È dello scorso 5 agosto la notizia della chiusura arbitraria e unilaterale da parte della polizia kosovara di una serie di filiali delle Poste serbe nel Nord del Kosovo, la zona della regione abitata a larghissima maggioranza dalla popolazione serba del Kosovo. Si tratta, in totale, di nove filiali delle Poste di Serbia in Kosovo fatte oggetto del provvedimento di chiusura: tre a Kosovska Mitrovica, una a Zubin Potok, due a Zvečan e tre a Leposavić, quindi in tutti i comuni del Kosovo del Nord. La misura fa inoltre seguito alla chiusura di diverse casse di risparmio nella regione utilizzate dai Serbi del Kosovo per ricevere stipendi, pensioni e altre prestazioni sociali e per effettuare pagamenti in dinari, già unilateralmente vietati dallo scorso primo febbraio. Un’operazione in grande stile, con un vasto schieramento di uomini e mezzi da parte delle autorità di Prishtina, contro soggetti e istituzioni serbe del Kosovo del Nord. La misura intrapresa dall’autogoverno kosovaro è grave anche sul piano materiale, perché colpisce direttamente la vita quotidiana dei cittadini serbi del Kosovo, dal momento che proprio attraverso queste banche vengono usualmente pagati sussidi e pensioni, benefici sociali e assegni familiari.
Circa 1.6 milioni di euro, quasi 75 milioni di dinari, oltre 19 mila franchi e 13mila dollari statunitensi, insieme a documenti dello Stato serbo sono stati sequestrati in queste operazioni dalla polizia kosovara. Non sono mancate parole di condanna da parte di alti funzionari della Repubblica di Serbia nei confronti del premier dell’autogoverno kosovaro, Albin Kurti, per le sue politiche irresponsabili, aggressive contro i Serbi del Kosovo, e la sua indisponibilità a dar corso agli accordi raggiunti con Belgrado nell’ambito del dialogo mediato dall’Unione Europea, e verso la comunità internazionale, la cui inerzia consente di fatto alle autorità nazionaliste kosovare di proseguire nelle loro provocazioni e rischia di alimentare nuovi focolai di tensione. Da parte sua, la polizia kosovara ha giustificato l’intervento in base al “sospetto che siano operativi uffici postali illegali non registrati” (sulla base della normativa kosovara, ma si tratta di uffici delle Poste di Serbia).
Il direttore ad interim delle Poste di Serbia, Zoran Andjelković, ha fornito alcuni chiarimenti circa la risposta che le autorità serbe forniranno a questa nuova misura unilaterale imposta da Prishtina. Ha visitato l’ufficio postale da poco ristrutturato nel villaggio di Merdare e l’ufficio postale a Kuršumlijska Banja, incontrato il direttore dell’Unità di lavoro per il Kosovo e i dirigenti degli uffici postali (nove) del Nord unilateralmente chiusi, e ha riferito che l’ufficio di Merdare è ora attrezzato per lavorare “sei giorni alla settimana”, proprio per dare l’opportunità ai cittadini serbi del Kosovo di fruire dei servizi postali ordinari in questa filiale, “principalmente per percepire le pensioni e svolgere il normale servizio di posta”. Come ha riferito infatti “nel Nord del Kosovo hanno bloccato tutti i nostri uffici postali. Il nostro compito è trovare un modo affinché i nostri cittadini in Kosovo non vengano danneggiati”. “È un peso per le persone venire da Gračanica, Laplje Selo o altre zone più interne del Kosovo per ritirare qui la pensione o inviare la posta, ma finché il regime di Kurti è com’è, e coloro che lo sostengono non lo convincono che questo tipo di azioni non può andare avanti, agiremo come potremo”. Un altro ufficio postale, analogo a quello riconfigurato a Merdare, sarà aperto anche a Končulj, presso Bujanovac, nella Serbia del sud, specie “per le categorie più vulnerabili, come i destinatari di assistenza, pensioni e prestazioni sociali”.
Nel suo comunicato del 5 agosto, l’EEAS, il Servizio per l’Azione Esterna dell’Unione Europea, ha dichiarato che “l’Unione Europea ritiene che la chiusura di nove filiali delle Poste di Serbia nel nord del Kosovo da parte delle autorità del Kosovo sia un passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi raggiunti nell’ambito del dialogo facilitato dall’UE. Come parte degli Accordi sulle telecomunicazioni raggiunti nel 2013 e del Piano d’azione concordato nel 2015, entrambe le Parti hanno concordato di discutere dei servizi postali “in una fase successiva”, riconoscendo così che la questione può essere affrontata solo nell’ambito del Dialogo. L’UE è pronta a includere questa questione nell’ordine del giorno della prossima riunione del Dialogo e si aspetta che le Parti sviluppino idee costruttive utili come base per una soluzione.
Le azioni unilaterali e non coordinate non possono offrire soluzioni a questa o altre questioni inerenti al processo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo. La chiusura dei servizi esistenti dei serbi del Kosovo, senza alcun nuovo accordo precedentemente pattuito, avrà un ulteriore effetto negativo sulla vita quotidiana e le condizioni di vita di questa comunità. Invitiamo il governo del Kosovo a riconsiderare la propria decisione e a trovare una soluzione negoziata a questa questione nel quadro del dialogo facilitato dall’Unione Europea”. Inoltre, dal primo febbraio scorso è entrato in vigore il decreto della Banca Centrale del Kosovo che vieta la circolazione del dinaro serbo sull’intero territorio della regione. Si tratta, anche in questo caso, di una mossa controversa, oltreché di un’azione irresponsabile, che rischia di riaccendere nuovi focolai di ostilità e tensione. L’abolizione unilaterale e arbitraria della circolazione del dinaro nelle municipalità e nei centri a maggioranza serba del Kosovo, dove il dinaro è la moneta in circolazione e in uso, porta con sé, infatti, conseguenze gravissime per l’intera comunità serba del Kosovo in quanto tale, dal momento che non solo le istituzioni serbe, a norma del diritto internazionale, sono presenti in Kosovo, ma anche tutti i pagamenti, tra cui quelli di stipendi, pensioni e prestazioni sociali, avvengono in dinari. Impedirne la circolazione e, quindi, bloccare l’erogazione di tali pagamenti equivale, di fatto, ad affamare la comunità serba del Kosovo in quanto tale.
È appena il caso di ricordare che la posizione internazionale del Kosovo è stabilita, a norma di diritto internazionale, dalla Risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ribadisce la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale Jugoslava, oggi Serbia, e prescrive, per il Kosovo, non l’indipendenza, bensì «una sostanziale autonomia e una significativa auto-amministrazione». Ed è altresì opportuno ricordare che con la definizione di «pulizia etnica» si intende «una politica deliberata volta ad eliminare, tramite l’uso dell’intimidazione, della violenza e/o del terrore, le popolazioni civili appartenenti a una diversa comunità etnica o religiosa da determinate aree geografiche». Sempre più urgentemente occorre evitare abusi e violazioni e ripristinare le condizioni per il dialogo, la giustizia e la pace .
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