Ieri, 18 agosto, era domenica e nelle antiche e splendide chiese e cattedrali di Kiev risuonavano le suggestive melodie delle preghiere e dei riti, intonati dai pope della Chiesa Ortodossa Ucraina, indipendente e separata da quella del Patriarcato di Mosca.
Entro nella Cattedrale di San Vladimir durante la celebrazione eucaristica e, a giudicare dalla tiara, dall’età e dalla solennità dei gesti, a presiedere la concelebrazione potrebbe essere lo stesso Patriarca di Kiev.
Sono presenti soprattutto donne, velate come da noi qualche decennio fa, e uomini in genere anziani o molto giovani.
Praticamente tutti, prima, durante e dopo la celebrazione, si accalcano davanti a un bancone e consegnano liste di nomi, insieme a denaro, come del resto si usa da noi per le preghiere di intercessione, ma cambia la mole, che è davvero impressionante. Allora stesso tempo si acquistano le lunghe e sottili candele, tipiche delle chiese ortodosse, che tutti accendono, e ciascuno ne ha tra le mani più di una.
Certo è un rito antichissimo, ma è impensabile non vedere una relazione tra molte delle mani che posano una candela accesa e un padre, un figlio, un nipote, un amico al fronte, costantemente in pericolo o già addirittura morto. Non posso averne certezza, ma lo posso intuire dai volti, dagli sguardi.
Per il resto la mia giornata di ieri potrebbe essere un momento di riposo di un viaggiatore (odio il termine turista) curioso e incantato per la bellezza di questa città, tra grandi parchi affollati e splendide chiese, piazze e palazzi.
Un turista distratto non si accorgerebbe dei segni della guerra: tutti i monumenti sono stati “inscatolati” per metterli al sicuro e il piano seminterrato di un palazzo ha le finestre coperte da sacchi di sabbia per trasformarlo in rifugio sicuro.
Poi, quando meno te lo aspetti, in una delle piazze principali del centro storico, dove sorgono le grandi cattedrali di Santa Sofia e i monasteri, appare, qui sì esibita, ma anche confinata, la guerra in tutto il suo orrore e dolore: vi sono infatti alcuni mezzi blindati, su cui peraltro si arrampicano e giocano indisturbati due bambini, due macchine e un pulmino, semidistrutti e semi carbonizzati dalle fiamme.
Dalle bandierine appese e dai nastrini legati con i colori nazionali, azzurro e giallo, dalle foto esposte sul cruscotto del pulmino, è evidente che sono mezzi ucraini e che costituiscono un omaggio alle loro forze di difesa e ai civili morti nel conflitto, come del resto testimoniano i pannelli con foto eloquenti e drammatiche lì accanto.
Dalla parte opposta della piazza sono invece esposti i resti semi fusi di ordigni sparati su Kiev o sulle vicinanze … e speriamo non se ne debbano aggiungere altri.
Ma la cosa più terribile, su cui tornerò a scrivere in maniera più dettagliata, dopo essermi meglio informato, è il lunghissimo muro del monastero di San Michele, con esposte le foto, e i relativi dati anagrafici, dei soldati morti dall’inizio della guerra, che anche qui, correttamente, parte dallo scoppio della guerra civile per il controllo del Donbass nell’aprile del 2014, poi trasformatasi, a partire dal 24 febbraio del 2022, nell’attuale guerra contro la Federazione Russa.
Si tratta di un muro lunghissimo con migliaia di foto, sotto al quale sono deposti fiori veri o di plastica. Quasi soltanto uomini, alcuni giovani, altri avanti con gli anni. Le pochissime ragazze spiccano tra i tanti volti maschili.
Per i primi anni di guerra le foto sono tutte uguali e regolari, poi per questi ultimi due anni, la regolarità e l’ufficialità sono sostituite dalle mani pietose dei famigliari e degli amici, che hanno voluto ricordare qui i loro cari anche con foto meno formali.
Questi occhi sono la guerra: alcuni sorridenti, altri seri, altri ancora preoccupati, ti guardano e non ci sono più.
Come diceva il grande Vittorio Arrigoni, “restiamo umani”: non arrendiamoci al cinismo e all’impotenza, non consentiamo che questa sequela di morti da un lato e dall’altro del fronte prosegua ancora.
Cessate il fuoco!