Riceviamo e pubblichiamo dalla associazione Giovanni XXIII sul tema del carcere
Matteo Fadda: «Preoccupati per i bambini in carcere». Il Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII sul DDL “sicurezza”
«Esprimiamo forte preoccupazione per le norme contenute nel Disegno di legge Sicurezza che rendono il rinvio della pena facoltativo per le mamme in gravidanza e con minori al di sotto di un anno.
Rinnoviamo l’appello al legislatore e ai decisori politici a prevedere percorsi in comunità di accoglienza e rieducanti al di fuori del carcere anche per queste mamme.
Siamo disponibili a collaborare con gli istituti penitenziari ed i magistrati di sorveglianza per offrire percorsi alternativi al carcere ed espiare la pena in comunità con l’obiettivo della rieducazione delle detenute ed impedire ai bambini, che non hanno alcuna colpa, di vivere dietro le sbarre».
E’ il commento di Matteo Fadda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito al ddl sicurezza approvato in prima lettura alla Camera il 18 settembre scorso ed ora in discussione al Senato.
«Riteniamo inutile ostacolare le comunicazioni telefoniche dei cittadini stranieri – continua Fadda – tramite l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno per l’acquisto delle schede SIM, come previsto dall’art. 9 del ddl, perché ostacola le relazioni umane delle persone che vengono private dell’unico strumento per comunicare con le famiglie lontane».
«Crediamo inoltre che non sarà la previsione di nuovi reati anche per la mera resistenza passiva e l’aumento delle pene dei reclusi, la modalità punitiva e securitaria per il dissenso e la protesta, che potrà portare più sicurezza- conclude Fadda –.
Infine impedire le libere proteste passive e nonviolente non fa che rendere le nuove generazioni sempre più lontane dalla politica»
La Comunità Papa Giovanni XXIII dalla fine degli anni ‘90 è presente nelle carceri.
E’ impegnata sia nel denunciare la drammatica presenza in carcere dei bimbi reclusi sia nel promuovere pene alternative al di fuori del circuito carcerario, di cui anche gli Icam (le strutture detentive per donne incinte e neomamme) sono parte, con l’accoglienza nelle comunità educanti coi carcerati (CEC).