1. La morte di Abd Al Rahman Al Milad, più comunemente noto come Al Bidja, è stata confermata dalla guardia costiera del settore occidentale della Libia e da Abdullah Al Lafi, vice capo del Consiglio presidenziale del Paese. Al Lafi ha descritto Al Milad, un comandante di stanza a Zawiyah, in Tripolitania, come un” importante membro della guardia costiera”. Il suo attuale incarico ufficiale però era quello di capo dell’Accademia navale libica. Adesso la maggior parte dei mezzi di comunicazione lo rappresenta come un trafficante di esseri umani, ma per anni è stato un importante interlocutore delle autorità italiane, ed ancora oggi manteneva un ruolo importante nell’addestramento dei guardiacoste, che costituisce uno dei filoni privilegiati dal governo italiano per rafforzare la sedicente Guardia costiera “libica”. Che non esiste, come unica entità nazionale, come dimostrano i comunicati ufficiali che sono stati diffusi sui canali libici dopo l’uccisione del “comandante” Bidja.
Un assassinio ancora indecifrabile, le foto di Bidja riverso sul sedile della sua auto, crivellato di colpi, pochi giorni dopo che Dbeibah, capo del governo provvisorio di Tripoli, aveva annunciato un nuovo sistema di sicurezza, con a capo il discusso ministro dell’interno Trabelsi, che avrebbe dovuto comporre gli scontri tra le milizie rivali. Un ennesimo tentativo per pacificare la città di Tripoli e il suo distretto, che ancora oggi sfugge al pieno controllo dell’unico governo “libico” legittimato dalla comunità internazionale. Sullo sfondo immediato di questo omicidio la fuga precipitosa del direttore della Banca centrale libica, da settimane al centro di una durissima contesa tra i governi rivali di Tripoli e di Tobruk, dietro la quale emerge sempre di più il ruolo del clan del generale Haftar e di suo figlio, recentemente in Italia. E ancora, come conseguenza della chiusura della Banca centrale libica, il fermo a singhiozzo per “forza maggiore” dei principali terninali petroliferi libici. Una situazione che aveva allertato anche le autorità militari italiane, ma che era stata nascosta all’opinione pubblica.
In mare intanto continua un fiorente traffico di armi e petrolio, che si nasconde dietro le intercettazioni di barconi di migranti in fuga verso l’Italia, ed a nulla sembra servire la presenza di Frontex e della missione europea EUNAVFOR-MED alla quale recentemente le Nazioni Unite hanno ulteriormente rafforzato il mandato di controllare le coste libiche. Dove ormai sono presenti consistenti assetti militari turchi e russi, schierati con i contrapposti governi, e con la corrispondente galassia di milizie, che si contendono la Libia.
Giusto oggi, all’indomani dell’uccisione di Bidija, sembra sia stata bloccata la strada costiera tra Zawiya e Ras Jedir, dopo che si era sparsa la notizia della riapertura del terminale di Zawia, città che era sotto controllo del clan al quale apparteneva l’ex comandante della sedicente Guardia costiera “libica”. Dopo la stipula del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti con il governo di Tripoli nel 2017, una intesa alla quale Bidja riferiva con orgoglio di avere contribuito, anche con un suo viaggio in Italia nel 2017, con una delegazione libica che oltre ad entrare nel CARA di Mineo (CT) in Sicilia, era stata ricevuta a Roma, al ministero dell’interno, malgrado fossero già note le attività criminali in cui era coinvolto nella zona di Zawia.
Dal 2018, con la invenzione di una zona SAR (ricerca e salvataggio) “libica”, il ruolo di Bidja era diventato ancora più importante come comandante di una motovedetta che intercettava in modo violento, e con il ricorso alle armi, barconi carichi di migranti che si trovavano in situazione di pericolo in acque internazionali.
In quello stesso periodo si intensificavano le attività criminali, legate al contrabbando di petrolio, oggetto di indagine anche in Italia (inchiesta Dirty Oil) ed al traffico di esseri umani, che riguardavano l’intero clan dei Koshlaf, al quale, secondo quanto accertato dalla magistratura, Bidja era collegato, che controllava anche il centro di detenzione di Zawia, nel quale venivano rinchiusi e torturati i migranti intercettati in mare e riportati in Libia. Respingimenti collettivi su delega, che si ripetono ancora oggi, documentati dalle ONG, malgrado le minacce dei libici e la politica dei fermi amministrativi e dei porti vessatori praticata in questi ultimi anni dal governo italiano.
Fatti ben documentati da importanti sentenze della giustizia italiana, in particolare del Tribunale di Messina, importanti non solo per la condanna dei torturatori, ma anche per il quadro che forniscono della situazione disumana all’interno del campo di detenzione di Zawia.
Come riportava l’Avvenire, “diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu e dell’Aja – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia Costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portata al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».Si trattava di una motovedetta ceduta dagli olandesi ai libici nel 2012, che per bloccare i migranti in mare poteva disporre di armi da fuoco. Una evidente violazione dell’embargo stabilito nei confronti della Libia, e una situazione di totale violazione dei diritti umani delle persone migranti che viene tollerata ancora oggi dagli Stati che, per contrastare le partenze, antepongono la collaborazione con governi che non rispettano i diritti umani alla tutela dei diritti fondamentali ed alla salvaguardia della vita in mare.
2. Nessuno si chiede oggi che fine fanno le persone migranti scoperte dalle diverse autorità libiche durante le operazioni di contrasto dell’immigrazione illegale che periodicamente vengono annunciate per giustificare gli ingenti fondi che arrivano dall’Unione europea e dall’Italia. Ancora quest’anno sono migliaia le persone intercettate in alto mare dalla sedicente Guardia costiera libica, che certo non dispone di una unica centrale di coordinamento (MRCC), e che per questo, oltre a non rispondere alle chiamate di soccorso, e’ periodicamente costretta a trasmettere i suoi avvisi di allerta tramite la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC), che così opera “on behalf”, per conto dei libici. Tutte queste persone, dopo lo sbarco in un porto libico, sono state condotte nei centri di detenzione ufficiali e informali nei quali, tutti i giorni, sono inflitte violenze orribili. Di cui sono complici i governi europei che sostengono la sedicente Guardia costiera libica, o una delle sue tante diramazioni.Perchè, di certo, chi comanda a Tripoli, non conta nulla a Bengasi. Mentre l’influenza del generale Haftar torna a lambire le città ed i terminali della Tripolitania. E intanto le persone bloccate o intercettate da entrambi i contendenti, finiscono in centri di detenzione disumani ,anche quando sono definiti come “centri governativi” e vengono periodicamente visitati dalle agenzie umanitarie dele Nazioni Unite. Non solo, ma quando in Libia si chiude un centro governativo si moltiplicano i cd. “centri informali”, sotto il controllo delle milizie che neppure rispondono al governo provvisorio di Tripoli.
3. L’uccisione di Bidja segna probabilmente un capovolgimento dei rapporti di forza nella capitale libica, anche se non è ancora chiaro in quale direzione, e dimostra la totale fallibilità di quei progetti, come il Piano Mattei per l’Africa, che allo scopo propagandistico di dimostrare il successo della esternalizzazione dei controlli di frontiera, tendono a legare un cospicuo sostegno economico, piuttosto che al miglioramento delle condizioni nelle quali vivono le persone, al rafforzamento degli apparati di sicurezza e, in particolare, della sedicente Guardia costiera “libica”. Alla quale si continua a delegare, con la complicità europea e del’agenzia Frontex, il compito di bloccare migranti, potenziali richiedenti asilo, in acque internazionali, condannandoli a trattamenti inumani e degradanti o a morte, se non per abbandono in mare, una volta ricondotti nei centri di detenzione libici. E intanto nella cosiddetta zona SAR “libica”, quella che era affidata ai pattugliamenti di Bidja, continuano a scomparire persone inghiottite, oltre che dal mare, dalla censura dei governi e dalla indifferenza dei cittadini europei.
4. La Procura di Agrigento, più recentemente, e le Nazioni Unite, fin dal 2018, avevano già messo sotto indagine Bidja, arrestato a Tripoli nel 2020 e poi rilasciato e nominato a capo dell’Accademia navale. Sono indagini che devono proseguire, anche dopo che un gruppo armato ancora non individuato ha eliminato uno dei più mportanti testimoni delle violenze alle quali sono sottoposti da anni tutti i migranti che transitano, e continuano a transitare dalla Libia. Per la Corte di Cassazione, la consegna di persone migranti soccorse in mare alla guardia costiera libica può configurare un’ipotesi di reato di abbandono in stato di pericolo di persone minori e incapaci e sbarco e abbandono arbitrario di persone (articoli 591 cod. pen. e 1155 cod. nav. Eppure le autorità italiane, anche tramite gli assetti aerei di Frontex, continuano a collaborare con le diverse guardie costiere “libiche”.
Occorre rendere giustizia a tutte le persone che sono state vittime di intercettazioni illegali in acque internazionali e poi torturate o uccise nei campi di detenzione in Libia. Ma occorre anche fare chiarezza sulla rete di amici di Bidja che hanno usato per anni Malta e l’Italia come uno spazio di libero transito per i loro traffici, dietro la copertura della collaborazione nelle attività di contrasto di quella che i governi continuano a definire come “immigrazione illegale”. Mentre di illegale ci sono soltanto gli accordi internazionali che non rispettano i diritti umani, i trasferimenti di materiale bellico, le prassi amministrative e le connesse attività militari, o di polizia, che ne costituiscono attuazione. Chi cerca di raggiungere un porto sicuro per salvare la vita o per fuggire la tortura e la detenzione arbitraria, utilizzata per estorcere e per abusare, non comette alcun reato. Se hanno tappato la bocca per sempre ad un possibile testimone, non si potranno basare ancora a lungo sulla menzogna e sulla censura, oltre che su connivenze indecifrabili, le politiche di esternalizzazione che l’Unione europea e l’Italia praticano da anni in Africa, ed in particolare in Libia.