“Ci sono molti modi per uccidere”
Bertolt Brecht

Giovedì scorso, 5 settembre 2024, i giornalisti Sandro De Riccardis e Massimo Pisa del quotidiano La Repubblica hanno dedicato due intere pagine con i seguenti titoli:

“Regolamento di conti tra ultrà dell’Inter, muore il figlio di un boss, ferito il capo della curva” (Milano, la vittima è Antonio Bellocco, erede di un clan di ‘ndrangheta di Rosarno. Ad ucciderlo è stato Andrea Beretta, pregiudicato sottoposto a Daspo per dieci anni.)

“In curva c’è una miniera. Gli affari d’oro delle mafie che comandano a San Siro”

“La lite per le mire della vittima sul merchandising della Curva Nord al Pioltello”

La lettura di quegli articoli, legati anche alle viscide attività speculative di mercanzie da esporre e vendere alle tifoserie, mi ha fatto ricordare che, nello stesso quotidiano “La Repubblica” del martedì 23 settembre 2003, Corrado Zunino aveva scritto il seguente articolo:
“Calcio violento. Un po’ nazi, un po’ global, ecco gli hooligan di casa nostra.”

Qui, oltre a ribadire che le violenze degli ultras erano diffuse anche in Inghilterra, in Germania, in Francia e in Spagna, aveva voluto evidenziare che:
“Si inizia a 15 anni ad andare in curva, a volte non si smette dopo i quaranta. In alcuni casi, da adulti – molti gli esempi tra Roma e Lazio – si passa alla vendita del merchandising: sciarpe e dischi da curva.

Spesso si flirta, minacciandole, con le società. Resta il più grosso bacino d’aggregazione giovanile ed è sopravvissuto alla fine delle discoteche, del karaoke, persino alla crisi dei no global.

Tutte e 132 le società professionistiche, dalla serie A alla C1, hanno gruppi di tifosi organizzati, ma ci sono ultras anche nel campionato Dilettanti, in Eccellenza.

Dall’omicidio di Metallica(Milano) – skinhead dell’Inter che frantumò il cranio ad un ascolano nel 1988 – in poi, il mondo ultras ha alimentato la sua fama peggiore con una lunga scia di episodi in nero: su tutti Ivan Dall’Olio, neofita della trasferta dietro al Bologna, sfigurato a 14 anni da una molotov lanciata a Firenze dentro un treno in movimento.

Episodi che hanno abbassato il sipario su ogni tentativo di dialogo con la società intorno, su ogni iniziativa benefica, ogni incontro nelle scuole.”

Ed è proprio nelle scuole che va fatto un lavoro capillare di individuazione e decostruzione delle emozioni e dei comportamenti violenti.
Nell’anno scolastico 1992-1993, lo scrivente ha realizzato presso il Liceo-Ginnasio Vittorio Emanuele II di Palermo, un progetto su “La spettacolarizzazione della violenza: Io non sapevo…, che è stato pubblicato con il contributo della L.R. n. 51/80 (Antimafia) dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana.

Di seguito ne trascriviamo alcuni contenuti.

“Oggi non possiamo ancora dire ‘Io non sapevo…’; oggi noi non possiamo permettere che, nella progressione rituale di una società del capitale ormai decisa a tutto nel nome del dio denaro, la nostra vita scivoli inesorabilmente nella progressione di una esistenza priva di senso.

Oggi tutti noi sappiamo che il mondo è un focolaio di guerre in continua estensione eppure nell’aria si registra una calma (apparente) che omologa tutto ciò che ci circonda, non riusciamo a percepirne le dimensioni, viviamo in un virtuale giornaliero che non distingue il reale dal fittizio. (…)

Siamo dinanzi ad un circolo vizioso che riguarda anche il terribile stereotipo della guerra: si fa la guerra per annullare la guerra; c’è il solito e tragico stereotipo della violenza: si è violenti per annullare la violenza.

Sta di fatto che le parole vuote generano il vuoto delle parole e le parole violente generano la violenza delle parole. (…)

La verifica più attendibile ci viene offerta dal linguaggio sportivo che è pieno di parole e frasi che derivano anche dalla semantica bellica e quindi da una cultura violenta e incontrollabile: per esempio un ‘campo sportivo’ può diventare facilmente un ‘campo di battaglia’. (…)

Che fare?
«Denunciare la mutazione antropologica, il genocidio culturale di una nazione che avviene sotto gli occhi passivi di un popolo venduto anima e corpo al consumismo più spietato. (…)

Il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia e questa cosa è avvenuta in modo talmente rapido che in fondo non ce ne siamo resi conto; è avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni; è stata una specie di incubo, in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire e adesso risvegliandoci forse da questo incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare».

Questo disse Pier Paolo Pasolini in una intervista televisiva dei primi anni settanta. (…)

Ancora oggi, dopo 20 anni e alle porte del Duemila, non c’è più niente da fare?

La solfa dei richiami alla violenza nello sport si ripete nel tempo con fare inesorabile: 25 anni fa ci fu la prima vittima dello sport e poi una serie di misfatti a cui l’omologazione ha fatto perdere la valenza criminale.

Tra i ricordi c’è il ragazzo che viene lanciato sui binari della linea Catania-Messina dopo essere stato aggredito e picchiato; c’è il diciassettenne tifoso della Roma ustionato nel viso e nelle mani per una bottiglia molotov; e c’è la voce accorata della madre che piena di smarrimento dice all’intervistatore televisivo: «che le devo dire, che le devo dire… io ne so quanto ne sa lei; io so che mio figlio ha sempre visto le partite; è sempre calmo, è un bravissimo ragazzo perché lavora al bar con noi. Lo conosco benissimo».

Un tifoso genoano di 25 anni viene ucciso con una coltellata da un giovane tifoso milanista di 18 anni e i compagni di scuola dell’uccisore dicono: «Era un ragazzo come noi, era un ragazzo tranquillo, normalissimo».

E ancora dieci anni fa, davanti lo stadio di San Siro, un altro ragazzo, anche lui tifoso del Milan, uccise con una coltellata un tifoso della Cremonese. Quel ragazzo dichiarò:
«Estrassi il coltello dalla tasca e vibrai con il braccio teso in mezzo alle persone, a quei ragazzi che c’erano lì… e me ne andai… poi mi girai e ho visto questo ragazzo che si accasciava a terra con le mani nello stomaco, che perdeva sangue… Per un ragazzo di 16 o 17 anni è un fatto normale… non c’è niente, lo si fa in discoteca, lo si fa per strada, mentre si guida l’automobile, niente… comunque… forse… dire niente… provare quello che ho provato io… è… questi sette anni… il carcere… fa paura e… e… niente».

I giovani vedono e sanno che tra di loro si muovono liberamente criminali spietati e rispettati senza che il diritto assicuri una vita libera e tranquilla nel segno del lavoro. Ecco perché in questa realtà ambigua i giovani nutrono l’instabilità emotiva, la finzione vuota tra sogno e realtà, l’angoscia, la stanchezza di vivere, la morte per droga, la morte per alcolismo, la morte per eccesso di velocità, la morte affrontata nella forte dicotomia tra la propria identità (il non sapere chi si è) e il timore di perdere l’unica identità sognata (ciò che si potrà essere).

E così si sfida la morte disprezzando la vita. L’autodistruzione. (…)

Nella ‘spettacolarizzazione della violenza’ c’è un denominatore comune che scorre lungo il viaggio del pensiero: le guerre di strada rimandano alle guerre propriamente dette, raccontate e viste, che hanno il sapore della lontananza, dell’assenza, del nascosto eppure ci lasciano addosso tutti gli effetti tragici che una vita prepotente e aggressiva può dare; in questi effetti la realtà e l’immaginazione vengono scambiate o sostituite indifferentemente.”

Nel progetto svolto a scuola si è compiuto un viaggio attraverso le emozioni, che probabilmente passeranno e si confonderanno ancora nel vortice di un futuro reso omologante e senza fantasia, tra problemi più subiti che vissuti.

Ispirati dalla volontà profonda di realizzare una democrazia generale, dobbiamo continuare a impegnarci contro una Scuola-Impresa, contro una Scuola privata, perché, e lo dicono i ragazzi, «la Scuola è un diritto non una merce».

[citazioni da: Io non sapevo… la spettacolarizzazione della violenza. Ideazione di Pino Dicevi, pubblicato dal Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo nel 1995]