Dal 1200, a seguito dell’incontro di Francesco d’Assisi con il sultano Malik a Damietta, ai francescani è stata concessa la presenza stabile in Terra Santa.
In una intervista ai media vaticani, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, francescano e patriarca latino di Gerusalemme, commenta il risultato dei colloqui di Doha per il cessate il fuoco a Gaza.
È previsto che le trattative riprendano tra alcuni giorni al Cairo. Intanto, sui vari fronti non cessano le violenze.
A Doha dove si svolgono i negoziati promossi da Usa, Egitto e Qatar, per la stipula di una tregua a Gaza e per la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza. Crede che questa volta l’obiettivo possa essere raggiunto?
Credo che in questo momento ci siano le condizioni perché si raggiunga un accordo. Naturalmente ci sarà sempre chi rema contro, gli ostacoli non mancano, ma credo che siano maturate le condizioni perché si possa finalmente concludere questa fase della guerra e quindi di conseguenza anche allontanare un’escalation, un allargarsi del conflitto con l’intervento diretto dell’Iran e l’estendersi della guerra anche in Libano.
Ripeto, sono tante le difficoltà, ma credo che ci sia uno sforzo imponente anche da parte, non solo dei mediatori, ma anche degli Stati Uniti, di chiudere questa situazione.
E conseguentemente si spera si allontani la minaccia di un intervento iraniano contro Israele…
Sì. Non dobbiamo farci illusioni. Il conflitto non è ancora finito; lo vediamo molto bene a Gaza con i continui bombardamenti, con la tragedia che è sotto gli occhi di tutti e che ci lascia sempre senza parole.
I bombardamenti a Gaza continuano incessantemente. Secondo Hamas, il 15 agosto è stato superato il tragico traguardo dei 40 mila palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre. Come vive questa situazione la comunità cristiana di Gaza?
La nostra piccola comunità che si trova a nord di Gaza, nella città di Gaza City, cerca di vivere in questa situazione nelle condizioni migliori e più serene possibili per quanto sia difficile.
Siamo attivi nel cercare di aiutare la popolazione con aiuti che riusciamo ad avere non solo dai Cavalieri di Malta ma anche da tante altre associazioni; gli ultimi sono stati quelli della Chiesa mennonita che ha mandato più di mille pacchi.
È molto bello vedere come all’interno di questa situazione gravissima e tragica ci sia anche tanta solidarietà.
Mentre l’attenzione mediatica è tutta su Gaza e sul confine col Libano, la situazione della Cisgiordania diviene ogni giorno più grave ed allarmante. Quali segnali le pervengono da queste aree?
Si parla molto di Gaza, giustamente, ma c’è una situazione molto grave anche nei Territori, nella Cisgiordania.
Solo qualche giorno fa c’è stato un pogrom di non pochi coloni contro un villaggio palestinese con un morto e tantissimi danni.
È solo l’ultimo episodio di una serie di eventi che hanno caratterizzato in questi mesi la tensione continua e sempre in rialzo in tutta la Cisgiordania; tensioni, scontri continui tra i coloni e i palestinesi, anche con la presenza delle forze armate israeliane …
Tensioni continue, insomma, che stanno rendendo la vita della popolazione palestinese sempre più complicata e più difficile.
Il rischio di esplosione c’è, per questo bisogna lavorare molto innanzitutto per il cessate il fuoco a Gaza e poi anche per riportare l’ordine, la sicurezza e la vita ordinaria per quanto possibile – per quanto si possa parlare di vita ordinaria – in tutta la Cisgiordania. Insomma, bisogna voltare pagina.
Non è semplice. Quello che vediamo in Cisgiordania è un esempio palpabile, concreto, di quanto l’odio, il rancore, il disprezzo, abbiano portato a forme di violenza sempre più estreme e sempre più difficili da arginare.
Dobbiamo dunque lavorare molto, a livello non solo politico ma anche religioso, perché lo sfondo di questa violenza è anche religiosa, per fare in modo che questi facinorosi, questi estremisti, siano messi da parte, siano isolati e non abbiano tutta la forza che hanno ora.