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L’escalation in Medio Oriente è nei fatti: sembra una situazione senza uscita. Fermare le guerre, “l’unica via è il cessate il fuoco e una conferenza internazionale di pace. Per chiedere questo manifesteremo il 26 ottobre in tutta Italia”

A convocare le manifestazioni: Europe for Peace, Sbilanciamoci, Rete Pace e Disarmo, Coalizione Assisi pace giusta, Fondazione Perugia Assisi. “Continueremo a manifestare per il cessate il fuoco in tutti i luoghi dove si combatte – come ha chiesto il Papa all’Angelus lo scorso 6 ottobre – e per i negoziati, una conferenza internazionale per assicurare la pace e i diritti dei popoli in tutta la regione. È questo il nostro impegno, anche dopo il 26 ottobre”

Come molti avevano previsto la guerra israeliana dalla Palestina si è allargata: al Libano e alla Siria, allo Yemen, e oggi all’Iran, incendiando tutto il Medio Oriente. La guerra terroristica di Israele – in violazione delle più basilari norme del diritto internazionale – sta provocando un conflitto generalizzato e il massacro della popolazione civile di Gaza continua senza fine. Niente sembra fermare la valanga di fuoco che sta devastando la regione.  Netanyahu continua a giocare con il fuoco e nella sua furia bellicista sembra avere un unico scopo: mantenersi al potere, usare la guerra per motivi di politica interna. Gioca sulla pelle degli ostaggi e sulla sicurezza di Israele per la sua carriera politica. Non lo dicono i filo-palestinesi, ma tutti i giorni i giornalisti e i commentatori dell’importante quotidiano israeliano Haaretz, che ha chiesto le dimissioni del premier israeliano. La reazione violenta degli Houti dallo Yemen e degli Hezbollah alimenta una spirale incontrollabile e il governo israeliano ne approfitta per moltiplicare le sue azioni militari: l’escalation è ormai nei fatti. La diplomazia è al palo: non solo quella delle Nazioni Unite, ma quella con ben più mezzi degli Stati Uniti e dei paesi europei più importanti. Del progetto di tregua a Gaza si sono perse le tracce: continuano le uccisioni della popolazione civile palestinese e gli ostaggi israeliani continuano a rimanere nelle mani di Hamas. Sembra una situazione senza via d’uscita. Eppure non c’è altra strada se non quella di un immediato cessate il fuoco che permetta l’avvio di un negoziato e la protezione della popolazione civile. La popolazione palestinese è devastata, massacrata. Una parte della società israeliana è divisa, sconvolta da quello che sta succedendo e rischia di essere travolta dalla follia – razzista e discriminatoria – del fondamentalismo governativo anti-palestinese. Lo stesso razzismo sì rivolge ora all’interno della società israeliana contro chi si oppone. Per questi obiettivi – con lo slogan: “Fermate le guerre. Il tempo della pace è ora” manifesteremo il prossimo 26 ottobre in tutta Italia: a Torino, Milano, Roma, Bari, Firenze, Napoli e in altre città.

comunicato evento

 

Dall’ultimo rapporto-ONU emerge l’altro genocidio in corso, quello dei poveri del globo massacrati dal debito pubblico crescente che grava sui Paesi in via di sviluppo 

Pubblicato il 4 giugno scorso e intitolato “Un mondo in debito: un fardello crescente per la prosperità globale”, il Rapporto lancia l’allarme sull’aumento senza precedenti del debito pubblico, che ha raggiunto nel 2023 il massimo storico di 97mila miliardi di dollari. Per avere un’idea dell’incremento, basti ricordare che nel 2010, il debito pubblico non raggiungeva i 51mila miliardi di dollari

Un terzo di questo debito (29mila miliardi) è stato contratto dai cosiddetti paesi in via di sviluppo, il cui debito sta crescendo a velocità doppia rispetto a quello delle economie più forti. Inoltre, su questo debito gravano tassi di interesse stratosferici, dell’ordine del 6,8% in media per un paese latinoamericano e del 9,8% per un paese africano (da due a quattro volte superiori a quelli degli Usa, da sei a dodici volte superiori a quelli della Germania). Risultato: questi paesi nel 2023 hanno speso qualcosa come 847 miliardi di dollari solo per pagare gli interessi sul debito, con un aumento del 26% rispetto a due anni prima. L’Onu calcola che siano 54 i Paesi costretti dalla trappola del debito a destinare oltre il 10% delle proprie entrate al pagamento degli interessi e che 48 Paesi spendano più per gli interessi sul debito che per l’istruzione e la sanità. Il dato finale è che sono 3,3 miliardi le persone che vivono in Paesi nei quali la spesa per il servizio del debito supera quella per i servizi essenziali. Si tratta di quattro persone ogni dieci che abitano questo pianeta e che vivono nella disperazione non perché minacciati da truci soldati in armi ma da sorridenti manager che ogni mattina siedono nel board della propria banca o fondo finanziario. Per chi pensasse che il problema non lo riguarda, è bene ricordare che anche il nostro Paese, ottava economia mondiale, spende ogni anno oltre 80 miliardi per gli interessi sul debito, destinati quest’anno a raggiungere il record di 100 miliardi (pari a quello che si investe sull’istruzione e poco meno di quanto si destina alla sanità). Il 2025 sarà l’anno del Giubileo: forse è giunto il momento di rivendicarne il significato originario, chiedendo con forza la cancellazione incondizionata di tutti i debiti insostenibili e illegittimi da parte di tutti i creditori per tutti i paesi del mondo, a partire da quelli più poveri.

leggi integralmente l’articolo su Attac-Italia

 

Manuale concorsi su come prepararsi alle selezioni per VFP1 e VFP4* delle Forze Armate: «a scuola non si impara nulla, l’Esercito riempie la vita»

Disappunto dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università  per le affermazioni sulla scuola riportate nella descrizione di un manuale per i concorsi d VFP1* e VFP4*: “Queste sigle sono state recentemente aggiornate con la nuova riforma delle Forze Armate** e ci stiamo riferendo – dicono dall’Osservatorio – a un libro pubblicato tre anni fa, ma resta il misconoscimento del valore della scuola espresso in alcune righe, la teoria disfattista per la quale a scuola non si impara nulla di utile per inserirsi nel mondo del lavoro”

L’autore, istruttore dell’Esercito, tenta la strada dell’empatia e dell’emulazione. E anticipa che si dovrà “iniziare da zero“, “spezzare il cordone ombelicale che ti lega alla famiglia“, vedere nell’Esercito “un progetto“, “per dare un senso alla propria vita” e “il senso civico che in tanti danno per scomparso riemerge invece forte e vitale quando indossi una divisa e ti rendi conto che il tuo servizio è davvero utile agli altri”. Quindi la scuola e la famiglia non riempiono di senso la vita e l’ Esercito potrebbe riuscire dove tutti gli altri falliscono. Possiamo ipotizzare che questa stessa retorica aleggi in ogni spazio architettonico e cognitivo del settore militare e all’esterno cominci ad affermarsi come esito del processo di militarizzazione della società civile. Possiamo immaginare che chi invita le nuove generazioni a entrare nelle FF.AA. e chi già c’è dentro si senta migliore del resto del mondo, del mondo civile che fatica a tenere in piedi questa società disgregata, e a contrastare la narrazione che vorrebbe i capitali privati gestiti meglio delle casse pubbliche, l’occupazione più importante della formazione, la competizione più conveniente della cooperazione, la povertà una colpa, la disciplina e l’annullamento del libero arbitrio il passpartout per non avere mai problemi con il potere. Sicuramente le/i nostre/i figlie/i e studenti/studentesse avrebbero le idee più chiare sul loro futuro se la scuola avesse più respiro e risorse e il mondo del lavoro non assomigliasse alla nebulosa informe che conosciamo. Noi dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università – si precisa nel comunicato – siamo contrari a qualsiasi tentativo dell’Esercito e delle altre forze armate di proporsi come futuro desiderabile, ancora di più oggi che l’arruolamento iniziale dura tre anni e i volontari saranno bloccati in un mondo-irreggimentato dove non si ha libertà di scelta, e può diventare addirittura impossibile ritrattare la propria adesione. Bisogna, invece, dire con convinzione nelle scuole che – conclude l’Osservatorio – il metodo degli eserciti è quello dell’obbedienza, del comando, della punizione, mentre le istituzioni educative sono quelle che insegnano la tolleranza, l’inclusione, l’accoglienza, il ragionamento, il confronto, anche il conflitto dialettico che serve per la crescita intellettuale dei cittadini e delle cittadine di domani.

*VFP1 e VFP4= rispettivamente si leggono volontario in ferma prefissata di 1 anno, il primo livello di servizio volontario dove i candidati prestano servizio per un anno nelle Forze Armate e volontario in ferma prefissata di 4 anni che prolungava il servizio per altri quattro anni  //  ** la nuova forma del servizio militare prevede una Ferma Prefissata 3+3 vale a dire che i volontari saranno suddivisi in VFI (volontario in ferma prefissata iniziale) e VFT (volontario in ferma prefissata triennale) – comunicato dell’osservatorionomilscuola

 

XII Settimana del Pianeta Terra: un Festival scientifico – GeoEventi da ieri fino al 13 ottobre – per ricordarci che non esiste un piano B di sopravvivenza per l’umanità se non rispettiamo i suoi meccanismi

Gli scienziati osservano gli effetti dei cambiamenti climatici e studiano con curiosità il nucleo che, al centro della Terra, sta rallentando la sua velocità di rotazione. Segnali dalla superficie e dalle profondità di un pianeta che conserva ancora tanti segreti e che, allo stesso tempo, ci ricorda di essere l’unico posto che abbiamo per vivere. Questi sono i temi – scrivono nel comunicato i promotori che animeranno la XII Settimana del Pianeta Terra

Il Festival scientifico nazionale delle Geoscienze presenterà anche quest’anno un centinaio di GeoEventi, sparsi in tutte le regioni italiane, per divulgare il lavoro di geologi, vulcanologi e  ricercatori. La divulgazione rigorosa e scientifica si accompagna con occasioni di intrattenimento e divertimento. La Settimana del Pianeta Terra coinvolge studenti, appassionati, famiglie e curiosi con escursioni tra montagne e boschi, discese nelle grotte, visite archeologiche, osservazioni notturne delle stelle, laboratori, incontri, presentazioni di libri.«La conoscenza, l’informazione e la leggerezza non sono tra loro antitetiche, anzi. È proprio quest’ultima che consente di arrivare a chi non conosce questi temi e aiuta a sensibilizzare sulla necessità di un comportamento corretto da parte di tutti per il futuro sostenibile del pianeta» spiega il paleontologo Rodolfo Coccioni, ideatore della Settimana del Pianeta Terra con il geologo Silvio Seno. Tra le caratteristiche più interessanti dei GeoEventi, la valorizzazione delle peculiarità dei territori, che permette di apprezzarne bellezza, storia e unicità. Gli appuntamenti sono organizzati da università e scuole, enti di ricerca, enti locali, associazioni culturali e scientifiche, parchi e musei, soggetti privati e mondo professionale.

Il programma e il calendario sono consultabili sul sito ufficiale della manifestazione: www.settimanaterra.org/geoeventi

 

Nell’Unione Europea i piani agricoli nazionali sono di un colore verde sbiadito

La nuova relazione della Corte dei conti europea sottolinea che esiste un abisso tra i valori e gli obiettivi climatico-ambientali dell’Unione Europea e i piani agricoli elaborati dagli Stati membri nel quadro più generale della Politica Agricola Comune. “Mancano elementi chiave per valutare la performance ecologica”

C’è un abisso tra i valori e gli obiettivi climatico-ambientali dell’Unione Europea e i piani agricoli elaborati dagli Stati membri: è questa la netta conclusione di una relazione pubblicata dalla Corte dei conti europea. La Politica Agricola Comune (PAC) per il periodo 2023-2027 ha dato agli Stati membri la flessibilità necessaria per riflettere nei propri piani gli ambiziosi obiettivi ecologici dell’UE. Tutti gli Stati membri, però, si sono avvalsi delle esenzioni per le condizioni agricole e ambientali, mentre alcuni di essi hanno ridotto o ritardato l’applicazione delle misure verdi necessarie per ottenere i fondi dell’UE. Nel complesso, gli auditor della Corte concludono che i piani nazionali della PAC non sono molto più ambiziosi di prima per la tutela ambientale. Della PAC, ovvero della Politica Agricola Comune, si è parlato soprattutto nello scorso inverno e nella scorsa primavera, quando gli agricoltori di mezza Europa hanno manifestato contro gli obiettivi ambientali sanciti dalla Commissione europea. A essere presa di mira è stata in quella occasione proprio la PAC, vale a dire un ambito di intervento fondamentale dell’Unione europea, a cui è destinato il 31% della dotazione finanziaria dell’UE per il periodo 2021-2027. Basata sui piani definiti da ciascuno Stato membro, si articola in due fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). I 378,5 miliardi di euro erogati dalla PAC 2021-2027 mirano, oltre che ad assicurare il sostegno a un reddito adeguato per gli agricoltori, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento nelle zone rurali, anche a difendere l’ambiente dai danni e dai cambiamenti climatici, che possono anch’essi avere ripercussioni dirette sulla produzione agricola (in caso, ad esempio, di condizioni meteorologiche estreme). Come al solito, però, tra le buone intenzioni e le buone pratiche ci sono ettari di separazione. Di chi è la responsabilità? Per la Corte dei conti europea è evidente sin dal titolo della relazione speciale n°20 del 2024, che reca la dicitura “Piani della politica agricola comune – Più verdi ma non all’altezza delle ambizioni dell’UE in materia di clima e ambiente”.

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