Mani Rosse Antirazziste è un gruppo apartitico e autogestito che lotta per affermare il diritto a migrare (o di converso il diritto a restare nel proprio Paese, se le condizioni lo consentono).
In sostanza, per quanto riguarda l’Europa (ma un discorso analogo vale anche per gli Stati Uniti d’America e per l’Australia) vogliamo che i migranti non vengano respinti nel deserto del Sahara, non siano imprigionati nei lager libici, nei campi turchi, nelle isole greche, non vengano lasciati affogare nel Mar Mediterraneo, non vengano respinti lungo la rotta balcanica, o lasciati morire di freddo e di fame nelle foreste tra Bielorussia e Polonia. Come pure siamo contrari alla criminalizzazione dei migranti, che giunti in Italia rischiano la reclusione nei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), o l’arbitraria carcerazione come presunti scafisti, come sta accadendo all’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi reclusa a Reggio Calabria.
Il gruppo Mani Rosse Antirazziste si è costituito il 3 agosto del 2018, proprio il giorno in cui la Camera dei Deputati concesse le corvette tuttora utilizzate dalla sedicente Guardia Costiera Libica, un corpo paramilitare incaricata di bloccare le migliaia di disperati in fuga dalla guerra, dalle
dittature, dai disastri ambientali, dalla miseria, tutte crisi troppo spesso causate dalle politiche neocolonialiste dei Paesi Occidentali.
Quel giorno ci trovammo soltanto in quattro davanti a Montecitorio, decisi a continuare a oltranza e con continuità una lotta che altre ben più grandi e importanti associazioni avevano iniziato e poi sostanzialmente abbandonato, investendo il proprio impegno su altre priorità.
Da quel momento, e quindi da sei anni, tutti i giovedì (a parte ovviamente il periodo del lockdown) sfiliamo davanti al Palazzo del Viminale, sede del Ministero dell’Interno, cui è stata affidata in modo anomalo la complessa materia, come se fosse unicamente questione di ordine pubblico.
Sei anni durante i quali si sono avvicendati quattro governi e tre ministri, espressione di maggioranze diverse, ma con analoghe politiche di contrasto all’immigrazione.
Il giovedì è stato scelto in omaggio alla lotta vincente delle Madri di Plaza de Mayo per avere giustizia per i propri cari, desaparecidos ad opera dei militari dell’ultima dittatura argentina.
Questo richiamo ci è stato suggerito da Enrico Calamai, tra i promotori del gruppo. Enrico, giovane Vice Console a Buenos Aires e per alcuni mesi in missione a Santiago del Cile dopo il golpe di Pinochet, contribuì alla salvezza di centinaia di perseguitati politici, ricercati dalle dittature militari cilena e argentina. In particolare nel Consolato di Buenos Aires Enrico si adoperò per consentire l’espatrio a chiunque fosse in pericolo, fornendo un passaporto italiano e, se necessario, un rifugio e il passaggio fino all’aeroporto e al volo verso la salvezza in Italia.
Le mani rosse sono una modalità utilizzata da vari gruppi nonviolenti nel mondo per evidenziare e condannare gravi e sistematiche violazioni di diritti umani che comportano spargimento di sangue: significa dire ai rappresentanti del potere “voi avete le mani sporche di sangue, siete responsabili della morte dei nostri fratelli e sorelle”.
Con questo gesto vogliamo pacificamente denunciare le responsabilità italiane nella politica di deterrenza dell’immigrazione, che arriva addirittura a utilizzare le stragi di quelli che possono essere considerati i nuovi desaparecidos dell’Europa opulenta nel nuovo millennio.
Tutti i migranti, anche quelli che si muovono per ragioni economiche, esprimono una legittima forma di ribellione nei confronti di un ordine politico ed economico internazionale che calpesta i diritti umani.
Oltre ad esprimere il proprio dissenso con le sfilate settimanali, Mani Rosse Antirazziste promuove iniziative di studio su questa complessa questione, come il convegno giuridico intitolato “Migranticidio: un crimine contro l’umanità”, insieme al CRED (Centro di ricerca ed elaborazione per la Democrazia) e ai Giuristi Democratici, che si è tenuto il 22 aprile 2023 presso lo Spazio espositivo MACRO a Roma.
Alla riuscita del Convegno hanno contributo giuristi e costituzionalisti tra cui Alessandra Agostino, Luigi Ferrajoli, l’antropologa Annamaria Rivera, Fulvio Vassallo Paleologo, Raniero La Valle e altri. Si è evidenziato come le stragi dei migranti facciano parte di una strategia dei Paesi occidentali per bloccare a qualsiasi costo il flusso migratorio dovuto alle terribili condizioni che affliggono il Sud del mondo, conseguenza strutturale della globalizzazione neoliberista.
È emersa la necessità di riconoscere l’esistenza di un nuovo, specifico crimine contro l’umanità, il Migranticidio, che non è compreso tra le categorie classificate dalla Convenzione contro il Genocidio, poiché non riguarda un gruppo etnicamente omogeneo di persone; rientra tuttavia nella più generica categoria di persone prevista nell’Art. 7 dello Statuto di Roma, che istituisce la Corte Penale Internazionale volta a giudicare i crimini contro l’umanità.
Si tratta di un primo passo cui vorremmo dare seguito per arrivare all’obiettivo di contrastare l’impunità di cui tuttora gode la classe politica occidentale, tanto più che la situazione continua ad aggravarsi, come evidenziato ad esempio dalle denunce presentate da Mediterranea Saving Humans nel luglio scorso alla Procura di Roma e alla Corte Europea, volte a incriminare il governo libico e la sua sedicente Guardia Costiera per “pirateria, tentato sequestro di persona, minacce, violenza privata aggravata”.
Le denunce si riferiscono a diversi atti intimidatori della Guardia Costiera Libica, di cui il più grave è avvenuto il 4 aprile scorso, quando la motovedetta Fezzan, donata dall’Italia, condusse un vero e proprio assalto armato contro la nave di soccorso Mare Jonio di Mediterranea.
Quest’episodio segna un’ulteriore escalation della politica migranticida messa in atto dai governi italiani ed europei già a partire dagli anni ’90 con il blocco navale nei confronti dell’Albania, che causò l’affondamento della nave Kater i Rades e la morte di oltre cento persone. Tale politica è proseguita negli anni 2000 con accordi volti a esternalizzare le frontiere con la Libia, la Turchia e adesso anche con la Tunisia l’Egitto e l’Albania.
Unica meritoria parentesi fu l’operazione “Mare Nostrum” durata un anno, da ottobre 2013 a ottobre 2014 e conclusa con il salvataggio di oltre 100.000 persone, che resta a ricordare come un’altra politica nei confronti dei migranti sia possibile e necessaria.