Il 7 ottobre è diventato una data simbolo, come l’11 settembre, di eventi drammatici che non devono essere censurati o dimenticati. Il terrorismo fanatico, l’odio organizzato, hanno colpito barbaramente e scatenato la vendetta, innescando una micidiale spirale di guerra. Un male che ha generato ancora più male. Sangue chiama sangue.
Un anno fa, milizie armate si sono accanite contro un raduno per la pace, portando la morte a chi stava celebrando la vita con la musica, hanno saccheggiato gli insediamenti che cercavano il dialogo, hanno massacrato e rapito in base all’odio etnico. Le vittime di quel terrorismo sono stati i civili. La reazione ha seguito la stessa logica, moltiplicata esponenzialmente, spropositata, inaccettabile.
Non occhio per occhio, ma cento morti per ogni morto. Il 7 ottobre fece 1200 morti israeliani, la vendetta un anno dopo conta 42000 palestinesi: la contabilità dell’orrore!
Il terrorismo ha generato guerra, una guerra che fa strage di civili e che è una forma di terrorismo su larga scala. Terrorismo e guerra, entrambi al di fuori del diritto internazionale, entrambi contro la giustizia, contro la vita e l’umanità.
Ora siamo qui a piangere i morti del 7 ottobre e a piangere i morti di Gaza e del Libano. Massacro, strage, genocidio, nemmeno le parole sono adeguate alla tragedia epocale che stiamo vivendo.
Nel buio totale, l’unica fiammella di speranza è data dai gruppi misti, israelo-palestinesi, che cercano una via di dialogo e riconciliazione. Gli obiettori israeliani e i pacifisti palestinesi, uniti contro l’occupazione, il militarismo e il terrorismo, sono la nostra speranza.
La sola ragione per cui valga la pena di manifestare, prima e dopo il 7 ottobre, è la pace: l’assunzione di responsabilità per fare pace e la richiesta di pace, dal basso e dall’alto.
Vietare la libera espressione pacifica del pensiero, non ha senso, è solo un segno di paura e di debolezza. Noi, amiche e amici della nonviolenza, non impediremo mai a nessuno di esprimere il proprio pensiero, anche se becero e truce. L’unico divieto che concepiamo è quello all’uso delle armi e della violenza.
“Divieto di guerra” è l’ordine che ci piacerebbe veder imposto dal governo, per vivere il lutto come tragedia comune, onorare i morti israeliani del 7 ottobre e i morti palestinesi dell’anno orribile che ne è seguito.