Connettere laicità, diritti e libertà di espressione significa tenere conto dell’alleanza potente e strutturale del patriarcato con le religioni, usate come strumento di controllo e potere nello spazio pubblico, soprattutto sul corpo delle donne.

Continuo a pensare quello che scrissi sul numero 3 di Marea del 2018 che poneva la domanda Quale laicità: “I diritti delle donne non sono ancora considerati diritti umani. Sono sicura che in nome del rispetto per il multiculturalismo a nessuno, a sinistra, verrebbe in mente di accettare la richiesta della comunità cinese, in Europa, di applicare la pena di morte in caso di reati che coinvolgessero persone cinesi, adducendo a motivo che nel loro Paese la pena di morte esiste.  E invece, se si tratta di donne, e in particolare di corpo delle donne, di sessualità femminile, di visioni delle relazioni tra donne e uomini tutto cambia. Dal senza se e senza ma si passa ai moltissimi se e agli infiniti ma.

Accade che se in Francia si decide di bandire dalla scuola pubblica i simboli religiosi, (tutti, dalla kippa ebrea alla croce cristiana e al velo islamico) si scateni l’anatema da parte della sinistra radicale e di parte del femminismo per il non rispetto della libertà delle donne, come se non ci fossero anche le libertà dei cristiani e degli ebrei in gioco.

Il paradosso è che si sprecano le lodi culturali del velo proprio da parte di molte donne progressiste, che lo difendono a volte come legittimo vessillo di orgoglio antioccidentale, a volte come segno di legittima bandiera di quei valori tradizionali patriarcali tanto combattuti dalle progressiste stesse nella cultura cattolica. Una paradossale incongruenza logica, storica e politica. Queste donne tanto desiderose di difendere la copertura del corpo delle loro sorelle musulmane sono definite così dall’attivista iraniana Chahdrortt Djavann, autrice di Bas Les voiles (Giù i veli): “Piccole smorfiose che si convertono al velo per gioco, senza preoccuparsi di ciò a cui condannano – così facendo – le loro sorelle più giovani, o meno libere: la schiavitù più brutale e più arcaica”.

Come sostiene Maryam Namazie non si tratta di mettere in discussione la libertà di fede: l’apertura alla trascendenza fa parte della specificità umana. In molte siamo però convinte che la spiritualità appartenga alla sfera privata e che tale debba restare: non deve fare la legge, la politica, la cultura, la morale, né può essere imposta.

Come scrivono in Anatomia dell’oppressione Inna Shevchenko e Pauline Hillier il conflitto tra femminismo e religioni è quasi naturale, sono antinomici: il femminismo si batte per i diritti delle donne sul proprio corpo, la religione per i diritti degli uomini o della società sul corpo delle donne; il femminismo si batte affinché le donne si facciano sentire, la religione perché restino in silenzio; il femminismo afferma il loro potere e la loro forza, la religione la loro passività travestita da modestia.

Di questi temi, nella contemporaneità funestata da guerre che hanno sullo sfondo anche questioni religiose, ragioneremo insieme ad Altradimora, dal 6 all’8 settembre 2024 nel seminario Laicità e femminismo. Religioni, libertà, autodeterminazione.

Nell’appuntamento proveremo a condividere visioni, pratiche ed esperienze di lavoro, resistenza e cambiamento sul come essere laiche, femministe, credenti o non credenti in un tempo così segnato da odio, guerra e violenza, spesso evocata e praticata nel nome di un dio, dentro i social e fuori nella vita reale.

Ad aiutarci a dipanare l’intricata matassa ci saranno studiose, attiviste, pensatrici di varia provenienza che stimoleranno il confronto e la discussione: Paola Cavallari, Sabina Zenobi, Maryam Namazie, Gita Sahgal, Flavia Fratello, Cinzia Sciuto, Federica D’Alessio, Farian Sabahi, Hamideh Saberi, Federica Iaria, Sara Kaminsky.

Ancora Namazie scriveva sul numero citato di Marea:“Una futura Europa deve essere laica. Per secolarismo intendo la completa separazione della religione dallo Stato (e non la versione inglese di eguale tolleranza per le religioni, che alimenta il comunitarismo). La libertà di religione, o di credo, è un importante diritto umano: è una questione personale di coscienza e un’esperienza vissuta. Quando però la religione è parte integrante dello Stato o della legge non si tratta più di credenze personali, ma di potere e controllo. Con l’ascesa della destra religiosa in Europa e a livello internazionale la difesa della cultura laica è un compito storico. È anche una precondizione per i diritti delle donne, una garanzia di libertà di religione e, insieme, di libertà dalla religione”

L’appuntamento di Altradimora è inserito sulla piattaforma formazione dell’Ordine dei giornalisti con 4 crediti ed ha avuto il sostegno della Fondazione San Paolo di Torino e del Mediterranean Women Fund.

Per informazioni e iscrizioni scrivete a monica.lanfranco@gmail.com