Alla vigilia delle prime elezioni degli ultimi dieci anni nel Jammu e Kashmir, Amnesty International ha sollecitato le autorità dell’India a cessare di emettere divieti di viaggio e di compiere arresti arbitrari ai sensi della legislazione antiterrorismo, che hanno l’unico obiettivo di creare un clima di paura per togliere la voce alle persone che esprimono dissenso.

Dopo l’annullamento dello statuto speciale di regione autonoma attraverso l’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione, deciso dal governo nel 2019 e confermato dalla Corte suprema nel 2023, sono aumentati i casi di arresti arbitrari e di confische del passaporto, è stata creata una “lista di divieti di volo” alquanto opaca e sono stati registrati dinieghi d’ingresso in India e cancellazioni arbitrarie dello status di “cittadino dell’India all’estero”.

Il governo indiano continua a ricorrere all’Atto sulla sicurezza pubblica, che consente la detenzione arbitraria per un periodo di due anni senza accusa né processo, e all’Atto sulla prevenzione delle attività illegali, che autorizza arresti altrettanto arbitrari.

In assenza di dati ufficiali, fonti di stampa ritengono che “da 98 a 200” passaporti siano stati confiscati dopo l’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione.

Masrat Zahra, una giornalista kashmira vincitrice nel 2020 di un premio per il fotogiornalismo dell’International Women’s Media, si trova di fatto in una condizione di apolidia da quando il 10 luglio 2023, mentre era negli Usa per proseguire la sua carriera universitaria, le è stato annullato il passaporto. Il provvedimento è stato notificato alla famiglia il 24 settembre, con l’intimazione a contestare la decisione entro il 20 luglio, una data antecedente a quella in cui aveva appreso la notizia:

“Non posso lasciare gli Usa, non posso tornare in India. Ricorro all’autocensura, non scrivo nulla sui social ma non serve a niente. Mi manca la mia famiglia e vorrei lavorare nel Kashmir, essere la voce del mio popolo che è privo di voce. Dal Kashmir ora non esce più nulla”.

Nel marzo 2021, prima che partisse dall’India, Zahra era stata accusata di “pubblicazione di post contro la nazione con l’intento di istigare i giovani” ma non era stata arrestata: “Dopo che sono partita hanno inserito il mio nome in una ‘lista di divieti di volo’. Ammesso che tornassi in India, dopo non potrei più viaggiare all’estero. La polizia ha minacciato i miei parenti, picchiato mio padre e pedinato mia madre continuando a chiedere notizie su di me a loro e ai vicini di casa”.

Zahra, inoltre, continua a ricevere minacce di morte e le accuse nei suoi confronti restano in piedi: “Anche se non ho mai ricevuto una copia dell’avviso di apertura delle indagini, le autorità mantengono il potere di arrestarmi quando vogliono se decido di ritornare”.

Waheed Para, un attivista ed esponente politico associato al Partito democratico del popolo del Jammu e Kashmir (un gruppo dell’opposizione), è stato accusato di costituire “una minaccia alla sicurezza dello stato” e si è visto confiscare il passaporto nel maggio 2023, prima della partenza per una fellowship presso l’Università di Yale, negli Usa: “Non mi hanno dato alcuna spiegazione, si sono limitati a citare motivi di sicurezza nazionale. Ho perso un’enorme opportunità accademica. Non ho potuto neanche viaggiare all’interno dell’India per stare vicino a mio padre, colpito da un tumore e poi deceduto. È stato tutto molto traumatico”.

Iltija Mufti, figlia e consigliera per i rapporti con la stampa di Mehbooba Mufti, ex primo ministro considerato vicino al Partito democratico del popolo del Jammu e Kashmir, noto per le sue critiche all’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione, ha dovuto attendere a lungo prima di ottenere l’emissione del suo passaporto: “Mi sono rivolta a un tribunale e così, dopo oltre un anno, ho potuto avere il mio passaporto. Le autorità si sono comportate allo stesso modo con mia madre e mia nonna. La mia libertà di movimento è tutelata dalla Costituzione ma devo lottare duramente per vedermi riconosciuto quel diritto. Per ritardare l’emissione del passaporto, hanno fatto riferimento all’Atto sui segreti di stato, che è usato nei casi di spionaggio. In vita mia non ho neanche ricevuto una multa per infrazione stradale. Mi hanno punita per aver osato prendere la parola”.

Lo status di “cittadino dell’India all’estero” consente a persone straniere che hanno legami col paese per via di origini familiari, matrimonio o precedente possesso della cittadinanza, di fare ingresso in India senza visto né permesso di soggiorno, lavorare, avere delle proprietà e godere di altri benefici.

Nel 2022 Amrit Wilson, una giornalista e attivista britannica di 82 anni nata in India, è stata accusata di svolgere “molteplici attività contro l’India” e di “propaganda dannosa” contro il governo. Il suo status è stato così cancellato: “Non ho mai fatto nulla contro l’India, è assurdo che mi definiscano anti-indiana. I miei genitori hanno vissuto in India tutta la vita”.

Da una citazione in tribunale è emerso che la cancellazione dello status era stata la conseguenza di una serie di tweet critici nei confronti dell’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione.

Nitasha Kaul è una docente di materie politiche britannica-indiana di origine kashmira che ha testimoniato sulla situazione dei diritti umani in Kashmir di fronte alla commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti statunitense. Pur avendo un passaporto britannico e godendo dello status di “cittadina dell’India all’estero”, il 23 febbraio 2024 le è stato negato l’ingresso in India, dove intendeva recarsi per visitare l’anziana madre. Non le è stata fornita alcuna spiegazione se non quella che erano stati ricevuti ordini “dalle autorità di Delhi”.

Alcune settimane dopo le è stato anche tolto lo status, per “aver ripetutamente preso di mira l’India e la sua leadership, soprattutto quella del Kashmir, attraverso scritti pregni di inimicizia, discorsi pubblici e attività giornalistiche nel corso di vari incontri internazionali e sui social media”: “Non poter vedere la mia sola famiglia è profondamente triste. La mia salute ne sta risentendo in modo significativo. Mia madre non può viaggiare con me, io non posso essere lì per lei. È del tutto gratuito e immotivato punire gli accademici in questo modo. Questa è una repressione che oltrepassa le frontiere e prende di mira chi non segue la linea del governo”.

Nel giugno 2024 è stato arrestato Mian Abdul Qayoom, ex presidente dell’Ordine degli avvocati presso l’Alta corte del Jammu e Kashmir. Anche lui aveva criticato l’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione. Nello stesso periodo sono stati arrestati altri tre avvocati. Gli avvocati sono al centro di una campagna repressiva in quanto accusati di “fornire assistenza legale gratuita a persone ostili alla nazione”. I quattro avvocati, così come i giornalisti Majid Hyderi e Sajad Gul, sono detenuti in luoghi distanti dalla loro residenza e dalle loro famiglie, nel Jammu o al di fuori del territorio.

Nell’ambito delle sue ricerche, Amnesty International ha esaminato il numero delle richieste di habeas corpus, ossia dei ricorsi contro la legittimità delle detenzioni ai sensi dell’Atto sulla sicurezza pubblica, presentati alle Alte corti del Jammu e Kashmir e del Ladakh, comparando i dati del periodo 2014-2019 con quelli del periodo 2019-2024. È emerso che nel secondo periodo i ricorsi sono aumentati di sette volte e che il numero di quelli presentati a nome di detenuti musulmani di Srinagar, nel Kashmir, è superiore a quelli presentati a nome di detenuti indù nel Jammu.

La durata dell’esame dei ricorsi è a sua volta aumentata a partire dal 2019. Da una media di quasi 270 giorni nel periodo 2014-2019 si è passati a una media di quasi 320 giorni nel periodo 2019-2024: questo ha comportato l’allungamento dei tempi di detenzioni potenzialmente illegali.

Secondo dati ufficiali risalenti al 2022, circa il 37 per cento delle indagini ai sensi dell’Atto sulla prevenzione delle attività illegali si apre nel Jammu e Kashmir ma il tasso di condanne è solo del tre per cento. Questo conferma che la norma viene usata per reprimere il dissenso e le attività in favore dei diritti umani.

Un’ulteriore minaccia ai diritti umani è costituita dalla decisione presa dal governo federale il 12 luglio 2024 di affidare al vicegovernatore del Jammu e Kashmir il controllo assoluto dell’esercizio della giurisdizione dello stato su strutture amministrative locali, prigioni, funzionari incaricati dell’applicazione delle leggi, procure e prigioni, rafforzando dunque il potere centrale a scapito dell’ampia autonomia tradizionalmente esercitata dal governo locale, primo ministro e parlamento inclusi.