Nata nel 1966 da una fusione tra Edison e la Montecatini, la Montedison ha disseminato l’Italia di impianti chimici, per la produzione soprattutto di pesticidi e concimi chimici, lasciando dietro di sé una scia di territori da bonificare (Sin). Dopo il fallimento della Montedison (1997) e la cessione del ramo petrolchimico, l’eredità e la responsabilità della bonifica di molti territori spetterebbe ora alla Edison, multinazionale attiva soprattutto in campo di produzione energia, controllata dal gruppo francese Électricité de France, dal fatturato di 4 miliardi di euro.
A Bussi sul Tirino la fabbrica chimica che durante le guerre mondiali produceva il gas tossico iprite, passò alla Montedison per la produzione di piombo tetraetile, acido cloridrico, solventi. La fabbrica passò poi ad Ausimont, Montefluos, Solvay e infine a Chimica Bussi. Nel 2007 proprio qui fu scoperta una delle discariche chimiche più grandi d’Europa.
Scarti e rifiuti tossici per decenni erano stati interrati, finendo a contaminare anche pozzi di acqua potabile. Nel 2020 il Consiglio di Stato ha ordinato alla Edison di farsi carico della bonifica. Il 18 luglio 2024 una nuova ordinanza della Provincia ha intimato alla Edison di mettere in sicurezza e bonificare anche i sedimenti del fondo dei fiumi Tirino e Pescara. Nell’alveo del Tirino ci sono rifiuti industriali per 1,7 metri e, al di sotto, sedimenti pesantemente contaminati da piombo, mercurio, arsenico e altre sostanze inquinanti. Bussi è uno dei siti più inquinati d’Europa. “Siamo soddisfatti dell’azione della Provincia, meno del Ministero che non sta assicurando le bonifiche secondo i tempi imposti dalla legge -sottolinea Augusto de Sanctis ambientalista ed esperto di siti contaminati- Per noi del Forum H2O, che da anni denunciamo questo disastro ambientale, questa quinta ordinanza è un’altra pietra miliare nel troppo lungo processo di bonifica del sito perché obbliga Edison a intervenire su aree molto vaste e addirittura sul fondo dei fiumi Tirino e Pescara, nonostante Edison abbia più volte chiesto l’annullamento dell’obbligo di bonifica”.
Anche a Massa Carrara il Consiglio di Stato ha ritenuto la Edison (cor)responsabile dell’inquinamento dell’area ex Farmoplant (azienda del gruppo Montedison) ed il 22 luglio scorso ha respinto il ricorso della multinazionale contro la sentenza di primo grado del Tar di Firenze, risalente ormai a quattro anni fa.
Associazioni e cittadini, che lottano da anni con esposti, petizioni, articoli e manifestazioni tirano un respiro di sollievo:
“Dopo quasi 40 anni di lotte finalmente qualche notizia confortante” dichiara Clara Gonnelli presidente regionale di una delle associazioni che compongono il coordinamento CCA dbr. Lo scorso 23 luglio è stato emesso il provvedimento di aggiudicazione per l’intervento e sono in corso gli adempimenti previsti dalla legge per giungere alla stipula del contratto entro il 30 settembre 2024. “Seguiremo con molta attenzione l’evoluzione di questa vicenda chiedendo anche ulteriori informazioni agli organi competenti. Pensiamo di averne pieno diritto visto il prezzo che abbiamo dovuto pagare. Infatti le indagini epidemiologiche ci pongono al primo posto in Toscana in termini di mortalità per tumori“.
Qui in tanti ancora ricordano quel 17 luglio del 1988 quando si sprigionò una nube tossica dall’esplosione di un serbatoio contenente l’insetticida Rogor.
Sempre nel Sin Sir di Massa Carrara, poco lontano, un’altra ampia zona è stata contaminata dall’ex Rumianca, fabbrica chimica di concimi e pesticidi oggi dismessa (Anic Agricoltura, Enichem, oggi Eni Rewind spa). Ognuna delle due società, quindi Edison ed Eni Rewind Spa è responsabile di aver inquinato le rispettive aree.
Tra Montemarciano e Falconara si estende un grande Sin. Qui sorgeva il grande impianto chimico Montedison per la produzione di pirite (da anni uno scheletro vuoto) e più a Sud la raffineria Api ancora in funzione.
I due Comuni fino al 2018 promettevano che si sarebbe fatta la bonifica del sito a spese del proprietario, il ripristino architettonico della fabbrica vincolata dalle Belle Arti, una Cittadella dello Sport, un auditorium-teatro con sale espositive, un bosco urbano e quant’altro, ora però il progetto è un deposito di idrogeno ad opera di Api. Sommando impianti a rischio in un’area che da tempo è considerata ‘luogo di sacrificio’.
Dulcis in fundo (si fa per dire) nella stessa valle del fiume Esino, in un’area considerata ad alto rischio sanitario dalla stessa regione Marche, pende il progetto di Edison per un impianto privato di smaltimento di rifiuti pericolosi nella zona Zipa di Jesi.
Quindi da una parte Edison cerca di sottrarsi alle sue responsabilità e fa ricorsi per non dover risanare i siti contaminati passati tra le sue mani, dall’altra cerca di trarre profitto dalle bonifiche di altri siti, installando un impianto di rifiuti privato in una zona già provata anche a livello sanitario.
“Non siamo contrari agli impianti di trattamento rifiuti tossici, necessari per le bonifiche di ampi territori” spiegano gli attivisti di TNT e Falkatraz. “Ma questi impianti devono essere pubblici, controllati dallo stato, importante poi scegliere una corretta localizzazione, in zone isolate e non popolate, né già colpite da rischio sanitario come la valle Esino”.
La tensione è sempre più alta. I cittadini e numerose realtà tra cui il centro sociale TNT e Falkatraz protestano, il sindaco tentenna e decine e decine di osservazioni sono state inviate.
Edison ha addirittura richiesto al Comune di Jesi il nome di tutti i cittadini che hanno affisso dei manifesti (autorizzati) con critiche all’impianto.
Augusto de Sanctis che si è occupato di scrivere le osservazioni sul procedimento di Via del nuovo impianto, spiega: “l’impianto tratterà 300 mila tonnellate di rifiuti pericolosi l’anno con un giro d’affari di 100 milioni euro anno, un grande business per Edison. Arriveranno rifiuti dalle concerie, dalle raffinerie, ci sarà amianto e tanto ancora. Gli attivisti di Casale Monferrato ci insegnano che stoccare amianto è un processo molto delicato, ed è necessario il controllo del pubblico, non si può lasciare questa attività ad un privato. Sarà un impianto enorme a scala sovraregionale. 16 mila camion all’anno in più porteranno questi rifiuti liquidi e solidi per un trattamento con 7 filiere di trattamento, e utilizzo di 500 tonnellate di reagenti pericolosi. Camion che si sommano a quelli previsti dal vicino nuovo polo logistico Amazon. Non contestiamo la necessità di questi impianti di trattamento rifiuti -conclude De Santis- perché le bonifiche sono da fare e necessarie, contestiamo lo stampo privatistico, la mancanza di trasparenza, e la localizzazione in zone molto popolate, questi impianti vanno localizzati in base a un piano nazionale”.
La Valle Esina è stata dichiarata Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale Falconara e bassa valle dell’Esino (AERCA) dalla Regione Marche nel 2000 per le forti criticità ambientali con decine di siti contaminati, tante aziende che hanno impatti sul territorio, e soggetto a inondazioni dell’Esino e affluenti.
Il Piano di Risanamento dell’AERCA risale al 2005. Un piano di risanamento mai avvenuto e che nel 2015 anno di scadenza, non è stato rinnovato, sancendo il disinteresse degli enti per la salute degli abitanti.
L’Aerca comprende circa 85 Km2 di territorio su cui insistono i comuni di Ancona, Falconara Marittima, Montemarciano, Chiaravalle, Camerata Picena, Agugliano, Jesi, Monte San Vito e Monsano a cui si aggiunge un’area di circa 53 km2 di mare.
Secondo i dati della stessa Edison questo impianto aggiungerà all’ambiente 9 tonnellate di polveri sottili, tra cui in piccola parte anche amianto, 50 tonnellate di COV (composti organici volatili) e ovviamente scarichi industriali che sebbene depurati, finiranno nel fiume.
Edison giustifica la pertinenza del nuovo megaimpianto con la scadenza dei termini di risanamento della ormai ex Aerca. “L’inadempienza di fatto della classe politica regionale non giustifica la sostanza dei problemi che continua a soffrire questo territorio. -attacca Fabrizio Recanatesi di Falkatraz- L’unica direzione possibile ci porta oltre il disastro ambientale, verso il risarcimento di questo territorio in termini di area vasta, nel solco della progressiva dismissione degli impianti inquinanti e di una ferma moratoria verso altre futuribili simili proposte, per il controllo pubblico e trasparente delle bonifiche e dello smaltimento dei rifiuti”.