1. Con una ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., il Tribunale di Roma, agli inizi dello scorso luglio, ha sospeso il suo giudizio sull’istanza cautelare presentata con un ricorso contro la decisione di manifesta infondatezza della richiesta di protezione, pronunciata dalla Commissione territoriale di Roma, nei confronti di un richiedente asilo tunisino, dunque ritenuto proveniente da un “paese di origine sicuro”. Il provvedimento di diniego è così rimasto sospeso, sino alla successiva decisione dello stesso Tribunale sulla istanza cautelare, “con conseguente diritto nel contempo del richiedente asilo alla titolarità, e al rinnovo semestrale, del permesso di soggiorno provvisoriocollegato alla proposizione della domanda di asilo”. Si tratta di una decisione che potrebbe avere un effetto dirompente sui ricorsi proposti da richiedenti asilo provenienti da “paesi di origine sicuri”, ai quali le Comissioni territoriali hanno negato per manifesta infondatezza della domanda il riconoscimento di un quasiasi status di protezione, con un provvedimento che, se non viene immediatamente sospeso dal Tribunale, può comportare il rimpatrio immediato, nel giro di pochi giorni, con accompagnamento forzato in frontiera. Come si potrebbe verificare nel caso dell’unico richiedente asilo tunisino ancora rinchiuso nel centro di trattenimento di Porto Empedocle. Dopo la liberazione dei cinque tunisini trattenuti nel centro, a seguito della mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento amministrativo adottati dal questore di Agrigento, adesso viene in questione il ricorso, con istanza di sospensiva contro la decisione della Commissione territoriale di Palermo che ha ritenuto “manifestamente infondata” la sua richiesta di protezione. Oltre alle motivazioni personali che saranno sviluppate dalla sua difesa, occorre una riflessione attenta sull’inserimento della Tunisia nella lista di paesi di origine sicuri e sulle conseguenze che ne possono derivare sul piano dei ricorsi individuali contro le decisioni di diniego adottate dalle Commissioni territoriali.

Dopo una completa ricostruzione del contesto normativo e dei precedenti giurisprudenziali, tra cui i noti decreti del Tribunale di Firenze adottati il 20/09/2023 e l’ 11/01/2024. il Tribunale di Roma richiama un passaggio della motivazione della Cassazione a Sezioni unite, nella sentenza n. 11399/24, dove è stato ritenuto che le «condizioni che legittimano la procedura accelerata e consentono, quale conseguenza, la deroga al principio (generale) della sospensione del provvedimento della Commissione territoriale» devono essere oggetto di «stretta osservanza della possibilità di azione delle deroghe»; in tale contesto la Suprema Corte, pur ritenendo di non poter «compiutamente affrontare» la complessa questione ….., ha dato spazio alla possibilità che il giudice, quando il richiedente contesti la natura “sicura” del paese di origine, o anche d’ufficio, debba, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, comunque valutare detta natura, anche in presenza di inserimento del paese negli elenchi contenuti nei decreti ministeriali a ciò destinati (si tratta peraltro di decreti necessitanti di continuo aggiornamento); con la conseguenza che l’esorbitanza dei tempi necessari per tale valutazione deve essere considerata (da parte del giudice) per poter continuare a ritenere la natura accelerata della procedura adottata con la deroga al principio di sospensione automatica del provvedimento impugnato (cfr. Cass già citata).

 

2. Dopo queste premesse il Tribunale di Roma  afferma: “La Tunisia (come peraltro anche l’Egitto) mostra una situazione che può consentire di differenziarla dagli altri Paesi definiti di “origine sicura”: si registrano infatti forme di persecuzione, violenza, discriminazione, compressione del dissenso politico e delle libertà fondamentali riconducibili al regime politico-istituzionale nazionale e al suo vertice nonché agli apparati dell’amministrazione statale, anche in termini di responsabilità commissiva e come effetto di indirizzo politico e di riforme ordinamentali, che entrano in linea di collisione con i presupposti indicati dalla Direttiva n. 2013/32 UE e relativo allegato, e dall’art. 2\bis del D.LGS. n. 25/2008 («status giuridico», «applicazione della legge all’interno di un sistema democratico», «situazione politica generale», sulla cui base si dovrebbe poter «dimostrare» che non vi sono «generalmente», nel Paese in questione, situazioni riconducibili al concetto di persecuzione, come definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, oppure ai tre casi di protezione sussidiaria”.

Il Tribunale di Roma evidenzia come “nel caso di specie, la scheda paese della Tunisia posta a base del D.M. 7 maggio 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 105 (che risulta aggiornata alla data del 3 maggio 2024), se confrontata con le fonti qualificate indicate dal legislatore europeo (le informazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti) restituisce la situazione di un Paese dove non è assicurata la tutela del diritto ad un ricorso effettivo innanzi a un giudice indipendente oltre che la tutela della protezione contro le persecuzioni e i maltrattamenti; dalle informazioni aggiornate (COI) e confrontate con la scheda emergono significative criticità concernenti la restrizione della libertà personale, il diritto ad un equo processo, la libertà di espressione e di stampa, la libertà di religione, la libertà di assemblea e associazione, i diritti delle donne, i diritti delle persone LGBTIQ+, ed in generale il rispetto per l’esercizio delle libertà democratiche delle persone, anche migranti”.

Secondo il Tribunale di Roma, “Tenuto conto delle riferite notizie sul sistema-paese della Tunisia, l’esito del giudizio sulla domanda di sospensiva del decreto impugnato risentirebbe quindi in misura determinante dell’estensione e dei limiti del potere di sindacato autonomo del giudice sul carattere “sicuro” del Paese, a seconda che tale giudizio debba ritenersi vincolato all’inclusione del Paese nell’elenco di quelli definiti “sicuri” dal decreto ministeriale o, invece, che possa e debba svolgersi anche sulla base di altre informazioni derivanti da C.O.I. più aggiornate, che l’autorità giudiziaria sia chiamata a raccogliere e valutare.

In altri termini, l’ambito di operatività del sindacato del giudice ai fini della valutazione
della natura “sicura” o meno del Paese di origine del richiedente (nel caso di specie la Tunisia ) rileva ai fini della decisione sulla misura cautelare invocata posto che, nel caso in cui potesse ritenersi la Tunisia – nonostante la sua inclusione della lista dei Paesi sicuri di cui al DM del 7 maggio 2024 (e prima ancora nei precedenti DM) – paese “non sicuro”, la sospensiva cautelare richiesta dovrebbe ritenersi automaticamente concessa per la sola proposizione del ricorso di protezione internazionale ai sensi dell’art. 35 bis, comma 3, prima parte del D.LGS. n.25/2008 ed in assenza dei gravi motivi di cui al successivo comma 4″.

 

3. Per i giudici romani, “Dunque, ricorrono nella specie i presupposti di ammissibilità, ed anche di opportunità, del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, che appare nella specie estremamente utile al fine di dare indicazioni alle Sezioni specializzate dei Tribunali distrettuali su una questione controversa e relativa ad un numero assai ampio di cause, anche in ordine alla definizione del giudizio interlocutorio avente ad oggetto l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, quando non siano stati invocati motivi personali che permetterebbero di superare, per il singolo richiedente, la presunzione (iuris tantum) di sicurezza del paese ai sensi del comma 5 dell’art 2 bis Decreto legislativo n. 25/2008. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11399/24, si sono pronunciate sull’ammissibilità del rinvio pregiudiziale anche rispetto a provvedimenti lato sensu cautelari affermando la possibilità di sottoporre alla Corte con rinvio pregiudiziale una “questione” caratterizzata dagli elementi indicati dall’art. 363 bis c.p.c., in ogni fase, anche interlocutoria, del processo”.

Per il Tribunale di Roma,  nel caso specifico,  “la questione che qui si vuole sollevare «è anche tema che è in stretta correlazione con il giudizio di merito relativo alla valutazione della protezione internazionale richiesta. Invero la decisione interlocutoria sulla sospensione, con la possibilità di allontanamento necessitato del richiedente asilo nel corso del giudizio (per carenza del titolo di soggiorno), impedirebbe l’accoglimento della richiesta protezione, ove se ne accertino le condizioni, qualora risulti, al momento della decisione di merito, che il richiedente sia già ritornato, anche contro la sua volontà, nel suo paese”.

 

4. Appare di particolare rilievo una considerazione del Tribunale di Roma che sembra attagliarsi particolarmente a quanto si sta verificando in queste ultime settimane nelle procedure accelerate in frontiera con trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri (finora soltanto tunisini) nel centro di Porto Empedocle. Casi di trattenimento sui quali si è pronunciato il Tribunale di Palermo, non convalidando cinque dei sei decreti emessi dal questore di Agrigento. In questi casi l’intreccio tra la decisione negativa della Commissione territoriale, ed il provvedimento del Questore che dispone il trattenimento in un centro per i rimpatri, con la successiva convalida del giudice, rischia di azzerare i diritti di difesa dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” ed il diritto di accesso effettivo ad una procedura equa per il riconoscimento di uno status di protezione. Al riguardo il Tribunale di Roma fa osservare come non sia superfluo “attirare l’attenzione della Corte sul fatto che nella prassi applicativa degli ultimi anni si assiste a un ricorso sempre più frequente a provvedimenti amministrativi di rigetto per manifesta infondatezza, i quali configurano oggi, più che una eccezione, addirittura la regola, sicché il principio europeo della sospensione automatica del provvedimento amministrativo impugnato appare oggi regressivo rispetto ai casi, che dovrebbero essere eccezionali, in cui si impone la necessità di verificare caso per caso se ricorrano le condizioni per una sospensione disposta dal giudice. Tale prassi è, peraltro, destinata ad aumentare ulteriormente a fronte dell’ampliamento dei Paesi di Origine designati come Sicuri effettuato da ultimo con il Decreto interministeriale del 7 maggio 2024 che ha incluso Paesi da cui provengono la maggior parte dei migranti diretti in Italia e che imporrebbe una valutazione in concreto e all’attualità da parte del giudice sulla natura “sicura” o meno del paese di origine del richiedente (Albania, Algeria, Bangladesh, BosniaErzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia)”.

leggi anche la versione Adif

Il Tribunale di Roma rinvia alla Corte di Cassazione e sospende il diniego contro un richedente asilo proveniente da un “paese di origine sicuro”.