Maria De Biase, in oltre 40 anni di servizio a scuola, non ha mai piegato la testa. Si è sempre definita una “preside di corridoio” che non ha bisogno di un ufficio, né di una poltrona, né di un “posto al sole” per poter fare quello che deve fare, credendo che la scuola avesse bisogno di una “presidenza diffusa”. De Biase è stata l’insegnante che ha lottato con coraggio contro la camorra in un Comune dell’hinterland di Napoli, facendo di tutto affinché i ragazzi frequentassero la sua scuola invece che perdersi per strada e fare manovalanza mafiosa.

Per il suo impegno venne da un lato minacciata, mentre dall’altro non ricevette alcun riconoscimento dallo Stato quando si trovò ad intitolare una targa a Giancarlo Siani, giornalista del Mattino ucciso dalla camorra. In seguito, Maria De Biase divenne dirigente dell’Istituto Comprensivo Santa Marina di Policastro Bussentino, nel cuore del Cilento, nel quale istituì la prima scuola pubblica plastic-free d’Italia oltre agli orti sinergici, al compostaggio, alla mensa a km zero, alle eco-merende con succhi d’arancia e pane. Mise al bando il monouso e gli snack industriali, lanciò una linea di saponi a base di olio esausto autoprodotto dai suoi alunni e creò un’orchestra con strumenti ricavati da rifiuti: latte, bidoni, tubi.

L’Istituto Comprensivo “Teodoro Gaza” di San Giovanni a Piro, del quale dal 2007 la De Biase è stata dirigente scolastica, è stata la prima scuola italiana a interessarsi ufficialmente di picco del petrolio e resilienza. Sebbene all’estero la sua grande esperienza sia stata premiata, ricevendo nel 2014 dal Parlamento Europeo il “Premio del Cittadino Europeo”, in Italia è stata punita, umiliata, ostacolata persino dalle istituzioni locali. Nel 2021 ha ricevuto il Premio Internazionale di Ecologia Verde Ambiente e, durante il Covid-19, ha rilanciato l’idea del potenziamento di una “didattica diffusa” all’aperto. Se vivessimo in una società a misura d’essere umano, Maria De Biase sarebbe Ministro dell’Istruzione; se vivessimo in una società coraggiosa, Maria De Biase sarebbe presa a modello per lo sviluppo della scuola futura; se vivessimo in una società intelligente, Maria De Biase sarebbe ascoltata e presa come esempio.

Come inizia la tua esperienza da insegnante, oltre al tuo attivismo anti-mafia?

Nella mia famiglia ci sono stati tanti docenti. I fratelli di mio nonno erano maestri elementari. Fin da bambina giocavo a fare la maestra.

Da dove nasce la tua passione per la terra?

Sono nata e cresciuta in campagna, all’interno di una grande azienda agricola. I miei genitori erano contadini. Mi hanno insegnato ad amare la terra, a rispettarla e a proteggerla.

Quando sei riuscita a coniugare la didattica e la terra?

Ho cominciato a fare la maestra giovanissima, avevo appena compiuto 18 anni. Mi portavo in classe il mio amore smisurato per la Natura, la campagna e i suoi ritmi. Diciamo che è stato un processo naturale.

Tu non hai concepito l’ora di educazione ambientale all’interno dell’orario scolastico, ma la “scuola ecologica” come modo di vivere quotidiano per gli alunni e gli insegnanti, sottolineando l’importanza di riscoprire la “lentezza” e fermare il tempo. Com’era strutturata una giornata nella tua scuola?

L’educazione ambientale secondo me non può essere racchiusa in un’ora come se fosse una disciplina, una materia come le altre. L’ambiente e la sua tutela, l’attenzione per la Natura non vanno considerati degli elementi da inserire nel percorso di apprendimento dei bambini e dei ragazzi, ma dinamiche naturali della vita degli esseri umani. Noi siamo Natura, siamo terra, siamo ambiente. Chiamiamolo con il termine che più ci piace, ma le nostre vite non possono essere separate dalla Natura. So che è un concetto che si fa fatica a capire: è innaturale aver separato le persone dalla terra, dal cibo, dai colori e dai profumi della Natura. Rinchiudere dei bambini e poi dei ragazzi per 20 anni in aule di cemento, con giocattoli di plastica, con oggetti tecnologici, con materiali morti, inanimati è da criminali. Non si può eliminare dalla vita delle persone la bellezza del Creato. La lentezza appartiene alla vita, la velocità è un concetto legato alla produzione, all’efficienza, al denaro.

Come docente e come preside ti sei occupata seriamente del tema dell’obesità infantile di cui la Campania soffre da molti anni, causata principalmente da junk food e da merendine spazzatura. Come hai affrontato il problema nella tua scuola?

Da più punti di vista. Siamo nel Parco Nazionale del Cilento, patria della dieta mediterranea e trovo aberrante che proprio qui non ci sia, da parte delle Istituzioni, attenzione all’alimentazione e ai danni causati dal cibo-spazzatura. Ho cominciato con la lettura delle etichette e l’analisi degli ingredienti e degli effetti dannosi sulla salute. I bambini e i ragazzi hanno capito subito, il mondo adulto (docenti e genitori) è stato meno disponibile ad accogliere le proposte legate all’eco-merenda fatta di pane e olio nostrani e succo dei nostri aranceti.

I laboratori di produzione del sapone ecologico a scuola sono una delle cose più visionarie che hai fatto, oltre all’organizzazione delle raccolte di olio esausto. Da dove nasce questa idea?

Basta guardare il nostro mare, uno dei più belli d’Italia. E’ bastato chiedere ai bambini dove veniva buttato l’olio esausto per sapere che finiva nel lavello e quindi in mare.  Abbiamo lavorato sull’inquinamento marino, sui danni all’ecosistema. Lo ripeto, i bambini sono esseri intelligenti e poi sono seri. Hanno obbligato le loro mamme a consegnare a scuola l’olio esausto. Insieme alle nonne abbiamo recuperato le antiche ricette per fare il sapone, facendo rete, vendendo saponi, raccogliendo fondi per la scuola e distribuendo detergenza naturale.

Hai dato molta importanza alla sana alimentazione, al cibo locale e alla mensa come “cibo di casa”, fuori dalla logica che vede il cibo delle mense scolastiche iper-confezionato. Come l’hai messo in pratica e soprattutto che svolta hai dato alla tua mensa scolastica?

Ho coinvolto l’intera comunità scolastica su quanto è giusto e conveniente offrire ai nostri ragazzi cibo sano e locale. È stato un processo lento e graduale, che ha coinvolto molte persone. La grande spinta è stata data dalle tante persone, giornalisti, esperti, viaggiatori che hanno cominciato ad interessarsi al nostro progetto. Credo che per una comunità come la nostra, fatta di piccoli paesi, isolati e lontani dai grandi centri, sentirsi al centro dell’attenzione mediatica abbia attivato l’orgoglio di un’appartenenza. Diciamo che siamo anche stati fortunati. Abbiamo creato delle mense scolastiche dove si stava insieme, si condivideva cibo coltivato nei nostri orti, offerto dalle famiglie… tutto all’insegna della convivialità. In questo modo si è diffuso benessere e tanta bellezza.

Nonostante la grandiosità e la lungimiranza di questo progetto, la tua scuola era vista come scomoda dalle istituzioni. Ti hanno messo i bastoni tra le ruote a causa di norme schizofreniche che, puntando all’igiene, producono montagne di rifiuti. Credi che la scuola sia inebriata dalle logiche perverse della medicalizzazione e della sanitarizzazione della vita?

E’ proprio così, si sono appropriati delle nostre vite e delle vite dei più piccoli. Hanno convinto le persone che non dovevano più produrre il proprio cibo e affidarsi all’industria agro-alimentare. Hanno creato norme igieniste (spesso non igieniche) folli per cui è legale mangiare robaccia imbustata e proibito consumare una spremuta di agrumi dell’orto della scuola. Mi hanno dato del filo da torcere, sono stata derisa e minacciata dalle istituzioni, sia da quelle locali che da quelle ministeriali.

La tua scuola non era solo conosciuta per il vivere ecologicamente, ma anche per i sistemi di educazione a cui vi siete ispirati. Penso a Steiner, Montessori, Galimberti e alla pedagogia libertaria con l’idea di formare l’essere umano piuttosto che un funzionario d’apparato. Cos’avete preso da questi grandi pensatori?

Ognuno di loro e non solo ci ha dato qualcosa; ho cercato di intercettare idee e principi da tutti i pensatori che si sono interessati di pedagogia e di libertà. I miei numerosi viaggi poi hanno arricchito ulteriormente la ricchezza del nostro percorso. Soprattutto i progetti tra la nostra scuola e l’India, il Senegal, alcuni Paesi sudamericani hanno ulteriormente allargato gli orizzonti.

Hai parlato molto della necessità di portare “benessere” nella scuola pubblica. Cos’hai fatto per portarli nella tua scuola e quale credi sia il problema della scuola italiana oggi?

Le scuole pubbliche sono diventate “brutte”, tristi, spesso anonime, frequentate da alunni tristi e da adulti depressi, arrabbiati e “bruttissimi”. Se è vero che i luoghi generano comportamenti, la “bruttezza” della scuola in questi anni ha generato bruttezza culturale e comportamentale. Avevo in testa un luogo bello, allegro dove le persone, grandi e piccole provavano piacere a stare insieme. Credo che la vera missione della scuola pubblica sia portare bellezza, essere un ambito in cui i grandi si prendono cura dei più piccoli, dove è possibile crescere insieme, ridere, scherzare, imparare ed essere felici, prima di essere tutto il resto.

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