“Innocence” di Guy Davidi è molto più di un film documentario. Direi che è un’opera d’arte; per il tocco lieve con cui assembla le semplici riprese video domestiche – cogliendo l’autenticità, la tenerezza, l’ingenuità delle testimonianze di un’infanzia felice e protetta – e l’introduzione alla conoscenza dei “giochi” degli adulti quasi fossero doni, privilegi concessi: i carri armati scalati come montagne, modelli giganti innocui al pari di macchinine da corsa. Mentre su tutto, aleggia il fantasma della Shoà, ricordata ogni anno e continuamente rievocata come minaccia esistenziale sempre incombente…
Il racconto delle voci fuori campo assume la forma di un flusso di coscienza dove la testimonianza dell’una si aggancia senza soluzione di continuità a quella dell’altra, con salti temporali che sembrano volerci ricordare come una semplice frase pronunciata durante una fase dell’infanzia assuma importanza determinante nella vita della persona giovane adulta. Un’intuizione su di sé, una deliberazione fuori contesto, un desiderio improvviso possono perdersi come pensieri nel tempo ma ripresentarsi imprevisti: nodi che ritornano al pettine nei momenti cruciali delle scelte per la vita o per la morte.
I palestinesi restano sullo sfondo; se ne vede la presenza, o la s’intuisce, solo in poche scene, ma sappiamo che ci sono, concausa involontaria di tanto tormento.
La tragedia palestinese è sullo sfondo dunque e il film ce ne mostra l’altro volto, il ris-volto spesso oscurato, l’altro lato della luna. E in un paesaggio lunare, desertico, si svolge l’ultima fase della vita del soldato anonimo, ripreso dall’alto da un drone, che narra la sua vicenda nel diario dove raccoglie gli ultimi pensieri, che cosa l’ha spinto ad abbandonare il battaglione e, nottetempo, a inoltrarsi nel deserto verso morte sicura. Queste giovani, questi giovani, raccontano l’impossibilità di seguire la strada della diserzione: è un fardello troppo pesante, espone a uno stigma troppo difficile da sopportare soprattutto se non si ha una famiglia alle spalle che ti sostenga con convinzione, sia psicologicamente sia economicamente.
Verso la fine del film, il regista riporta le testimonianze di alcuni genitori: una madre inconsolabile; una coppia che afferma esplicitamente, ma anche serenamente, che non saprà mai le ragioni del suicidio del figlio…
È un film dolorosamente corale, che mostra le tragiche conseguenze umane, sociali, economiche, culturali di un’ideologia spietata che vorrebbe giustificare l’ingiustificabile.