Siamo alle battute finali per la raccolta delle firme contro la legge sull’autonomia differenziata, con scadenze diverse in base alle due modalità di raccolta, in cartaceo e online: il 16 settembre i moduli cartacei saranno ritirati per provvedere a recuperare i certificati elettorali da allegare ai moduli stessi, mentre per la piattaforma online ci saranno ancora alcuni giorni, almeno fino al 24 settembre, per firmare. Sono quindi gli ultimi giorni per firmare e per dare così il proprio personale contributo al raggiungimento dell’obiettivo: svolgimento del referendum abrogativo della legge 26 giugno 2024, n. 86 sull’autonomia differenziata. Il nostro Paese è già oggi attraversato da terribili squilibri territoriali (e non solo), che dovrebbero spingerci a intraprendere con urgenza politiche in grado di ridurre i divari, anziché continuare – come fa la legge sull’autonomia differenziata – a rincorrere spinte disgregatrici, al limite della secessione.
Anche dal confronto tra le retribuzioni, le differenze tra Nord e Sud sono molto evidenti. Se gli occupati nelle regioni settentrionali percepiscono una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano 75: insomma, i primi portano a casa uno stipendio giornaliero del 35% più “pesante” dei secondi. Questa differenza sostanzialmente è dovuta alla produttività del lavoro; al Nord, infatti, è del 34% superiore al dato del Sud. A livello regionale la retribuzione media annua lorda dei lavoratori dipendenti della Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria, invece, ammonta a poco più della metà, ovvero 14.960 euro). Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di appena 29,7. A dircelo è l’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) su dati INPS e ISTAT.
Dall’analisi provinciale delle retribuzioni medie lorde pagate ai lavoratori dipendenti del settore privato emerge che nel 2022 Milano è stata la realtà dove gli imprenditori pagano gli stipendi più elevati: 32.472 euro. Seguono Parma con 26.861 euro, Modena con 26.764 euro, Bologna con 26.610 euro e Reggio Emilia con 26.100 euro. In tutte queste realtà emiliane, la forte concentrazione di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto – come la produzione di auto di lusso, la meccanica, l’automotive, la meccatronica, il biomedicale e l’agroalimentare – ha “garantito” alle maestranze di questi territori buste paga molto pesanti. I lavoratori dipendenti più “poveri”, invece, si trovano a Trapani, dove percepiscono una retribuzione media lorda annua pari a 14.365 euro, a Cosenza con 14.313 euro e a Nuoro con 14.206 euro. I più “sfortunati”, infine, lavorano a Vibo Valentia, dove in un anno di lavoro hanno portato a casa solo 12.923 euro. La media italiana, infine, ammontava a 22.839 euro.
I dati della CGIA ripropongono una vecchia questione: gli squilibri retributivi presenti tra le diverse aree del nostro Paese, in particolare tra Nord e Sud, ma sono molto evidente anche quelli tra le aree urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL).
In tema di squilibri retributivi, non va poi neppure trascurato il fatto che il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio, etc.). Tuttavia, se invece di comparare il dato medio tra aree geografiche diverse lo facciamo tra lavoratori dello stesso settore, le differenze territoriali si riducono e mediamente sono addirittura più contenute di quelle presenti in altri Paesi europei.
Per “appesantire” le buste paga è senz’altro necessario rinnovare, per esempio, i contratti di lavoro scaduti: “A fine giugno di quest’anno – sottolinea la CGIA – erano in attesa di rinnovo 4,7 milioni di dipendenti (pari al 36% del totale). Sebbene il dato sia in calo rispetto allo stesso mese del 2023 (52,8%), la quota di dipendenti privati in attesa di rinnovo è, invece, pari al 18,2%. Non solo. I mesi di attesa per ottenere il rinnovo sono 23,2, ma scendono a 4,2 mesi se calcolati sul totale dei dipendenti privati. Insomma, dalla lettura di questi dati parrebbe che i mancati rinnovi contrattuali interesserebbero più il pubblico, cioè lo Stato, che il privato.”
Qui per approfondire: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2024/09/Retribuzioni-nord-su-7.9.24.pdf.