Sette attivisti internazionali sono stati arrestati il 14 e il 20 ottobre, dopo aver aiutato persone in difficoltà nelle foreste della Bulgaria al confine con la Turchia. Gli attivisti fanno parte di due gruppi, Collettivo Rotte Balcaniche e No Name Kitchen, che da oltre un anno sostengono le persone in fuga con cibo, vestiti e prodotti per l’igiene. Queste due organizzazioni gestiscono anche una linea di emergenza che le persone possono chiamare in situazioni di pericolo di vita durante il viaggio, a fronte del sistematico rifiuto delle autorità bulgare di fornire assistenza medica. Infatti, la polizia di frontiera bulgara risponde regolarmente alle chiamate per un’ambulanza respingendo violentemente e illegalmente le persone in Turchia, nonostante le loro condizioni fisiche e le richieste di asilo e protezione. In questi momenti, la presenza degli attivisti impedisce i respingimenti illegali, monitorando la situazione. In risposta a ciò, la polizia sta reprimendo sempre più queste attività, culminando in una prima detenzione a settembre e, più recentemente, in altri due arresti e detenzioni fino a 24 ore.

Il 14 ottobre, cinque attivisti hanno chiamato il 112 per richiedere assistenza medica per 17 persone provenienti dalla Siria, tra cui un bambino di 7 mesi e 12 minori, che si trovavano nella foresta da 3 giorni senza cibo, acqua e riparo. La polizia di frontiera è arrivata con il volto coperto da passamontagna e con i cani nel bagagliaio del veicolo. Immediatamente l’atteggiamento della polizia è stato aggressivo e razzista, mentre le persone erano terrorizzate di essere picchiate, morse dai cani e respinte in Turchia, come già accaduto loro in 4 precedenti respingimenti. Gli attivisti sono stati arrestati, ammanettati e portati alla stazione di polizia di frontiera di Elhovo insieme ai 17 siriani. Nessuno di loro ha ricevuto cure mediche.

Un poliziotto con un passamontagna ha condotto una perquisizione aggressiva denudando completamente gli attivisti, ha rimosso tutti gli effetti personali e ha scortato ciascuno in una cella separata. Anche le persone in movimento sono state divise nelle stesse celle, assegnando 2 persone per letto singolo. Le condizioni igieniche delle celle erano pessime, con feci sul pavimento e letti sporchi. La polizia ha ostacolato intenzionalmente il sonno delle persone, aprendo e sbattendo le grandi porte di metallo a intervalli regolari. Inoltre, la polizia ha preso le impronte digitali e le foto degli attivisti. Nonostante la richiesta di un avvocato e di un traduttore, le istanze degli attivisti sono state continuamente negate. Le persone in movimento sono state costrette a firmare documenti senza traduzione. Dopo 15 ore gli attivisti sono stati rilasciati, mentre le persone in movimento sono rimaste nelle loro celle.

Il 20 ottobre, 3 attivisti, insieme a una giornalista e due registi, hanno chiamato il 112 per richiedere assistenza medica per 8 persone, siriani, egiziani e afghani, di cui 7 minori. Camminavano da tre giorni e avevano passato la notte nel bosco con 2 gradi centigradi, senza acqua e cibo. Quando la polizia è arrivata, ha preso i telefoni di tutte e 8 le persone affermando che erano in stato di arresto, senza fornire alcuna spiegazione. La polizia ha poi iniziato a essere aggressiva nei confronti degli attivisti, spingendo e schiaffeggiando uno di loro solo perché teneva il telefono in mano. Ha impedito che la giornalista potesse svolgere il suo lavoro, costringendola a mettere via la camera. Due attivisti sono stati spinti a terra, ammanettati e portati alla stazione di polizia di frontiera di Malko Tarnovo insieme al gruppo. Gli attivisti sono stati trattenuti per 24 ore con la falsa e pretestuosa accusa di resistenza a pubblico ufficiale, e non hanno avuto a disposizione un traduttore ufficiale per firmare i documenti di arresto e detenzione. Inoltre, le persone in difficoltà sono state trattenute tutta la notte, in una cella con solo 4 panche, e non hanno ricevuto alcun trattamento medico.

L’obiettivo di questi brutali arresti è quello di scoraggiare l’assistenza medica alle persone in movimento e di impedire il monitoraggio dei respingimenti in Turchia. Essi costituiscono una piccola parte della crescente repressione subita dagli attivisti e della sistematica violenza e disumanizzazione subita dalle persone in movimento. Tali pratiche illegali sono attuate dalle autorità bulgare su istruzione dell’Unione Europea, che finanzia sempre più il controllo violento e razzista delle frontiere.