L’abbandono scolastico è in calo ed è passato dal 12,7% del 2011, all’11,5% del 2022, per fermarsi al 10,5% nel 2023. Tuttavia, come ha di recente osservato Openpolis, tale diminuzione non deve affatto suscitare particolari entusiasmi, soprattutto perché l’Italia resta in Europa il quinto paese su 27 stati con la maggiore incidenza, perché si registrano ancora ampi divari territoriali, con la Sardegna e la Sicilia ove, per esempio, l’incidenza supera il 17% e perché permane un forte gap di genere: a fronte di una media di circa un giovane su 10 che abbandona, il rapporto sale di quasi 3 punti percentuali tra i maschi.
Con il nuovo anno scolastico appena iniziato è la CGIA di Mestre a lanciare un nuovo allarme in tema di abbandono scolastico: secondo l’ultima elaborazione compiuta dal suo Ufficio studi su dati Eurostat e Istat, ben 431mila hanno deciso da tempo di non andare più a scuola. Sono persone in età tra i 18 e i 24 anni che nel 2023 hanno dichiarato di aver abbandonato prematuramente la scuola; al più hanno conseguito la licenza di terza media, ma successivamente non hanno concluso nemmeno un corso di formazione professionale della durata superiore a 2 anni e in questo momento non frequentano alcun corso scolastico o formativo. Insomma, sono giovani che a mala pena hanno assolto l’obbligo scolastico. Un tema, quello della povertà educativa, molto sentito nel Mezzogiorno, ma con una presenza altrettanto preoccupante anche in alcune aree geografiche del Nord. E sebbene, come si diceva, in questi ultimi anni sia in diminuzione la percentuale a livello nazionale di coloro che in età tra i 18 e i 24 hanno abbandonato gli studi sul totale della popolazione corrispondente, rimane una criticità che colpisce in particolare i giovani con alle spalle famiglie caratterizzate da un forte disagio sociale e/o alle prese con seri problemi economici.
“E’ evidente, sottolinea la CGIA di Mestre, che nei prossimi anni questi ragazzi faranno molta fatica a trovare un’occupazione di qualità e adeguatamente retribuita; le sfide lanciate dai cambiamenti epocali in atto – come la transizione ecologica e quella digitale – non potranno che relegarli ai margini del mercato del lavoro, mettendo in difficoltà anche le imprese, che faticheranno ancor più di quanto non stiano facendo adesso a reperire tantissime figure altamente specializzate che raggiungono queste competenze dopo aver conseguito un diploma presso un istituto professionale, un ITS o una laurea presso un politecnico.”
Come scrive la Fondazione Openpolis: “l’interruzione della scuola prima del tempo è spesso solo l’esito conclusivo di fenomeni di dispersione che si trascinano durante il percorso di studi: ripetenze, ritardi, scarsi risultati scolastici. Fattori che spesso si accompagnano a demotivazione e poca fiducia nelle proprie capacità, e che aumentano le probabilità di lasciare la scuola precocemente. Non si tratta di problemi che possono essere ricondotti unicamente alle attitudini del singolo studente. Infatti è proprio nei nuclei svantaggiati che i risultati scolastici sono più bassi, in tutte le materie, e purtroppo già a partire dall’istruzione primaria.”
Per l’Italia, ridurre la dispersione scolastica significa prima di tutto ridurre gli ampi divari interni esistenti. Le maggiori regioni del mezzogiorno mostrano infatti quote di uscite precoci dal sistema di istruzione e formazione superiori di diversi punti rispetto allo stesso dato italiano. Purtroppo, lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Investimento 1.41 : Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado), che mette a disposizione 1,5 miliardi di euro, rischia di non raggiungere l’obiettivo. Andrebbe perciò maggiormente considerato il lavoro del Gruppo nominato a suo tempo dal Ministero dell’Istruzione per elaborare le indicazioni per il contrasto della dispersione scolastica e il superamento dei divari territoriali nell’ambito dell’attuazione del PNRR, che prevedeva di: rafforzare l’offerta delle scuole con l’accompagnamento competente nell’elaborazione e gestione degli interventi potenziandone l’organico; creare aree di educazione prioritaria dedicate a interventi sistematici e di lungo periodo in territori particolarmente difficili e puntualmente individuati con criteri inoppugnabili; stabilire target di interventi differenziati per età, situazioni e bisogni, in modo flessibile secondo i contesti e mirati sia alla prevenzione, a scuola e fuori scuola, sia ad azioni di riparazione e riconquista piena al diritto allo studio e alla formazione, anche attivando percorsi di seconda opportunità; ridare forza all’autonomia scolastica e al protagonismo dei docenti grazie a investimenti capaci di rimotivare e supportare i processi di apprendimento di ciascun alunno/a in situazione di esclusione, fragilità, difficoltà, anche con azioni di tutoring e presa in carico personalizzati; favorire, intorno alle scuole, alleanze territoriali coese e permanenti tra le scuole stesse, gli enti locali, ed il terzo settore su base cooperativa e paritaria curando la costituzione e la manutenzione nel tempo delle comunità educanti sull’esempio delle migliori pratiche già all’opera in ogni parte di Italia; coinvolgere le famiglie e sostenere e promuovere il protagonismo di bambini e ragazzi in ogni azione educativa messa in campo; curare una visione lungimirante che preveda scambio e confronto permanente tra scuole, continuità nelle fasi di transizione ed orientamento, comune capacity building di tutte le professionalità coinvolte tra scuola e fuori scuola.
Qui il report della CGIA: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2024/09/Abb.scolast.14.9.24-.pdf.
Qui: Il documento “Contrastare il fallimento formativo e divari” del Gruppo di lavoro nominato con decreto del Ministro dell’Istruzione il 9 marzo 2022: https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/il-documento-contrastare-il-fallimento-formativo-e-divari-consegnato-a-maggio-al-ministero-dellistruzione/.