1. La violenta campagna di disinformazione esplosa dopo la requisitoria della Procura di Palermo nel processo “Open Arms” in corso a Palermo nei confronti del senatore Salvini, ha raggiunto livelli tali da tradursi in una pesante intimidazione nei confronti dell’intera magistratura, in vista della sentenza di primo grado che dovrebbe arrivare in autunno. Occorre dunque uno sforzo di memoria per valutare le richieste della Procura di Palermo in base alle precedenti applicazioni giurisprudenziali ed al principio di legalità, baluardo dello Stato di diritto, e non secondo il consenso elettorale vantato dalle parti politiche più direttamente coinvolte. Non si tratta di uno scontro tra politica e magistratura ma della applicazione della legge in conformità con il dettato costituzionale che non può essere stravolto per le finalità di una pretesa difesa dei confini. Principio costituzionale (art.52 Cost.) che si riferisce alle forze armate ed al servizio militare, ma non certo idoneo a sovvertire il principio di separazione dei poteri ed a giustificare decisioni e comportamenti di un ministro, che sono finiti sotto la lente del giudice penale.

Questo è lo Stato di diritto, che presuppone la soggezione dei giudici esclusivamente alla legge ed il principio di parità tra tutti i cittadini chiamati a rispondere in sede penale. Che non sono certo persone “sotto mira da anni” dai magistrati, quando i processi durano troppo, come si è affermato, ma soggetti per i quali devono valere senza discriminazioni di sorta la presunzione di innocenza ed i diritti di difesa. Se i tempi del processo di Palermo sono stati lunghi, sono stati comunque più brevi di altri processi sui soccorsi in mare, come nel caso Iuventa a Trapani, nel quale dopo sette anni dai fatti sono stati assolti tutti gli operatori delle ONG massacrati sui media, dopo essere stati oggetto di indagini di dubbia legittimità, proprio dalle stesse forze che adesso difendono a spada tratta il senatore Salvini. La presunzione di innocenza vale per tutti coloro che si ritrovano davanti ad un giudice penale in una aula di giustizia. E quando il processo sarà concluso si potrà fare comunque il bilancio di depistaggi e ostacoli al corso della giustizia che non sono certo imputabili alla Procura di Palermo. E’ grave che la Presidente del Consiglio, in riferimento al processo Open Arms/Salvini, sia arrivata, a dire che ““criminalizzare la difesa dei confini è un grave precedente”. E’ in questo modo che si attenta al fragile equilibrio tra i poteri dello Stato e si trasforma il processo penale in un caso politico, alimentando folate di odio che potrebbero avere esiti imprevedibili.

 

2. Già nel 2020 con la sentenza n.6626 sul caso Rackete la Corte di Cassazione aveva chiaramente indicato i limiti dei divieti di sbarco imposti a quel tempo in base al cd. decreto sicurezza “bis” n.53 del 2019, In particolare la Corte osservava che: “La verosimile esistenza della causa di giustificazione è stata congruamente argomentata. In questo ambito, il provvedimento ripercorre, necessariamente, le fonti internazionali […] , sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell’adempimento del dovere di soccorso in mare sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare la condotta di resistenza”. 

Continua la stessa sentenza: “Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 comma 1 Cost. – tutte disposizioni ben conosciute da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attività di polizia marittima -, sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell’operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell’arresto della Rackete, in una situazione nella quale la citata causa di giustificazione era più che “verosimilmente” esistente.

 

3. Il richiamo operato da alcuni ai precedenti casi Diciotti (agosto 2018) Gregoretti (luglio 2019), nei quali il ministro dell’interno aveva vietato o ritardato lo sbarco dei naufraghi, non è affatto pertinente nel caso Open Arms, verificatosi nel mese di agosto del 2019, negli stessi giorni in cui il Parlamento convertiva in legge il Decreto sicurezza bis n.53 del 14 giugno 2019, che concentrava sul ministro dell’interno il potere di vietare discrezionalmente l’ingresso nelle acque territoriali, dopo le attività di ricerca e soccorso (SAR) in acque internazionali, a tutte le navi soccorritrici, “salvo che si tratti di naviglio militare”. Basterebbe già questo richiamo normativo per escludere qualunque rilevanza dei casi Diciotti e Gregoretti, navi militari, sul caso della mancata assegnazione del POS (porto di sbarco sicuro) alla nave del soccorso civile Open Arms nell’agosto di quello stesso anno. Ma si potrebbe anche aggiungere che l’archiviazione del caso Diciotti non porta alcun argomento utile nel diverso caso Open Arms. Il provvedimento di archiviazione nei confronti di Conte, Toninelli e Di Maio, da parte del Tribunale dei ministri di Catania veniva infatti adottato pochi giorni prima del voto con il quale il Senato, nel marzo del 2019, negava l’autorizzazione a procedere per Salvini, Mentre nel caso Diciotti una decisione “politica” del Parlamento bloccava il procedimento penale nei confronti dell’ex ministro dell’interno, nel caso Open Arms il processo si sta svolgendo perché il Senato ha approvato la richiesta di autorizzazione a procedere.

Nel caso Gregoretti, poi, per il trattenimento a bordo della nave dal 27 al 31 luglio 2019, nel 2021, il GUP (giudice dell’udienza preliminare) di Catania archiviava le accuse nei confronti del senatore Salvini, perché risultava agli atti che le decisioni prese dal ministro dell’interno non erano avvenute in completa autonomia, come nel caso Open Arms, e che il governo si coordinava con il Viminale, durante le trattative per la redistribuzione con altri Paesi Ue, tanto che, a piccoli gruppi i migranti venivano fatti sbarcare.

Il 16 agosto il premier Conte rispondeva a una missiva del ministro Salvini, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave al limite delle acque territoriali (in effetti vi aveva già fatto ingresso) e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento aggiungeva di aver già ricevuto conferma dalla Commissione europea della disponibilità di una pluralità di stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, indipendentemente dalla loro età. Invitava, dunque, il ministro dell’Interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione”.

 

4. Le posizioni nell’Unione europea erano chiaramente orientate a condannare il trattenimento prolungato dei naufraghi soccorsi dalla Open Arms. Già il 9 agosto del 2019 il Presidente del Parlamento europeo chiedeva una soluzione umanitaria per lo sbarco dei naufraghi che poi, malgrado la decisone si sospensione del divieto di sbarco da parte del TAR Lazio, venivano trattenuti a bordo della nave soccorritrice, inclusi donne in stato di gravidanza e minori non accompagnati, per quasi due settimane. Per la Commissione Europea i naufraghi della Open Arms andavano sbarcati immediatamente, prima che si concludessero le trattative per la loro redistribuzione in Europa. La Commissione europea, il 16 agosto del 2019, definiva insostenibile la situazione di prolungato trattenimento dei naufraghi slla Open Arms ormeggiata a poche centinaia di metri dal porto di Lampedusa.

Il richiamo alle trattative intercorse con altri paesi europei va contestualizzato con riferimento ai mesi precedenti la vicenda Open Arms. Nel mese di luglio del 2019 Salvini si rifiutava di partecipare ad una riunione indetta a Parigi dal Presidente francese Macron per discutere sui criteri di redistribuzione dei migranti in Europa. Alla fine dell’incontro di Parigi Macron “deplora(va) gli esponenti politici assenti (“non si guadagna mai nulla non partecipando”) e porta(va) a casa l’accordo di 14 Stati “volontari” pronti a ripartirsi in modo sistematico i migranti soccorsi in mare, senza dover avviare ogni volta trattative. Come sottolineava al termine della riunione il Presidente francese, “quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto più vicino. E’ una necessità giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilità”. Questo spiega le resistenze europee ad accettare il principio della redistribuzione “ex ante”, già formalmente decisa prima dello sbarco, che nell’estate del 2019 costituiva il fulcro della politica dei “porti chiusi”.

 

5. La Procura di Palermo nella sua requisitoria non ha “attaccato” il Decreto sicurezza bis del 2019, ma lo ha citato soltanto per farne valere la corretta applicazione, in conformità con le norme di diritto sovranazionale (e quindi costituzionali, in base all’art.117 Cost.), che non consentono di qualificare come “non inoffensivo” l’ingresso per lo sbarco di naufraghi, salvo prove di un reale pericolo per la sicurezza pubblica. Certo la presenza di terroristi a bordo della Open Arms non è stata mai provata, neppure come mera probabilità, ed i naufraghi non potevano essere considerati come “clandestini”, prima di fare ingresso nel territorio nazionale. E neanche dopo, in base alla distinzione imposta dall’art.10 ter del Testo unico 286/98 che distingue dagli ingressi irregolari l’ingresso “per ragioni di soccorso”. Semmai, se si riuscisse a delimitare con un minimo di onestà il quadro normativo vigente al tempo del caso Open Arms, e dunque l’unico rilevante per i giudici di Palermo, bisognerebbe aggiungere che il successivo Decreto legge “Lamorgese” (21 ottobre 2020, n. 130) cancellava del tutto il potere del ministro di vietare alle navi civili che avevano operato attività di soccorso l’ingresso nelle acque territoriali. Per questa ragione, nessun paragone è possibile tra il caso Open Arms e i successivi casi di ritardo, anche prolungato, nell’assegnazione del porto di sbarco, durante la gestione dell’ex ministro dell’interno Lamorgese.

I residui divieti di transito e sosta nelle acque territoriali, che continuano ad escludere il naviglio militare, non possono essere applicati dopo operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, Come è provato che si verificò nel 2019, nel caso Open Arms, e come continua a verificarsi ancora oggi, nel caso degli interventi di soccorso in acque internazionali. Perché neppure il Decreto Piantedosi (legge n.15/2023), pure criticabile sotto molti punti di vista, ha restituito al ministro dell’interno il potere di interdire l’ingresso nelle acque territoriali alle navi civili che hanno operato attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Come è dimostrato dal nuovo fronte che si è aperto con la politica dei porti lontani e con i fermi amministrativi, che la giurisprudenza civile sospende nella maggior parte dei casi, proprio sulla base del carattere doveroso delle attività di ricerca e salvataggio e della legittimità dell’operato delle Organizzazioni non governative alla luce della stessa normativa internazionale che viene in rilievo nel caso Open Arms. E se il processo è durato tanto a lungo, basta ascoltare le registrazioni delle udienze di Radio Radicale, forse si deve proprio al tentativo fallito della difesa di Salvini di spostare sulle navi del soccorso civile, che avrebbero violato la legge, le responsabilità della mancata assegnazione del porto di sbarco, arivando a chiedere l’inserimento nel processo di Palermo degli atti del procedimento penale sul caso Iuventa, poi concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati. Vedremo se all’udienza del prossimo 18 ottobre nella quale la stessa difesa presenterà le sue conclusioni, si ripeteranno gli attacchi contro il soccorso civile, oppure se si tratterà dei profili di responsabilità penale prospettati nei capi di imputazione, prima dal Tribunale dei ministri e poi dalla Procura di Palermo.

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Processo Open Arms/Salvini, a rischio lo Stato di diritto.