Con una relazione pubblicata recentemente, la Corte dei Conti europea ha rafforzato le sue precedenti critiche al fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, istituito nel 2015 per contrastare i tentativi di traversata del Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Mentre i fondi sono stati in gran parte spesi, le critiche mettono sotto accusa l’esito dei progetti sul campo ed i governi europei che hanno concluso accordi con il governo di Tripoli, che adesso sono stati seguiti da ulteriori accordi dell’UE con l’Egitto e la Tunisia.

Secondo il rapporto della Corte dei Conti europea Il fondo fiduciario per l’Africa, “non è ancora adeguatamente concentrato sulle priorità” e “i rischi per i diritti umani non sono affrontati correttamente”.

Le critiche più severe sollevate dalla Corte dei conti UE riguardano la Libia, e in particolare il governo di Tripoli, con il quale l’Unione Europea, ed alcuni Stati come l’Italia, pure beneficiari dei fondi europei, hanno stretto accordi per finanziare la sedicente guardia costiera che fa riferimento al governo provvisorio di Dbeibah, per svolgere attività di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo centrale.

Si dà atto che i migranti riportati in Libia, tutti provenienti da paesi terzi, vengono detenuti in centri di detenzione gestiti dal governo dove, secondo i rapporti delle ONG, ma anche delle Nazioni Unite occorre aggiungere, sono stati soggetti a torture, violenze sessuali e percosse. Come denunciava lo scorso anno anche la Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa.

Sarebbe tuttavia troppo facile concentrare tutte le responsabilità sull’Unione europea, nascondendo il ruolo decisivo dei governi dei paesi costieri nel Mediterraneo centrale, e dell’Italia in particolare.

Questa relazione della Corte dei Conti europea mette allo scoperto le complicità delle autorità italiane ed europee negli abusi commessi dalle milizie, dalle tante guardie costiere e forze di sicurezza, che si contendono il campo, e il controllo del mare, all’ombra del governo provvisorio di Tripoli.

La frammentazione politica, militare e territoriale della Libia è tanto percepibile che risulta davvero offensivo per le vittime, per le persone intrappolate nei centri lager o riportate indietro dalla guardia costiera “libica”, continuare a parlare di una unica zona SAR (di ricerca e salvataggio) “libica”, e di una centrale di coordinamento unificata (JRCC), quando la realtà dei fatti smentisce ogni giorno quello che i governanti europei affermano per garantirsi consensi elettorali e rapporti economici privilegiati.

La Libia come Stato unitario, titolare di una zona di ricerca e soccorso (SAR) dotata di una unica Centrale di coordinamento (MRCC) non esiste.

Un contributo importante per modificare una situazione che vede contrastati ogni giorno di più il soccorso in mare ed il diritto di accedere ad un porto sicuro per chiedere asilo, può venire dai tribunali italiani, e dal Tribunale penale internazionale, al quale è giunta recentemente una denuncia sulla collusione tra le autorità libiche ed italiane nelle operazioni di intercettazione in mare e di riconduzione nei porti libici.

Operazioni di respingimento collettivo su delega, delle quali il ministro dell’interno Piantedosi si vanta in ogni occasione, anche sui canali social a disposizione del Viminale, con dichiarazioni che suonano come una ammissione di responsabilità per tutti gli abusi commessi dalla guardia costiera libica, e poi a terra dalle milizie che riescono a ottenere i finanziamenti europei, per essere rifornite di mezzi e attrezzature dalle autorità italiane.

Sarebbe tempo che su questioni tanto gravi il governo la smetta con le strumentalizzazioni, che arrivano al punto di appropriarsi di vittime della mafia che hanno pagato con la vita la loro lotta per la legalità. Come riporta l’ANSA, secondo quanto affermato da Giorgia Meloni, alla conclusione dell’ultimo G7, “sulla lotta al traffico di essere umani abbiamo portato un modello tutto italiano che nasce da due grandi italiani come Falcone e Borsellino e che ci dice di seguire i soldi: follow the money”, e la Presidente del Consiglio aggiunge che tale approccio “può fare la differenza”.

Negli ultimi mesi, non a caso, le notizie su quanto sono costretti a pagare ai trafficanti i migranti che riescono a fuggire dalla Libia e dalla Tunisia precedono le notizie sulle tante vittime, anche bambini, delle politiche di deterrenza e di abbandono in mare. Quanto rileva adesso la Corte dei Conti europea conferma che occorre davvero “seguire i soldi”.

Ma non sono certo quelli estorti a chi lotta per la sopravvivenza, quanto piuttosto quelli che vengono pagati dagli Stati membri e dall’Unione europea alle milizie ed ai governi con i quali si concludono accordi “per combattere l’immigrazione clandestina”, un fiume di danaro che, come confermano i revisori contabili europei con il loro linguaggio felpato, finisce nelle tasche delle stesse organizzazioni criminali che Meloni, Piantedosi ed i loro partner europei ed africani sostengono di volere contrastare.

leggi qui il testo integrale dell’articolo:

La Corte dei conti europea critica il sostegno alla Guardia costiera “libica” – ADIF (a-dif.org)