La storia della regia della strategia della tensione è oggi molto chiara, ma fino a quindici anni fa la narrazione istituzionale era volta ad oscurare e a banalizzare il racconto, spesso facendo coincidere gli “anni di piombo” esclusivamente con il “terrorismo rosso”, senza mai porre l’accento sulla strategia delle tensione stessa che ha visto il coinvolgimento di servizi segreti deviati, massoneria, NATO, esponenti del terrorismo neofascista italiano, mafia e il tutto con l’armonizzazione di Gladio e della Rete Stay Behind. Questa mancanza ha dato adito ai movimenti neofascisti di ritagliarsi la loro parte, di riscriverne la storia portando ad un becero revisionismo storico volto addirittura a incolpare quelli che furono le principali vittime della strategia della tensione, ovvero le organizzazioni di sinistra.

Di questo ne parliamo con la storica Claudia Cernigoi, ricercatrice dei gruppi Diecifebbraio e Resistenza Storica e tra le fondatrici di Radio Città Trieste Canale 89, la prima radio libera politicamente impegnata a sinistra alla fine degli anni Settanta. È stata tra i fondatori di Radio Onda Libera nel 1980, ha collaborato per diversi anni con l’emittente radiofonica bilingue “Radio Opčine” di Trieste ed ha diretto per alcuni anni “il Movimento”, periodico del Movimento dei Finanzieri democratici. Giornalista pubblicista dal 1981, dal 1990 dirige il periodico triestino “La Nuova Alabarda”. Il suo ambito di ricerca verte sulla Seconda Guerra Mondiale, il neofascismo, la strategia della tensione e la storia del confine orientale. È stata tra le consulenti storici per la difesa di Oskar Piškulić nel cosiddetto “Processo per le Foibe” di Roma.

 

In cosa divergono essenzialmente la narrazione ufficiale ed istituzionale sulla strategia della tensione e quella che per anni è stata definita “alternativa”? 

Bisogna fare una premessa, distinguendo vari episodi. Se pensiamo a piazza Fontana, vediamo che le indagini “ufficiali” puntavano alla condanna degli anarchici, scagionati dopo molti anni e molte udienze, non solo grazie alle indagini condotte da magistrati che andarono controcorrente rispetto alla “narrazione” istituzionale, ma anche grazie al lavoro di controinformazione del movimento, che coinvolse avvocati e giornalisti. I colpevoli andavano cercati nell’ambiente neofascista, fu la conclusione di questo lavoro “alternativo”, ma Freda e Ventura furono prosciolti dalle prime sentenze sulla strage, e nonostante le definitive indagini di Salvini degli anni ’90 abbiano portato a confermare la loro responsabilità, non poterono più essere portati a giudizio.

Diverso è il discorso per una strage chiaramente fascista come quella di Brescia, la pista nera fu imboccata da subito e pochi hanno avuto il coraggio di metterla in discussione (qui abbiamo una “lettura” diversa fatta da Gabriele Adinolfi in un suo “romanzo”, che vorrebbe attribuire la responsabilità della strage ad un comunista che avrebbe portato l’ordigno in piazza e poi sarebbe morto nell’esplosione).

Passando alla strage di Bologna, dopo infinite indagini che hanno toccato piste diverse, alla fine la magistratura ha sancito la responsabilità dei terroristi dei NAR, supportati dalla P2 e da settori dei servizi. È in questa vicenda che neo o post-fascisti (voglio qui accennare agli stessi esponenti di Fratelli d’Italia che alcuni anni fa hanno lanciato la campagna “noi a Bologna non c’eravamo”, quasi identificando se stessi con i terroristi dei NAR…) hanno cercato di smentire le circostanze processuali per lanciare altre piste (la pista palestinese, la pista “rossa” tedesca…), che ad ogni buon conto si sono dimostrate del tutto prive di fondamento ad una analisi più accurata. 

Va però segnalato che la politica innocentista per i NAR ha visto anche le adesioni di alcuni esponenti della sinistra (come l’ambiguo Piero Sansonetti), tra i quali emerge il giornalista Andrea Colombo, già aderente a Potere operaio e dal 2006 al 2008 portavoce di Rifondazione comunista al Senato (a queste liasoins tra estrema destra e sinistra radicale, che sono molto più frequenti di quanto si possa pensare, ho dedicato molte pagine nel mio libro “Cinquanta sfumature di rossobruno”, pubblicato l’anno scorso). 

Voglio ribadire che queste “riletture” degli atti giudiziari non sono basate su alcun punto valido, ma semplicemente su illazioni non dimostrate dai fatti, e più volte smentite dalla magistratura. Il fatto che non si accettino queste decisioni è, a parere mio, mera pervicacia propagandista più che non desiderio di fare giustizia.

 

Spesso si sente parlare di “terrorismo rosso” e “terrorismo nero”, ma lo storico Aldo Giannulli ha chiaramente spiegato che si dovrebbe parlare di “terrorismo neofascista” e di “lotta armata di estrema sinistra” dicendo che sono due eventi con comportamenti assolutamente diversi all’interno della storia della strategia della tensione. Lo stragismo d’estrema destra colpiva la gente, mentre la lotta armata delle BR colpiva le figure delle istituzioni. Cosa ne pensi? 

Sono d’accordo. Il terrorismo è quello che colpisce nel mucchio, piazze, treni, luoghi pubblici, senza un bersaglio specifico, si doveva creare paura e disorientamento nella popolazione per fomentare il terrore del “comunismo”, provocare sfiducia nel governo imbelle ed incapace e per invocare l’intervento di una destra apportatrice di ordine; questo fu il metodo usato dai fascisti (supportati dai servizi statunitensi e con la copertura di settori deviati dello Stato ed anche da certa massoneria) negli anni della strategia della tensione (e nel contempo si svilupparono i tentativi golpisti di Borghese e di Sogno, fortunatamente non andati a buon fine), ma anche le stragi di mafia del 1993 (Firenze, Roma e Milano) avevano lo scopo di creare terrore per portare un governo forte in Italia. Così anche lo “spontaneismo armato” dei NAR, pur con la motivazione di attaccare lo Stato o i “rossi”, alla fine ha fatto molti morti tra persone che non c’entravano, sbagliando bersagli o sparando a casaccio. In questo contesto è effettivamente anomala la strage di Bologna, che sembra più simile alle stragi dei primi anni ’70, e che potrebbe in qualche modo “giustificare” la campagna innocentista per Mambro e Fioravanti (la cui responsabilità è però stata confermata, come detto prima). Per quanto concerne l’attività delle Brigate Rosse e di Prima Linea, i loro erano bersagli mirati: industriali, magistrati, giornalisti, politici: lo scopo non era quello di creare terrore tra la gente ma colpire lo Stato nelle sue istituzioni. Ovviamente questo non assolve questi militanti dalle responsabilità penali, politiche e morali per le azioni da loro condotte, azioni che alla fine hanno portato più danni che altro alla causa delle lotte sociali. 

Bisogna comunque tenere conto del fatto che il risultato finale di questi due tipi speculari di lotta armata ha portato alla disaffezione all’impegno politico anche dei movimenti di sinistra, in parte a causa della repressione che non colpiva solo i militanti dei gruppi armati, in parte per la crisi ideologica seguita a queste scelte politiche che avevano in un certo senso “tradito” i valori dei movimenti di base nati nei primi anni ’70.