Il moderno stato di Israele attrae come non mai l’attenzione degli analisti e del pubblico, ma la nostra capacità di comprendere è ostacolata dall’ideologia, dal pregiudizio e dal mito. Molti si muovono con cautela quando si parla di Israele, per non essere accusati di antisemitismo. In un precedente articolo ho spiegato che cosa distingue l’anti-sionismo dall’anti-semitismo. Tuttavia, la principale difficoltà sta nella convenzionale associazione di questo stato dell’Asia occidentale con gli ebrei. Dovremmo guardare a coloro che popolano e governano lo stato di Israele come ebrei, oppure questi sono diventati qualcos’altro – ovvero Israeliani?
Il dibattito sulla “contrapposizione fra natura e cultura”, riguardo alla relativa influenza esercitata sull’essere umano dai tratti ereditari contrapposti alle condizioni dell’ambiente circostante, è più antico di quanto molti possano credere. Può essere rintracciato attraverso fasi differenti della narrativa biblica. Infuriato per il fatto che gli israeliti veneravano il vitello d’oro, Dio era pronto ad annientarli tutti e a ricominciare da capo con Mosè. La natura doveva essere biasimata, poiché Dio aveva perso la speranza di rieducare quel “popolo arrogante”.
Tuttavia, in un’altra narrazione della Bibbia, gli israeliti furono spediti a vagare nelle lande desolate per quarant’anni, affinché venissero rieducati, prima di entrare nella terra di Canaan. In quel caso, l’enfasi era sulla cultura più che sulla natura, con la speranza che l’esperienza di beneficiare di una generosità senza limiti, come nel caso della manna e delle nuvole di gloria, li avrebbe cambiati. Questo potrebbe essere stato il primo tentativo a noi noto di ingegneria sociale, anche se il successo fu relativo.
La storia contemporanea degli ebrei presenta un caso di rieducazione ancor più deciso. Per secoli, gli ideali degli ebrei hanno esaltato la compassione, la modestia e gli atti di benevolenza. L’avversione verso la violenza è così radicata che in molte comunità ebraiche i coltelli, che potrebbero essere usati per uccidere, devono essere rimossi dal tavolo prima di recitare la grazia dopo i pasti. La benedizione e la violenza sono considerati incompatibili.
Dopo essere stati educati per secoli ad impegnarsi per raggiungere la perfezione morale, alcuni ebrei (inizialmente una piccola minoranza) adottarono il ruolo inusuale di colonizzatori, un ruolo storicamente associato alla civiltà cristiano-europea.
Principalmente atei e agnostici, i pionieri del sionismo in Palestina arrivarono alla conclusione che “Dio non esiste, però ci ha promesso questa terra.”
Vennero efficacemente strumentalizzati alcuni comandamenti biblici come : “Prenderete possesso della Terra e in essa vi stabilirete, perché io vi ho dato la Terra da occupare.” I coloni hanno adottato una lettura letteraria e materialistica della Bibbia, abbandonando la tradizione interpretativa sviluppata dal Judaismo rabbinico. La tradizione ebraica interpreta i versi biblici che menzionano la violenza in senso allegorico: la spada e l’arco usati dal patriarca Giacobbe contro i suoi nemici divenne simbolo di obbedienza ai comandamenti divini e alle opere pie. La tradizione posiziona l’eroismo ebraico nel campo dello studio, non su un campo di battaglia. Ma i sionisti rifiutano questa tradizione come quella dell’”esilio dei deboli”.
Naturalmente, come in altre località in India, America o Algeria, la maggior parte degli abitanti della Palestina (ebrei, cristiani, e musulmani allo stesso modo) non sopportarono i sionisti che iniziarono a colonizzare la Palestina dalla fine del XIX secolo. Cominciò così la resistenza, e generazioni di israeliani crebbero combattendola. I palestinesi iniziarono ad essere percepiti come una costante fonte di pericolo. Educati nello spirito del coraggio militare, della superiorità morale, e dell’arroganza, gli israeliani iniziarono a disdegnare gli ebrei e prevalere su di loro. L’omicidio di Jacob De Haan, un avvocato ebreo antisionista, compiuto da membri delle milizie sioniste nel 1924, segnò non solo l’inizio di un organizzato terrorismo politico in Palestina, ma anche l’affermazione di una nuova identità nazionale.
Ideali di marziale affermazione vennero non solo inculcati attraverso il sistema educativo, ma, ancor più fortemente, indotti dalla sempre più difficile situazione di tutti gli insediamenti coloniali, con l’obiettivo di sopprimere la resistenza dei colonizzati. Generazione dopo generazione, gli israeliani hanno partecipato alla violenta “pacificazione dei nativi”, costringendoli a sottomettersi alla discriminazione, agli espropri e alla pulizia etnica.
Le notizie quotidiane sulle brutalità perpetrate dall’esercito israeliano a Gaza sottolineano il successo della trasformazione sionista degli ebrei. Il supporto massiccio che queste azioni ricevono generalmente dalla società israeliana, lo conferma nettamente. Il recente dibattito nel parlamento israeliano, quando alcuni deputati della Knesset hanno confermato la legittimità di uno stupro di gruppo inflitto da soldati israeliani a un detenuto palestinese, mostra una profonda disumanizzazione, ovvero la negazione della piena umanità negli altri, assieme alla crudeltà e alle sofferenze che la accompagnano. Ma ciò minaccia anche l’umanità del soldato.
Per mitigare questa situazione, il soldato deve tenersi a una certa distanza dalla sua vittima. Ciò è stato possibile attraverso l’industrializzazione dell’assassinio, iniziata con le camere a gas e i bombardamenti a tappeto, e continuata con le uccisioni mirate attraverso l’uso di missili e droni kamikaze. I più rinomati scienziati e ingegneri israeliani, aiutati dalle principali industrie americane, sono migliorati notevolmente nell’ottimizzare la violenza da remoto. A Gaza, oggi l’intelligenza artificiale identifica gli obiettivi e li distrugge. Questo fa supporre un’abdicazione non solo dei valori morali dei loro antenati, ma di tutta l’umanità.
La guerra di Israele a Gaza conferma il trionfo della cultura sulla natura, mentre viene dimostrato che il progresso tecnologico non corrisponde al progresso dell’umanità. In realtà, questi normalizza l’amoralità, che molti governi occidentali accettano, poiché, secondo loro, sono gli ebrei a commettere tali atrocità, a prescindere che vengano classificate come omicidi di massa, pulizia etnica o genocidio. Pochi si rendono conto che un secolo vissuto in guerra ha trasformato gli ebrei in spietati israeliani. Quindi, si può comprendere meglio Israele, a livello statale e sociale, quando non ci si riferisce più ad esso come “lo stato ebraico”, cioè un concetto nebuloso che offusca la nostra vista e oscura la realtà. Solo allora il mondo potrà giudicare Israele nel merito di ciò che fa, come per tutti gli altri stati.
Traduzione dall’inglese di Michele Nicoletti. Revisione di Daniela Bezzi.