Un incontro interamente dedicato al confronto tra voci e visioni femministe sul tema della laicità non si era mai fatto in Italia negli ultimi anni, fatto salvo gli appuntamenti a Genova, organizzati da Marea, nel 2001 a Puntog, poi nel 2006 al convegno internazionale La libertà delle donne è civiltà (diventato un numero speciale cartaceo della rivista) e infine nel 2011 per il decennale di PuntoG. Ai vent’anni della rivista , nel 2013, la presenza di Inna Shevchenko, Marieme Helie Lukas e Maryam Namazie consentì di realizzare un ricco focus sui fondamentalismi religiosi e il loro pericoloso attacco all’universalità dei diritti umani.

Ma mai come nello scorso 6,7 e 8 settembre ad Altradimora si era costruito un incontro residenziale internazionale in Italia nel quale, in un momento così difficile, buio e rischioso per le sorti della democrazia, e quindi anche della laicità, si confrontassero molte femministe, atee e credenti, provenienti dal mondo islamico, ebraico e cattolico.

E di nuovo non era per nulla scontato che gli inevitabili conflitti che esistono nel movimento delle donne non diventassero ostacoli, blocchi o censure, visto il contesto contemporaneo pregno di violenza che penetra inesorabilmente nelle coscienze e può sabotare il confronto.

Eppure ce l’abbiamo fatta: con il loro peculiare taglio comunicativo, con le convinzioni documentate e aperte all’ascolto le attiviste e studiose Paola Cavallari, Sabina Zenobi, Maryam Namazie, Gita Sahgal, Flavia Fratello, Cinzia Sciuto, Farian Sabahi, Federica Iaria e Sarah Kaminsky si sono alternate nelle tre giornate per dire, in modi molto diversi e tutti fecondi, la stessa cosa: che l’unica strada contro la guerra, il terrorismo e la violenza è l’adozione del pensiero e della pratica nonviolenta femminista.

Il corpo delle donne, è stato spesso ricordato in molti interventi, è sempre bottino di guerra, anche quando le donne stesse scelgono di andare a combattere. Ce lo dimostra il dato incontrovertibile dello stupro di guerra, la disgustosa e specifica arma usata da ogni esercito nella spaventosa storia umana delle guerre e delle battaglie.

Ce lo dice la ferita recente del 7 ottobre 2023, con gli stupri pianificati da Hamas documentati in Scream before silence, che abbiamo visto al seminario commentato da Flavia Fratello.

Lo racconta la lotta delle donne in Iran per togliersi il velo: non è la nostra cultura, ha ribadito Maryam Namazie; lo dicono le voci delle scrittrici citate da Farian Sabahi che, sempre dall’Iran, esprimono i tanti volti della libertà negata e si intrecciano con le preoccupazioni dell’avanzata del fondamentalismo in India, delineate da Gita Sahgal.

Della necessità di supportare la società laica di Israele che non vuole la guerra contro il popolo palestinese hanno parlato Sarah Kaminsky e Federica Iaria, mentre Paola Cavallari ha usato la suggestione del demone amante per mettere in guardia dal rischio di non accorgersi del sessismo nei dogmi degli assetti religiosi e di quelli politici. Cinzia Sciuto ha rammentato la necessità basilare di restare nell’orizzonte dell’universalità, perché il relativismo è una potente e pericolosissima arma che distrugge i diritti umani, e infine Sabina Zenobi ha usato il racconto biblico di Dinah per dimostrare come le donne, insieme, possono portare un cambiamento.  In Medio Oriente, come in altri luoghi dove si combatte una guerra, perché il loro essere-nel-mondo è fondato sulla categoria di nascita, e quindi di vita, piuttosto che sulla categoria di morte. Donna, vita, libertà potrebbero essere le parole che uniscono le lotte di tutte le donne, ha ricordato.

Zenobi ha ricordato che, come scrive la filosofa Adriana Cavarero nel libro Inclinazioni. Critica della rettitudine, ciascun essere umano è costituito dalla relazione con gli altri; nasce e cresce perché c’è chi, inclinandosi su di lui o lei sin dall’infanzia, se ne prende cura. L’inclinazione è una postura etica fondamentale, è il segno di un originario essere-per- l’altro che definisce la struttura basilare dell’umano.

Per questo è fondamentale far crescere le voci femministe per la pace, che è necessariamente una voce terza, consapevole delle responsabilità delle parti in causa. Essere terza parte in ogni situazione bellica significa sapere, e tener conto, che le prime a perdere molto, e talvolta tutto, (compresa la vita), sono proprio le donne, sempre e in ogni guerra.

Alcune bussole che hanno sotteso il senso dell’incontro e degli appassionati interventi, che saranno disponibili sul sito di Altradimora e sui vari social collegati: Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere di Christa Wolf e Non possiamo smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone  di Audre Lorde, entrambe straordinarie sintesi del pensiero femminista di critica alla cultura della guerra e legato alla nonviolenza.

Insieme a Robin Morgan, che con il suo Demone amante-sessualità del terrorismo ha acceso la luce sulla connivenza femminile con la violenza, gli insegnamenti di Wolf e di Lorde sono spesso ricorsi in molti interventi. Così come il concetto, e il ruolo, di ‘terza parte’ che solo chi è al fuori dai terribili fronti di guerra può svolgere.

Noi siamo quella terza parte: quella che può costruire azioni di aiuto per dare la voce alle donne e agli uomini che disertano, dalle due opposte sponde. Continuare a illuminare la faticosa, e a tratti pericolosa azione di migliaia di donne e uomini in Ucraina, Russia, Israele e Palestina (e altrove nelle guerre dimenticate) che dicono no alla logica del mors tua vita mea, trasformando la condanna del taglione in pratica quotidiana di vita tua vita mea. Questa è la funzione della terza parte femminista per la pace e la fine delle guerre.

Essere le portavoce dell’ incessante proposta di dialogo e conflitto generativo delle Donne in nero, di Combatants for peace, di Seeds of peace,  solo per citare alcune delle realtà alimentate da donne nelle situazioni di guerra.  Luci, piccole e tenaci luci che dobbiamo essere per non fare spazio al buio delle ottuse e crudeli tifoserie delle ostilità. Come suggeriva Lidia Menapace, è necessario essere partigiane, sempre, della pace.