Diversi anni fa quando le strade e le piazze di questo Paese erano piene di manifestanti dei nuovi movimenti nati tra la fine del vecchio millennio e il nuovoebbi un breve colloquio, ad un corteo ad Ancona, con un funzionario della Digos che conoscevo da quando anche lui negli anni Settanta, giovanissimo, frequentava la piazza abitualmente meta di noi militanti extraparlamentari, prima di fare la scelta che inevitabilmente lo allontanò. Ad un certo punto parlando dei centri sociali mi disse una frase sorprendente per un poliziotto. “Sono presidi di democrazia”. Magari fu una ruffianata, però ogni tanto ripenso a quel commento e mi sembra una sintesi perfetta e inevitabilmente mi è tornata in mente dopo la drammatica vicenda veneziana dove Giacomo, giovane compagno dello storico centro sociale Rivolta, è stato ucciso per salvare una ragazza da un borseggio, e Sebastiano è stato ferito ad una gamba.
Perché da sempre i centri sociali sono nel mirino della canea reazionaria e anche di regime.
Non si perde occasione per dipingerli come “violenti”, “illegali” e tutte le stupidaggini e calunnie possibili, ignorando che, pur con tutti gli inevitabili difetti e anche limiti, sono appunto un “presidio di democrazia”, oggi più che mai.
Il Manifesto di oggi nell’articolo di cronaca ricorda, insieme ad un ottimo editoriale di Gianfranco Bettin, come anche a Venezia da alcuni anni siano state applicate quelle politiche securitarie, in sintonia con buona parte delle nostre città, piccole o grandi, di cui il gravissimo decreto governativo “sicurezza” in dirittura d’arrivo, ne è in qualche modo emblematico e criminale simbolo, e si evidenzia che di fronte alle solite logiche fascistoidi contro il “degrado”, anche nella città della laguna si è formato una articolato fronte sociale che si è dato un nome che a quelli della mia generazione evoca una delle fasi più felici e feconde dei vituperati anni Settanta: “Riprendiamoci la città”, probabilmente un parola d’ordine che, nonostante siano passati più di mezzo secolo, mantiene ancora tutta la sua attualità, oggi ancora più di ieri. Giacomo insieme ai compagni del Rivolta, in buona e generosa compagnia con altre associazioni, faceva di tutto per contrastare l’unico e vero degrado, quello delle politiche autoritarie e vessatorie che le varie amministrazioni comunali, spesso senza distinzione di collocazione partitica, attuano da diverso tempo. Appunto cercavano di riprendersi la città, rivendicando un tessuto urbano solidale, inclusivo, dove i principali diritti sociali, a partire da quello fondamentale della casa, siano rispettati e attuati. E i centri sociali, pur con tutte le difficoltà del contesto attuale, con il governo probabilmente più becero e fascista della storia della Repubblica, sono il fulcro di questa resistenza, il soggetto che nelle grandi metropoli come nei centri minori cercano appunto, insieme ad altri, di “riprendersi la città”.
In questo momento abbiamo le lacrime agli occhi e siamo vicini come non mai ai familiari di Giacomo e ai compagni del Rivolta. Anche nel suo ricordo andremo avanti non arretrando di un millimetro. Perché, a proposito di vecchi slogans, la lotta continua.