Siamo alle prese con un’altra estate rovente. Un’altra estate con temperature bollenti che da anni ormai flagellano il nostro Paese. L’ultimo report di GreenpeaceL’Estate che Scotta”, realizzato in collaborazione con i ricercatori di Istat, evidenzia una tendenza a dir poco preoccupante che dipinge larghe porzioni dell’Italia esposte a temperature superficiali sempre più elevate. Un report che ha analizzato la temperatura della superficie terrestre attraverso i dati raccolti dai satelliti Sentinel-3 del programma Copernicus, che includono tutte le superfici visibili dall’alto come tetti, abitazioni, strade e alberi. 

Perché calcolare la temperatura delle superfici? Perché si tratta di un elemento molto rilevante, dal momento che il calore irradiato dal suolo e dalle superfici contribuisce alla vivibilità di un determinato ambiente. È importante notare che queste rilevazioni sono state effettuate tra le 9 e le 11 del mattino, quindi non rappresentano le temperature massime giornaliere, il che suggerisce che la situazione potrebbe essere ancora più critica di quanto riportato. Il Report ha considerato i 21 capoluoghi di Regione e le province autonome di Trento e Bolzano.

Dalle analisi fatte risulta che negli ultimi quattro anni il numero di persone esposte a temperature superficiali pari o superiori a 40°C nelle città monitorate è raddoppiato. Da agosto 2019 ad agosto 2023, oltre 8 milioni di cittadini, inclusi più di 1,3 milioni di anziani e bambini, hanno sperimentato questo caldo estremo. E questi dati sono probabilmente sottostimati, perché si basano solo sulla popolazione residente e non considerano il numero effettivo di persone che vivono nelle città analizzate.

Nel giugno scorso in quasi tutti i capoluoghi italiani le temperature superficiali massime hanno superato i 35°C, con picchi di oltre 39°C in 12 delle 21 città analizzate. Bari, Napoli, Roma, Catanzaro, Ancona, Palermo e Campobasso hanno registrato temperature superficiali superiori a 40°C. Anche Milano ha mostrato una media delle temperature superficiali massime di 39,9°C. Il fenomeno delle alte temperature superficiali, insomma, è diffuso in tutta Italia. In 11 capoluoghi su 21, oltre il 90% della popolazione è stato esposto a temperature pari o superiori a 40°C, con picchi oltre il 98% a Bari, Firenze, Cagliari, Napoli e Palermo. Anche in alcuni capoluoghi del Nord, come Aosta, Torino e Milano, si riscontrano percentuali significative di popolazione esposta. Solo tre capoluoghi mostrano percentuali di popolazione esposta sotto il 60%: Trieste (51,3%), Genova (47%) e Bolzano (2,1%).

Ma l’Italia non rappresenta un caso isolato: un recente studio europeo ha mostrato infatti un aumento delle ondate di calore rispetto al decennio 2000-2009, con un incremento del 57% delle persone esposte. Le città sono particolarmente colpite a causa dell’effetto “isola di calore”, dove il calore irradiato dal suolo e dalle superfici contribuisce in modo significativo alla temperatura percepita.

Chi paga le conseguenze del caldo estremo? Le conseguenze del riscaldamento globale e delle temperature sempre più alte sono molteplici e hanno impatti di natura diversa: ambientali e climatici, sociali, economici e anche sulla salute. Ad esempio sappiamo che le ondate di calore costeranno a livello mondiale più di 7 mila miliardi di dollari in perdita di produttività al 2050. Ma ben più preoccupante è l’impatto sulle persone: secondo l’Istituto Superiore di Sanità, in Italia ogni anno circa 14.500 decessi (il 2,3% della mortalità totale) sono attribuibili all’esposizione alle elevate temperature. A questo punto sorge spontanea la domanda su chi è che paga il costo delle temperature sempre più alte. 

Mentre le aziende principali responsabili del riscaldamento globale continuano indisturbate a investire sui combustibili fossili, con livelli di emissioni ormai fuori controllo, a pagare le conseguenze delle temperature sempre più alte sono le persone, quando invece dovrebbero essere proprio loro a pagare i costi della crisi climatica che stanno alimentando e a doversi impegnare per una transizione energetica a zero emissioni.

Per Greenpeace – si legge nel Reportè ora che queste aziende si assumano finalmente la responsabilità per la crisi climatica e ne paghino le conseguenze, anche in tribunale. Per questo motivo dodici cittadine e cittadini, Greenpeace Italia e ReCommon hanno avviato “La Giusta Causa”, una causa legale nei confronti di ENI, per i danni subiti e futuri derivanti dai cambiamenti climatici, a cui l’azienda ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando a sfruttare combustibili fossili come gas e petrolio, pur sapendo da tempo quale effetto avesse questa attività sul clima del pianeta. Con questa azione legale, Greenpeace Italia chiede che ENI: 1) venga riconosciuta come colpevole per i propri impatti climatici; 2) fermi subito le attività di distruzione del clima, a partire dai nuovi progetti sui combustibili fossili, e riduca il proprio volume di emissioni per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima; 3) si assuma le proprie responsabilità per i danni che hanno causato.” 

Qui il Report: https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2024/07/a965bfdd-report-istat-def-.pdf