Sbaglia chi pensa oggi che il vero tema dell’Autonomia Differenziata sia solo il trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni; chi pensa che si tratti di un mero passaggio istituzionale dal centro alla periferia, in accordo ad un progetto di devolution che renderà più efficiente la macchina burocratica.

Sbaglia chi ragiona oggi, nella situazione specifica che si è determinata con il sopravvento dell’economia capitalistica con centri di potere deterritorializzato, con le categorie del federalismo del socialista meridionalista Gaetano Salvemini, del lombardo Carlo Cattaneo o addirittura di un Giuseppe Ferrari, anarchico milanese, ai quali, forse, si sono ispirati tanto i leghisti quanto alcuni piddini, come Bonaccini, che pur l’aveva sostenuta, salvo poi avversarla in un secondo momento.

E, tuttavia, ci si sbaglia nello schiacciare tutta la proposta dell’Autonomia Differenziata verso la questione federalistica/regionalistica perché non si considera il ruolo che il neoliberismo capitalistico ha assunto in questo percorso di devolution già da anni e non si considera la transizione in atto da tempo nella sanità, nei trasporti e in gran parte dei settori facenti riferimento allo stato sociale, che corrono verso lo smantellamento totale di tutto ciò che è pubblico e, quindi, concretamente, “bene comune” da garantire ai cittadini e alle cittadine in quanto persone.

Ciò che si sta mettendo in secondo piano in questa campagna, che è diventata squallidamente elettorale e che, invece, dovrebbe emergere innanzitutto come problematica politica ed economica di fondamentale importanza, è la questione del “bene comune”, che così passa in secondo piano, come se con l’Autonomia Differenziata e il trasferimento di poteri dal centro alla periferia si arrivasse davvero più vicini, in prossimità ai cittadini e alle cittadine.

A ben vedere, è dal 2001 a livello costituzionale, ma certamente anche prima, con la Riforma Bassanini per la sanità e con il ministro Luigi Berlinguer per quanto riguarda la scuola, che vanno individuati i prodromi di una trasformazione radicale dell’assetto statale.

Bisogna anticipare il progetto di svendita del pubblico al privato, nelle more dell’applicazione di blande e camuffate forme di federalismo, almeno alla Legge 15 marzo 1997 n. 59 voluta, appunto, da Franco Bassanini, ministro dei governi di centrosinistra con Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Fu, dunque, il centrosinistra che introdusse con quella legge, e con successivi provvedimenti all’interno di quella che fu chiamata globalmente Riforma Bassanini, tre principi che avrebbero dovuto, a loro dire, implementare i servizi pubblici e tutto il sistema del Welfare.

Si trattava, in sostanza, in primo luogo di semplificare le procedure amministrative e ridurre i numerosi vincoli burocratici per le attività private; in secondo luogo avviare una forma di federalismo amministrativo finalizzato a realizzare il massimo decentramento possibile mediante una legge ordinaria e senza modifiche costituzionali – promessa che poi non venne mantenuta perché fu proprio il Governo Amato a scrivere la riforma costituzionale del 2001, approvata materialmente sotto il Governo Berlusconi nell’ottobre. E, infine, in terzo luogo, si trattava di introdurre il principio di sussidiarietà per raggiungere interessi di ordine collettivo.

Forse ingenuamente persuasi o forse perché intimamente convinti, da democristiani, che il principio di sussidiarietà, formulato dalla Chiesa cattolica in funzione antistatalista sin dal 1931 con Pio XI, facendo leva sulle associazioni di prossimità, potesse risolvere un po’ di problemi al sistema statale in grave crisi economica, questi uomini di governo di centrosinistra non esitarono a introdurlo surrettiziamente all’interno dei principi giuridici dell’ordinamento italiano.

Ma il punto è che la presunta ingenuità, che vorrebbe che il sostegno al Welfare State arrivasse secondo il principio di sussidiarietà dai corpi intermedi – cioè associazioni, enti e organizzazioni senza scopo di lucro – svanisce nel momento in cui si ha la consapevolezza che negli stessi anni nei settori più cruciali dello Stato, quali la sanità, i trasporti e la scuola, lo stesso centrosinistra aveva già avviato la stagione dell’ingresso massiccio dei privati per fare profitto e gestire, secondo una logica efficientistica, i settori che erano entrati in crisi, evidentemente per gestioni truffaldine e a suon di mazzette, come poi tristemente emerso da quelle imbarazzanti vicende giuridiche di Tangentopoli, che oramai sono cadute nel dimenticatoio insieme ai suoi protagonisti.

Ciò che è accaduto, insomma, già prima del 2001 è che il capitalismo neoliberista, sostenuto sia dal centrosinistra in maniera velata sia dal centrodestra in maniera più convinta, con i suoi metodi estrattivi e mercificatori1, ha aggredito alla radice il principio di sussidiarietà e ne ha trasformato la sua autentica formulazione cattolica, che prevedeva già l’endiadi con il principio di solidarietà, ma ormai caduto in disgrazia per questioni di “inefficienza economicistica”.

Oggi con l’Autonomia Differenziata avviene che lo Stato, abdicando alla sua funzione principale in tema di solidarietà, che è quella di garantire il benessere dei cittadini e delle cittadine mediante il sistema del Welfare State, permette più agevolmente ai privati di insinuarsi nelle aree del benessere per erogare servizi essenziali e indispensabili, che vanno garantiti ai soggetti in quanto persone, non in qualità di utenti, clienti, consumatori/trici o dipendenti subordinati.

Preso atto della differente capacità delle diverse regioni di far fronte ai servizi per i cittadini/cittadine e della incapacità di far fronte agli elementi di perequazione, che pure sono previsti dalla Legge costituzionale n. 3 del 2001, lo spazio che si apre per le regioni più svantaggiate è uno scenario di chiara sperequazione, nettamente a favore del privato e di quello che ormai si affaccia, soprattutto nelle realtà imprenditoriali più grandi, come Welfare aziendale.

Proprio come accaduto tra XIII e XIV secolo in Italia, quando la Signoria si è fatta strada come legittimazione politica di un’economia feudale in cui il Signore, che già aveva potere di vita e di morte mediante il lavoro subordinato nei confronti del contadino/lavoratore, viene anche riconosciuto a farlo da terzi, cioè dall’Imperatore o dal Papa, contro i quali avevano lottato, così oggi in questa nuova forma di Signoria di tipo regional-capitalistico è soggetto abilitato a ricevere cure, assistenza sanitaria, servizi per l’infanzia solo il/la dipendente o il/la lavoratore/trice, concedendo di fatto il potere di vita o di morte al titolare del rapporto di subordinazione nel suo esclusivo feudo finché quei soggetti gli tornano utili, salvo poi liberarsene agevolmente appena può, complice l’abrogazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, altra iniziativa neoliberista del centrosinistra.

Si apre così con l’Autonomia Differenziata, in maniera ufficiale, la stagione delle Nuove Signorie, vale a dire di sacche di potere privato, locale se è ben radicato sul territorio oppure globale come accadrà perlopiù al sud, dando definitivamente la stura all’aggressione glocale dei servizi pubblici e dei beni comuni da parte della quadruplice radice del principio di ragione capitalistica con i suoi settori più trainanti, vale a dire quello energetico, militare, farmaceutico e digitale con un’acuta accelerazione verso scenari di guerra, di produzioni di crisi, pandemiche e non, di iper-tecnologizzazione, di sfruttamento di risorse, di totale disinteresse per i temi della riproduzione sociale e dei lavori connessi alla “cura”, come sostiene Nancy Fraser2, per alimentare ovunque i profitti dietro la logica neoliberista dell’efficienza e dell’efficacia.

1 Cfr. D. Acemoglu, J.A. Robinson, Perché le nazioni falliscono, Il Saggiatore, Milano 2013.

2 Cfr. N. Fraser, Capitalismo cannibale, Laterza, Roma-Bari 2023.