“Welcome to Hell” è un rapporto sugli abusi e il trattamento disumano dei palestinesi detenuti in custodia israeliana dal 7 ottobre 2023. B’Tselem, associazione israeliana per la difesa dei diritti umani, ha raccolto le testimonianze di 55 palestinesi detenuti durante quel periodo e rilasciati, quasi tutti senza accuse. Le loro testimonianze rivelano i risultati della trasformazione affrettata di più di una dozzina di strutture carcerarie israeliane, militari e civili, in una rete di campi dedicati all’abuso dei detenuti come questione politica. Le strutture in cui ogni detenuto è deliberatamente sottoposto a dolore e sofferenza duri e implacabili funzionano come campi di tortura di fatto.
Di seguito si riportano alcune delle 55 testimonianze.
Firas Hassan: “La vita in prigione è continuata come al solito fino al 7 ottobre 2023. Dopo, è stato come vivere dentro uno tsunami. Quel giorno, mi sono svegliato per le preghiere dell’alba. Ho sentito i detenuti nelle celle dirsi a vicenda di guardare la TV. Abbiamo iniziato a seguire le notizie. Dopo tre ore, abbiamo sentito delle esplosioni nella zona intorno alla prigione e poi tutte le guardie sono fuggite, lasciandoci soli. Avevamo paura che un missile avrebbe colpito la prigione mentre eravamo chiusi dentro. Più tardi, l’amministrazione della prigione ha chiuso a chiave le porte delle celle e ha tagliato l’elettricità nelle ali e nelle celle. Da quel giorno fino al giorno in cui sono stato rilasciato, non abbiamo più visto la luce del giorno.”
Musa ‘Aasi: “Quando il medico vide il mio viso giallognolo, la mia stanchezza e la grave perdita di peso, chiamò l’ufficiale responsabile della prigione di fronte a me e disse che se fossi rimasto in quelle condizioni, la mia vita sarebbe stata in pericolo. Ma all’amministrazione della prigione non importava. Dopo la visita in ospedale, mi picchiarono di nuovo.”
Navia al-Hilu: “Fui portata in una gabbia di ferro dove rimasi con altre detenute per 11 giorni. Le mie mani erano in fascette per tutto il tempo. Ci davano pochissimo cibo. Io mangiavo a mala pena quello per non dover andare in bagno che era lontano e non aveva un rubinetto. Se avevi le mestruazioni ti davano un assorbente. In bagno ci aiutavamo a vicenda. Non c’era nemmeno la doccia. C’erano soldati uomini e donne intorno a noi tutto il tempo e non ci lasciavano dormire. Accendevano gli altoparlanti, mangiavano davanti a noi e ci insultavano.”
Farid ‘Amer: “Il soldato mi ha detto: Scendi a terra e striscia. Mi ha anche ordinato di spogliarmi completamente, comprese le mutande. Mi sono tolto tutti i vestiti e quando ero nudo, un soldato è arrivato da dietro e mi ha colpito forte sul lato destro della schiena con la mano, che era in un guanto con una parte dura. Mi fa ancora male dove mi ha colpito. Poi mi ha legato le mani dietro la schiena e mi ha bendato.”
Il panettiere Fadi: “Mi hanno spento le sigarette in bocca e sul corpo. Mi hanno messo delle pinze sui testicoli attaccate a qualcosa di pesante. E’ andato avanti così per un giorno intero. I miei testicoli si sono gonfiati e l’orecchio sinistro mi ha sanguinato. Mi hanno chiesto del leader di Hamas e di persone che non conoscevo e che non avevo mai incontrato. Mi hanno chiesto dove fossi il 7 ottobre e ho detto che ero a casa e che ero uscito solo per prendere il cibo per mia moglie. Mi hanno picchiato, poi mi hanno messo in una stanza gelida con la musica da discoteca ad alto volume di nuovo mi hanno lasciati lì, nudo, per due giorni.”
Nabilah Miqdad: “Fummo tirate fuori dalla gabbia e trascinate su un autobus come animali. L’autobus iniziò a muoversi e per tutto il tragitto le soldatesse che ci sorvegliavano non ci lasciavano alzare la testa. Ci insultavano ci colpivano sulle mani e ci scattavano delle foto. Dopo un po’, l’autobus si fermò. Ci fecero scendere, ci chiesero il nome e ci fotografarono. Una soldatessa ci afferrò per la testa e ci ordinò di baciare la bandiera israeliana. Un’altra soldatessa mi sbattè la testa contro la fiancata dell’autobus.”
Mahmoud Abu Qadus: “Ogni giorno, i soldati ci ordinavano di stare seduti sulle ginocchia dalle 5 del mattino fino a sera. Mangiavamo e bevevamo con le mani legate davanti a noi. Se guardavamo di lato, o anche solo ci parlavamo, ci punivano e ci facevano stare in piedi con le mani alzate per circa 3 ore. Oltre a ciò, non ci lasciavano andare in bagno quando lo chiedevamo, e non sempre ci lasciavano nemmeno pregare.”
Fouad Hassan: “C’era un enorme bandiera israeliana sul muro. La prima domanda che mi ha fatto l’ufficiale dello Shin Bet è stata: “A quale organizzazione appartieni?” Poi mi ha ordinato di baciare la bandiera mentre venivo filmato. C’erano circa 20 soldati nella stanza. Ho detto all’ufficiale che non l’avrei fatto e lui mi ha detto: “Devi baciare la bandiera”. Gli ho detto: “No, non voglio”. Improvvisamente i 20 soldati nella stanza hanno iniziato a picchiarmi.”
Shaimaa Abu Jiab-Abu Fallo: “Era notte ci caricarono su un mezzo corazzato per il trasporto di personale. Ci legarono anche i piedi ma non ci coprirono gli occhi. Le fascette mi facevano molto male. Ci portarono in un edificio con dentro dei soldati. Credo fosse ancora a Khan Junis. Mi coprirono gli occhi con un pezzo di stoffa e li sentii ordinare ai ragazzi di spogliarsi. Poi mi colpirono con un fucile al collo e alla testa e colpirono anche i ragazzi: li sentii urlare di dolore:”
Qui per approfondire e per scaricare il rapporto completo “Welcome to Hell” o il riepilogo: https://www.btselem.org/publications/202408_welcome_to_hell.