Una testimonianza di chi al suo fianco ha lavorato assumendolo come riferimento

Senza l’attivazione delle intelligenze dal basso, a mio avviso, non c’è speranza per dare senso alla “religiosità della vita”.
Una “religiosità della vita” nel cui percorso “c’è la coscienza personale e c’è anche la coscienza collettiva”. La coscienza che, nella sua accezione, sta a significare la consapevolezza, la comprensione dei fatti nel territorio dove noi viviamo.

Detto questo, per dare credito alle scelte sacrosante di Pino Puglisi e per non affogare ogni iniziativa o ricordo nei luoghi comuni della pura e semplice commemorazione, mi auguro che il suo esempio possa segnare finalmente un nuovo percorso da seguire nella nostra isola, la Sicilia,  e non solo.

Ho conosciuto Pino Puglisi al Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo per l’intero anno scolastico 1992/1993. Ebbene, in quell’anno a mia memoria, non ho avuto il piacere di cogliere il suo sorriso così come emerge dalla foto che continua a fare il giro del mondo.

Il mio ricordo di Pino Puglisi è legato invece alla convinzione di trovarmi dinanzi ad una personalità seria e riservata, non disgiunta da una autorità educativa che emergeva dai suoi brevi e profondi interventi che, nei vari consigli di classe, coincidevano solitamente con una lucida apertura verso i problemi sociali, umani ed ambientali.

Questa sua personalità mi incuriosì fin dai primi incontri, difatti tentai di interessarlo e coinvolgerlo in un mio progetto titolato: “Io non sapevo … La spettacolarizzazione della violenza”. Un progetto che mirava a scoprire il senso delle scritte violente di cui erano pieni i muri dei gabinetti e i banchi, così come lo erano i muri adiacenti alla scuola e asfissianti tutta la città.

Un progetto che, fra l’altro, si inseriva nelle attività curriculari proponendo anche l’aggiornamento storico sul Novecento, stimolando le connessioni tra passato e presente e, precisamente, dalla Shoah a Via D’Amelio.

Ma lui, con il garbo che lo distingueva, quando lo contattavo si allontanava dicendomi che aveva premura di andare e che stava attraversando un periodo pieno di impegni.

Fu dopo quel tragico giorno del 15 Settembre 1993 che cominciai a capire il suo atteggiamento. Capii che la sua premura era più che motivata.

Capii che scappava verso Brancaccio, verso quel quartiere dove la mafia del luogo gli aveva tolto il sorriso e si preparava a togliere di mezzo un prete alquanto scomodo perché voleva, a tutti i costi, accendere una nuova luce proprio tra quelle case dove il fare quotidiano dei bambini, e non solo, era carico di violenze materiali e spirituali.

Capii che scappava verso gli abitanti di quel borgo dominato dagli stessi mafiosi che avevano preparato l’esplosivo nel vile attentato contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

E in questa mia breve testimonianza voglio ricordare anche l’impegno di un altro prete, Don Peppe Diana, ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 Marzo del 1994, che soleva affermare:
“A me non interessa sapere se Dio esiste.
A me interessa sapere da che parte stai”.
Con questa illuminante affermazione ci volle dire che “la giustizia terrena e la giustizia divina” non sono due giustizie separate: sono interconnesse.

Pino Puglisi e don Peppe Diana ci invitano a credere nella “religiosità della nostra vita” perché è questa che ci aiuterà a rompere i “recinti mentali”, quei recinti che tanto male hanno fatto e continuano a fare non solo nei nostri piccoli comuni ma anche nelle comunità di tutto il mondo, dove le violenze, le guerre e lo sfruttamento sono generate dal neo-capitalismo, dal neo-liberismo globalizzato e dalle privatizzazioni.

Solo così saremo capaci di capire l’atto d’accusa di Papa Francesco contro il “colonialismo vecchio o nuovo che riduce i paesi poveri a meri fornitori di materie prime e di lavoro a basso costo. E nessun potere, di fatto o costituito, ha il diritto di privare i paesi poveri della propria sovranità”.

Solo così saremo capaci di capire le contraddizioni tirate fuori da questo papa -terreno- che, per difendere il creato, si unisce ai movimenti dal basso che, in ogni angolo del mondo, credono nella lotta per la pace, per il lavoro e per i Beni Comuni, compresa l’acqua e i relativi servizi idrici.

Questo papa vuole mettere insieme cristianità e laicità, recuperando così l’alto significato di “religione”, una categoria che, nella sua più vera accezione, ci permette di “legare insieme le leggi terrene e le leggi cristiane”, i cui obiettivi coincidono non solo con i contenuti della nostra Carta Costituzionale, fondata sulla democrazia e sulla difesa dei diritti civili ed umani, ma coincidono anche con i contenuti evangelici, molto lontani dai crimini commessi dal vecchio potere cattolico di cui, ultimamente, la Chiesa ha dovuto giustamente chiedere scusa.