> MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE <
Autonomia differenziata, i servizi sociali territoriali di competenza esclusiva delle Regioni sono a rischio harakiri. La legge 86 aggiunge nuovi rischi: dal blocco dei decreti di individuazione dei LEPS alla cancellazione dei fondi sociali nazionali
Le politiche sociali costituiscono – scrive Angelo Marano nell’articolo, di cui proponiamo un abstract – un importante caso di studio per il federalismo, in quanto ambito devoluto fin dal 2001 alla competenza regionale. Il nuovo art. 117 della Costituzione, ha, infatti, riconosciuto alle regioni potestà legislativa esclusiva in tale campo. Rimane di competenza statale solo l’individuazione dei LEPS, i “livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (LEP) in ambito sociale, mentre al livello territoriale è delegata la fornitura dei servizi. Eppure, tale esempio sembra ignorato dalla legge n. 86/2024 sull’autonomia differenziata e le stesse politiche sociali rischiano di essere vittime della nuova legge
La situazione venutasi a creare ha già portato al blocco dell’iter dei decreti di individuazione dei LEPS, previsti dalla legge di bilancio 2022, e sta generando incertezza, a fronte del rischio che vengano cancellati o devoluti i fondi sociali nazionali. La legge n. 86 considera l’individuazione dei LEP quale garanzia contro quelle “discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio” che l’autonomia differenziata potrebbe innescare. Tuttavia, un conto è evocare i LEP, un altro è definirli operativamente e finanziarli. In linea generale, senza LEP l’autorità statale non può vincolare l’utilizzo delle risorse nelle materie devolute; d’altro canto, senza fondi adeguati, è impossibile garantire il raggiungimento dei LEP. Laddove, poi, si adotti un approccio graduale, individuando, nelle materie devolute, LEP solo per alcuni servizi e non per altri, rischiano di crearsi gravi discrasie in uno stesso settore, mentre le regioni potrebbero vedersi costrette a spostare risorse verso le aree LEP, anche a costo di chiudere servizi già avviati. […]È così che le politiche sociali rischiano di essere le prime vittime della nuova legge sull’autonomia differenziata. Di fatto, si è persa traccia dei LEPS che dovevano essere individuati entro giugno 2024… In tale contesto, l’individuazione dei LEP sociali, per un verso bloccata in Commissione tecnica, per l’altro non considerata rilevante per l’autonomia differenziata, rischia concretamente di essere rinviata sine die. Di più, le politiche sociali rischiano di ricevere un ulteriore colpo laddove la richiamata, rigida, lettura dell’art. 119 della Costituzione portasse alla devoluzione dei fondi sociali nazionali o al loro azzeramento, nell’ambito di una più complessiva ridefinizione del concorso statale al finanziamento delle materie trasferite alle regioni. Ne risulterebbe che ciascuna regione potrebbe gestire in completa autonomia, senza obblighi di rendicontazione o coordinamento, le risorse finora destinate ad assicurare una qualche omogeneità territoriale ai servizi sociali.
leggi articolo integrale su eticaeconomia
Troppi ritardi per regolarizzare le persone straniere: la condanna del Consiglio di Stato. Vittoriosa la class action promossa dalle associazioni, accolto il ricorso presentato da oltre un centinaio tra persone straniere e datori di lavoro
Grave e sistematica inefficienza dell’azione del Ministero dell’Interno e della Prefettura in materia di emersione. Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 settembre 2024, n. 7704, accoglie un’azione collettiva (class action) in materia d’immigrazione contro la PA
Il Consiglio di Stato conferma la sentenza n. 2949/2023 del Tar Lombardia e, dopo aver affermato la piena legittimazione delle associazioni del settore a presentare questo tipo di azione, condanna la Pubblica amministrazione per il ritardo maturato nella gestione delle domande di emersione, ribadendo il principio giurisprudenziale secondo cui il termine massimo per concludere la procedura di emersione non può mai superare i 180 giorni. Il ritardo è stato grave e sistematico e ha assunto, a parere dei giudici di Palazzo Spada, “proporzioni di vero e proprio “fenomeno” di diffusa e cronicizzata mala gestio amministrativa”, tali per cui la sentenza del Tar Lombardia di accoglimento del ricorso non poteva che essere confermata. Nello specifico, in presenza di adeguate risorse finanziarie, come nel caso della procedura di emersione per la quale sono stati stanziati mezzi economici ad hoc, l’inefficienza della Pubblica amministrazione non può essere giustificata da presunte difficoltà derivanti dall’elevato numero di domande o dalla presunta presenza di numerosi tentativi di falsificazioni. Anzi, il Consiglio di Stato chiarisce che, nella gestione delle procedure di regolarizzazione delle persone straniere, le misure correttive – di tipo organizzativo, semplificatorio ed acceleratorio – sono state intempestive, cioè “tardivamente adottate” dalla Pubblica Amministrazione solo dopo la diffida presentata ex art. 3 del D.lgs. n. 198/2009, mentre avrebbero dovuto e potuto essere adottate “ab origine o quanto meno… prima della presentazione dell’odierno ricorso”. La sentenza è di fondamentale importanza anche perché, come anticipato, conferma la legittimazione e l’interesse ad agire delle associazioni del settore, chiarendo che l’azione collettiva contro l’inefficienza dell’azione amministrativa. Il Consiglio di Stato, dunque, ricorda che l’azione collettiva (cd. class action) ha una funzione lato sensu sanzionatoria (di condotte violative di obblighi di azione derivanti dalla legge o stabiliti in applicazione della stessa) e correttiva e che, quindi, in definitiva, rappresenta un prezioso strumento per ripristinare il corretto funzionamento della pubblica amministrazione anche nel settore del diritto dell’immigrazione. Questa importante sentenza lancia un messaggio che incoraggia il ricorso alle azioni collettive strategiche da parte di un crescente gruppo di soggetti della società civile che vedono nei ritardi e nelle inadempienze della Pubblica amministrazione uno snodo cruciale della sistematica violazione dei diritti delle persone straniere, ma non solo.
leggi articolo integrale sulle nostre pagine
Armando Sorrentino sul caso-Open Arms: «se Salvini si vanta di aver difeso i confini della patria, a noi tocca difendere i confini del diritto e della dignità umana calpestata nella “guerra a bassa intensità” che si combatte nel Mediterraneo»
Sono parole pronunziate – nel corso della videointervista curata da Aurora D’Agostino (ANGD) – dall’ avvocato Armando Sorrentino del foro di Palermo, il quale rappresenta l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici come legale di parte civile nel dibattimento giudiziario in atto sul caso Open Arms
In questa intervista di una ventina di minuti, Sorrentino racconta particolari del dibattimento che ci aiutano a capire quanto sia fondata l’accusa di sequestro di persona di cui il ministro deve rispondere. Della gravità della posizione di Salvini sembra essere consapevole anche la sua difesa, visto che – racconta l’avvocato – la strategia difensiva è cambiata più volte nel corso del dibattimento. La posizione iniziale era stata quella di negare il sequestro rifacendosi alla sentenza emessa a Catania dove il giudice dell’udienza preliminare aveva assolto Salvini “con una motivazione forte, avere agito con l’ombrello governativo”, il che rendeva il suo operato insindacabile e comunque giustificato all’interno della compagine governativa. Noi – prosegue Sorrentino – abbiamo sentito Conte, Trenta, Toninelli, Lamorgese, che ci hanno dato informazioni importanti e soprattutto Moavero Milanesi, il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di allora, che ha fatto chiarezza su un aspetto che viene spesso sottaciuto, quello del ricollocamento dei migranti. Moavero Milanesi ha infatti testimoniato che, al Consiglio d’Europa del giugno 2018, non era stato deciso l’obbligo delle redistribuzione, che – in ogni caso – si sarebbe fatta non a monte ma a valle degli sbarchi. Cadeva così la linea difensiva secondo cui lo sbarco doveva avvenire dopo la redistribuzione da parte dei paesi europei. La posizione iniziale era stata quella di negare il sequestro rifacendosi alla sentenza emessa a Catania dove il giudice dell’udienza preliminare aveva assolto Salvini “con una motivazione forte, avere agito con l’ombrello governativo”, il che rendeva il suo operato insindacabile e comunque giustificato all’interno della compagine governativa. Noi – prosegue Sorrentino – abbiamo sentito Conte, Trenta, Toninelli, Lamorgese, che ci hanno dato informazioni importanti e soprattutto Moavero Milanesi, il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di allora, che ha fatto chiarezza su un aspetto che viene spesso sottaciuto, quello del ricollocamento dei migranti. Moavero Milanesi ha infatti testimoniato che, al Consiglio d’Europa del giugno 2018, non era stato deciso l’obbligo delle redistribuzione, che – in ogni caso – si sarebbe fatta non a monte ma a valle degli sbarchi. Cadeva così la linea difensiva secondo cui lo sbarco doveva avvenire dopo la redistribuzione da parte dei paesi europei. Inoltre, Sorrentino ricorda che lo stesso Conte chiese a Salvini di autorizzare lo sbarco. Si crea una situazione nuova, un intervento del Presidente del Consiglio che ha un risvolto giuridico significativo. I minori sbarcheranno il 17 pomeriggio. Salvini dichiara comunque di non essere d’accordo, la responsabilità viene scaricata su Conte.
approfondimenti su argocatania
Mentre si discute sul ddl 1660 arrivano le norme sicuritarie per la sanità: il Governo va avanti con le solite logiche sicuritarie per occultare la mancanza di fondi a sostegno della sanità pubblica
Fino a 5 anni di carcere e 10 mila euro di multa per danneggiamenti alle strutture sanitarie. Arresto obbligatorio in differita per aggressioni a danno del personale e linee guida sulla videosorveglianza
Dopo avere invocato i daspo sanitari, il ministro Schillaci e il Governo costruiscono pene più severe, in caso di danneggiamento alle strutture sanitarie e sociosanitarie, fino a 5 anni di carcere e 10 mila euro di multa, se il fatto viene commesso da più persone la pena viene ulteriormente aumentata. Scatta l’obbligo di arresto in differita in caso di aggressioni a danno del personale sanitario e nonostante si parli di non aggravio della spesa pubblica verranno potenziati gli strumenti di videosorveglianza. Abbiamo già scritto e detto che la prima causa delle aggressioni al personale sanitario è data dalla carenza degli organici e degli strumenti a disposizione della sanità pubblica, file interminabili ai pronti soccorsi, soppressione di presidi ospedalieri, interminabili liste di attesa per cure e prestazioni, pronti soccorsi al collasso. I sanitari sono vittime sacrificali sia della disperazione sociale sia delle inadeguate politiche governative, mal pagati, con carichi di lavoro insostenibili. Non sono certo i daspo e le pene a risolvere i problemi della sanità pubblica per la salvaguardia e il potenziamento della quale servono risorse economiche e personale. Non si tutela il diritto alla salute militarizzando gli ospedali, non si difendono gli operatori con uno stato di polizia che allontana gli stessi dall’utenza. Il decreto-legge presentato dal Governo è figlio della cultura sicuritaria e repressiva di cui il ddl 1660 è portatrice, modifica infatti alcuni articoli del codice di procedura penale (arresto obbligatorio in flagranza e in flagranza differita) e inasprisce le pene per reati contro gli operatori sanitari e per i danni ai beni mobili e immobili della sanità, si costruiscono nuovi reati e alla fine invece di investire in personale e strumenti di lavoro si pensa che la soluzione del problema siano le telecamere.
dall’articolo di Federico Giusti su osservatoriorepressione