva l’angoscia di chi si sente invisibile. La compassione è invece un cuore che vede. In questa città siamo stati incapaci di vederlo.
Non lasciamoci strattonare dalle apparenze, ma andiamo in profondità; il fenomeno dei popoli che si muovono dalla propria terra è un fenomeno che va accompagnato passando dalla semplice accoglienza a una vera e propria integrazione...”
L’intensa e partecipata manifestazione, l’adesione di molte associazioni, i tanti volti segnati dalle sofferenze della vita migrante insieme ai non migranti e non africani presenti hanno voluto gridare forte e chiaro che a loro “Moussa mancherà”. Lo dicono anche i gesti delle tante persone che si sono soffermate in questi giorni deponendo un fiore, dei lumini o semplicemente sostando davanti al luogo con la foto del ragazzo africano ucciso.
Restano molte domande riguardo alle ultime ore di Moussa, anche a causa di un comunicato congiunto della Procura e della Questura, diffuso in fretta e furia.
Per ricostruire la vicenda, coprire le spese legali, finanziare una contro inchiesta e sostenere la famiglia Diarra è stata lanciata una raccolta fondi.
Chi vuole contribuire può fare un versamento sul conto corrente intestato a “ APS Equilibrio Precario”
IBAN: IT91X0501811700000011689940
CAUSALE: “Verità e giustizia per Moussa”