Il 6 agosto del 1945 è una di quelle date che segnano la storia; l’arma atomica, usata in guerra per la prima volta contro la città di Hiroshima segna una svolta; non è un fatto solo militare, né si tratta di un ordigno particolarmente più potente di quelli usati fino a quel momento: è un’arma di concezione del tutto nuova, che non è progettata per colpire postazioni militari, ma civili, al fine preciso di distruggere un’intera città, e, con lo sviluppo successivo, una intera nazione, una civiltà; una vera arma di distruzione di massa.

Finita la guerra sotto l’ombra minacciosa del fungo atomico di Hiroshima e Nagasaki, con la guerra fredda parte una forsennata corsa allo sviluppo, potenziamento, costruzione delle armi nucleari. È chiaro sin dall’inizio che l’uso massiccio di queste armi in una ipotetica guerra tra le 2 superpotenze avrebbe potuto mettere a rischio l’esistenza stessa dell’umanità; per la prima volta l’uomo aveva la possibilità di distruggere la vita sulla Terra: un Prometeo al contrario.

Tutti gli anni questa data viene ricordata in diverse città del mondo da manifestazioni, veglie, presidi, non solo per una memoria, ma per una riflessione, un’assunzione di responsabilità, un impegno su quello che è il problema principe, e direi esistenziale, nel senso che da esso dipende la futura esistenza della civiltà umana: impedire che qualcosa del genere possa accadere.

I rappresentanti politici delle grandi e piccole potenze non ne sembrano invece coscienti.

A 79 anni da Hiroshima abbiamo circa 12500 bombe nucleari nel mondo, capaci di distruggere più volte l’intero pianeta. Di queste, 3900 sono dispiegate su vettori, ossia pronte all’uso; negli anni ’80 ce ne erano 60000; una situazione molto più pericolosa, a dimostrazione che attivare un processo di disarmo nucleare è possibile, solo che lo si voglia.

Gli Stati possessori della bomba sono 9: Russia, Stati Uniti che da soli ne posseggono 11000, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord (in ordine di quantità). Essi nel 2023 hanno speso, per mantenere i loro arsenali, 91 miliardi di dollari.

C’è stato un periodo in cui ce ne era anche un altro: il Sudafrica, che aveva ottenuto la sua bomba grazie all’aiuto israeliano; poi questo Paese ha smantellato il suo arsenale atomico; è un caso al momento unico di potenza nucleare che rinuncia volontariamente ad essere tale; è oggi un Paese menomato, senza più sovranità? Succube di altre potenze aggressive? Ha dovuto rinunciare alla sua difesa?

No.

E su questo bisognerebbe meditare.

Con 9 potenze nucleari, con una decima che è lì sulla porta, l’Iran, molte di queste coinvolte in conflitti tra loro, il mondo è sempre più in pericolo.

L’arma atomica continua ad essere usata come minaccia, non solo come deterrenza.

La deterrenza è basata sul terrore: io ho armi atomiche con cui posso distruggerti intere città, anche se tu sei più forte militarmente; dunque, non oserai attaccarmi, e viceversa: la mutua distruzione assicurata, che secondo alcuni ha evitato la terza guerra mondiale, secondo altri, tra cui il sottoscritto, ci ha semplicemente avvicinato all’apocalisse, mentre la guerra mondiale si è fatta (e si fa) per interposta persona.

Oggi l’arma atomica viene ripetutamente minacciata come arma tattica da usare in battaglie, nella convinzione, fallace, che questo ne comporti un uso limitato; più volte la Russia ne ha minacciato l’uso nella guerra in Ucraina.

Non esistono armi nucleari tattiche, si tratta di ordigni potenti quanto, se non più, di quelli usati a Hiroshima e Nagasaki; meno potenti di quelli detti strategici, ma lo stesso in grado di distruggere vasti territori, uccidendo centinaia di migliaia di persone, rendendo vaste aree inabitabili per tempi lunghi, rilasciando scorie radioattive che si possono spargere e fare vittime a migliaia di chilometri di distanza (e questa forse è la vera ragione per cui, nonostante le minacce, non sono state usate finora).

Le Nazioni Unite, spesso accusate di inerzia, in realtà si sono mosse, ed hanno prodotto un trattato, approvato da 122 Stati (su 195), ratificato da 70, entrato in vigore nel gennaio 2021, che mette al bando le armi nucleari. Oggi chi possiede le armi atomiche è fuorilegge, viola il diritto internazionale.

Il paradosso è che le potenze nucleari sono i veri stati-canaglia, e i loro alleati che ospitano le loro armi, tra questi l’Italia, i loro complici; ma questi bloccano qualsiasi decisione delle Nazioni Unite che possa avere efficacia.

C’è la legge, ma non possiamo applicarla, perché i delinquenti hanno il potere. Questa è la situazione istituzionale internazionale. Questa è la grave violazione della “politica internazionale basata su regole”.

Il coordinamento piemontese contro le armi atomiche, tutte le guerre e i terrorismi (A.G.iTe.) nacque nel 2017 a Torino proprio per sostenere questo trattato, chiederne al nostro governo la firma e la ratifica, seguendo quello che, secondo diversi sondaggi, è il volere della maggioranza degli italiani, con conseguente smantellamento delle 2 attuali basi atomiche presenti sul nostro territorio e divieto a portaerei e sommergibili nucleari di entrare nei nostri porti e navigare nelle nostre acque. Un vasto territorio al centro del Mediterraneo libero da armi di distruzione di massa, questo sì, sarebbe un bel segnale di pace.

Al nostro appello aderirono associazioni, organismi religiosi, istituzioni, enti locali di vario colore e di diversi orientamenti culturali, talvolta opposti, che ritennero, e ritengono tuttora, l’eliminazione delle armi atomiche una priorità su tutto il resto, tale da far mettere in secondo piano tutte le divergenze.

Il coordinamento ha poi esteso la sua missione contro tutte le guerre e i terrorismi, perché è lì che si annida l’origine di quel processo che poi arriva a giustificare e realizzare il possesso e l’eventuale utilizzo dell’arma atomica.

Sorge spontanea una domanda: è possibile immaginare l’eliminazione delle armi atomiche senza arrivare all’esclusione della guerra in sé come forma di relazione tra gli Stati? È possibile oggi, 2024, parlare di guerra per rispondere alle aggressioni, prepararsi alla guerra rinnovando e arricchendo i nostri arsenali, vedendo in ogni competitor un potenziale nemico da ridurre alla ragione “manu militari” se necessario, senza che questo porti logicamente al possesso e all’uso delle armi più potenti, quelle nucleari? Non dovremmo eliminare la guerra dalla storia come in molti sperarono dopo la fine della guerra fredda negli anni ’90? E questo dovrebbe avere come conseguenza la ripresa di quel progressivo processo di disarmo, mutuo e bilanciato sì, ma reso più efficace e spronato da qualche Paese che attui anche forme di disarmo unilaterale. Del resto, furono alcuni passi di disarmo unilaterale che scatenarono la corsa al disarmo e ai trattati che tra l’87 e il 92 portarono gli arsenali atomici a ridursi a ¼ e il mondo a godere di un cospicuo dividendo di pace.

Mi chiedo se invece che sostenere progetti di riarmo, aumento delle spese militari, sostegni armati a paesi in guerra, chiusura di frontiere e interruzioni di relazioni culturali e sportive, non sarebbe più coerente puntare sulla trattativa, l’amicizia tra i popoli, vero spauracchio dei dittatori; se non sarebbe più efficace diffondere una cultura della nonviolenza, studiare, ricercare, addestrarsi, attuare forme di resistenza civile non armata e nonviolenta.

Giovanni XXIII più di 60 anni fa, poco dopo che il mondo si trovò ad un passo dall’apocalisse, scrisse con lungimiranza che la guerra nel XX secolo, e a maggior ragione nel XXI secolo, è “follia”, “fuori dalla ragione”.

Ogni guerra, ogni conflitto armato, se portato avanti fino alle estreme conseguenze può diventare un conflitto nucleare, a maggior ragione laddove sono coinvolte potenze atomiche. Questa è la situazione in Ucraina, in Medio Oriente, tra India e Pakistan.

Il messaggio che io voglio lanciare è: siamo tutti indistintamente d’accordo, tutti ci impegniamo per l’eliminazione delle armi nucleari indipendentemente dalle altre nostre convinzioni, ma ricordiamoci che occorre essere altrettanto contrari a tutte quelle azioni che portano alla guerra, occorre sostenere azioni ed iniziative che vadano verso la diminuzione della tensione, verso la cessazione del fuoco; poi si cercherà l’attuazione di maggiore giustizia; non possiamo aspettare un mondo giusto per dire adesso non facciamo più guerre, perché prima di arrivare ad un mondo giusto le guerre distruggeranno noi.

Dobbiamo arrivare ad una comune accettazione a livello planetario che la guerra va bandita dalle possibilità; la legittima difesa non può, non deve contemplare la guerra.

È impossibile?

No, è possibile, è una libera scelta di tutti noi e delle autorità politiche.

L’alternativa è la fine dell’umanità.

Paolo Candelari