In Serbia, la questione relativa all’estrazione di litio nella valle dello Jadar situata nella parte occidentale del Paese è da mesi uno dei nervi scoperti per il governo serbo e per il presidente Aleksandar Vučić, che si trova a dover far fronte all’opposizione della maggioranza della popolazione e delle comunità locali, preoccupate per il danno ambientale che ne potrebbe derivare.
Il litio è fondamentale per l’Unione europea, e per Vučić è un’opportunità imperdibile di continuare la sua politica ambigua e oscillante tra UE e Russia.
Governo cautamente verso il sì, ma contro l’opinione pubblica
La concessione dei diritti di sfruttamento dei giacimenti di “jadarite” il minerale scoperto in Serbia e ricco di litio è divenuto un serio problema per il governo serbo e per Vučić.
Dopo le proteste di quest’estate, l’ultima agli inizi di settembre, l’esecutivo sembra orientato a chiudere la vicenda relativa alla concessione dei diritti di estrazione del litio alla compagnia britannica Rio Tinto.
A luglio con un regolamento esecutivo il governo aveva annullato il blocco del progetto della miniera dopo la controversa sentenza della Corte Costituzionale.
Tutto ciò, in aperto scontro con la maggioranza dei serbi che durante l’estate si sono riversati in massa nelle strade di Belgrado protestando contro il governo e contro la Rio Tinto.
La compagnia nelle scorse settimane ha partecipato insieme allo stesso Vučić ad un incontro con i cittadini di Ljubovija nel Mačva, nel tentativo di rassicurare la popolazione locale riguardo ai rischi ambientali provocati dalle attività minerarie.
Mentre la presidente dell’Assemblea Nazionale Ana Brnabić ha affermato con fermezza che prima di approvare la concessione per lo sfruttamento, sarà realizzato una valutazione di impatto ambientale imparziale, la Rio Tinto, nel frattempo, ha ribadito che il futuro impianto rispetterà standard ambientali e di sicurezza elevati, gli stessi applicati nelle miniere australiane gestite dalla compagnia.
I cittadini continuano ad essere però contrari al progetto.
Le opposizioni hanno recentemente depositato una bozza di modifica alla Legge sulla ricerca mineraria e geologica che qualora dovesse essere approvata potrebbe fermare la Rio Tinto.
Nel frattempo, la scorsa settimana il Dipartimento di Biologia dell’Università di Belgrado si è pubblicamente dissociato dal report riguardante la sicurezza del progetto della miniera, ribadendo l’estraneità dell’Università nella creazione e nella diffusione del documento.
Secondo stime recenti circa il 55% della popolazione serba si dichiara contraria al progetto della Rio Tinto e soltanto il 25%, invece, è favorevole.
Tali cifre si riscontrano nelle manifestazioni festive molto partecipate, nonostante la difficoltà di mobilitare le persone in quel periodo e la forte repressione del dissenso da parte del governo che non ha esitato a criminalizzare attivisti e ONG.
Vučić torna a corteggiare Bruxelles con le terre rare
Il litio estratto in Serbia sarebbe di cruciale importanza per l’Unione europea.
La decarbonizzazione e il raggiungimento della neutralità climatica, due pilastri per il secondo mandato alla guida della Commissione europea di Ursula von der Leyen, vanno di pari passo con la totale riconversione della mobilità europea in chiave elettrica.
Ciò comporterà una crescita esponenziale nella domanda di litio e altri minerali critici per la produzione di tecnologie avanzate necessarie per la transizione ecologica.
Non a caso, i minerali critici sono stati inseriti nel report di Mario Draghi in cui viene ribadita la necessità di emanciparsi dalla Cina, attualmente il principale fornitore dell’Unione.
Per Belgrado porsi come fornitore privilegiato assieme ai Paesi scandinavi rappresenterebbe una svolta nei rapporti con Bruxelles, rafforzando la Serbia come attore regionale.
Non a caso a fine agosto, il presidente francese Emmanuel Macron è volato a Belgrado chiudendo dodici accordi di cooperazione con il Paese, uno dei quali riguardante proprio i metalli critici rari.
L’equilibrismo serbo con la Cina e la Russia
L’accordo sul litio non sarà un fattore positivo per i rapporti con la Cina che da anni ha acquisito un peso rilevante all’interno dell’industria serba e nelle infrastrutture del Paese.
Pechino è per Belgrado una fonte di prestiti con cui sostenere lo sviluppo della propria industria e delle infrastrutture di cui la Serbia ha bisogno, come nel caso delle autostrade e dei corridoi logistici.
Infine, riguardo al settore minerario la Cina possiede la più grande miniera di rame del Paese e nell’ultima visita di Xi Jinping si è discusso anche della possibilità che la Cina inizi a rifornirsi di litio anche dalla Serbia.
Ad essere meno entusiasta di tutti è senza dubbio la Russia.
Di recente, alle manifestazioni contro la miniera nella valle dello Jadar si sono uniti anche alcuni gruppi nazionalisti di estrema destra come quello della Pattuglia del Popolo (Narodne patrole) apertamente vicina alle istanze del Cremlino.
L’estrema destra filo-russa ha un conto in sospeso con Vučić dallo scorso anno quando scese in piazza contro i negoziati con il Kosovo e il governo decise di arrestare uno dei leader della Pattuglia del Popolo Damjan Knežević.
La Serbia è un alleato chiave per la Russia nei Balcani e il momentaneo ravvicinamento di Vučić con l’Occidente rischierebbe di escludere Mosca dalla corsa ai minerali critici nei Balcani e di indebolire la sua influenza nella politica locale.
Le variabili strategiche regionali giocano un ruolo importante e insieme al dissenso interno della popolazione sono la causa dell’atteggiamento cauto e in alcuni casi ambiguo del governo serbo.
È altamente probabile che i vantaggi derivati dal realismo politico convincano Vučić ad andare avanti con il progetto, ma lo scenario politico nazionale potrebbe non rendere la vita facile al presidente e al governo.